Di fronte a persone che lanciano messaggi pericolosi e carichi d’odio, l’errore più grande è quello di creare sulla loro figura un’aura cabarettistica, come se tutto fosse limitato alla sfera del folklore. Con il tempo si rischia di rendere divertenti personaggi che non fanno ridere per niente. Così Diego Fusaro diventa oggetto di turbo-meme o di qualche sketch alla Zanzara, Antonio Razzi si trasforma in un fenomeno da circo su Tiktok, Giorgia Meloni diventa una suoneria del cellulare di tendenza con il remix di “Io sono Giorgia, sono una donna, sono cristiana”. La stessa sorte è toccata a una delle figure politiche più discutibili degli ultimi anni: Mario Adinolfi.
Adinolfi, fondatore e presidente del Popolo della Famiglia in seguito alla rottura ideologica con il Pd (per cui si presentò anche alle primarie nel 2007, ottenendo lo 0,1% di voti), ha passato l’intera carriera a cacciare le streghe, con qualche secolo di ritardo. Ascoltare un suo comizio o leggere un suo post sui social è un’esperienza che trascende lo spazio e il tempo. Lo scopo del Popolo della Famiglia è quello di preservare i loro diritti contro minacce esterne, laddove per “loro diritti” si intendono quelli che nessuno ha mai messo in discussione, e per “minacce esterne” si parla di chi invece per quei diritti deve continuare a combattere. In poche parole: il Popolo della Famiglia nasce con l’intento di comprimere i diritti alle minoranze.
I messaggi di Adinolfi, soprattutto per il ruolo pubblico che ricopre, vanno considerati come dannosi per la comunità. Credere e affermare che il profilattico non abbia alcuna capacità di limitare il contagio delle malattie veneree, aggiungendo che “È solo propaganda, la soluzione è la sessualità responsabile”, vuole dire andare contro una verità scientifica con idee faziose e pericolose. Come risposta è stato oggetto di un presunto lancio di preservativi da parte di alcuni contestatori durante una presentazione del suo ultimo libro a Pomigliano d’Arco. Adinolfi ha il potere di far apparire progressista persino il Papa, che sui condom ha espresso un’opinione più moderna. Il punto è proprio questo: i comportamenti di Adinolfi non possono nemmeno considerarsi legati ai precetti del cristianesimo, ma a un fanatismo fine a se stesso, anacronistico ai limiti dell’oscurantismo. Non a caso, come gran parte dei militanti del Family Day, Adinolfi tenta di rivendere da anni la storiella della famiglia tradizionale, quando lui per primo ha alle spalle un divorzio, un secondo matrimonio in un hotel di Las Vegas e figli sia dalla prima che dalla seconda unione matrimoniale.
Viene da chiedersi quale sia il confine di tolleranza di un’idea in un contesto democratico. È lecito essere dei conservatori, dei bigotti, dei moralisti, fino a quando il pensiero non arriva a minare la libertà altrui e a cancellare, o a non riconoscere mai, i loro diritti. Non è più una questione di sinistra o destra, ma di progresso contro arretratezza culturale, di libertà contro discriminazione. Adinolfi non basa le sue azioni sulla protezione di una categoria, ma si arrocca sull’astrattismo dei valori per distruggere tutte le altre. La narrazione di una lobby gay che controlla l’intero Pianeta – la stessa portata avanti dalle parti più conservatrici della Cei, dai movimenti legati al Family day e da una buona fetta della destra – è stucchevole, o per lo meno bizzarra: si tratterebbe dell’unica lobby o gruppo di potere che in tutti questi decenni non è mai riuscita nemmeno a ottenere il riconoscimento dei diritti basilari per cui si batte.
Eppure per Adinolfi si tratta di una lobby “prepotente e feroce che ha conquistato Palazzo Chigi” a causa del ddl Zan. La legge intende sanzionare gesti violenti di stampo omotransfobico mettendo sullo stesso piano la discriminazione per orientamento sessuale a quello razziale. Adinolfi l’ha definito il ddl “liberticida”, usando le stesse parole della Cei. Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro, e il partito di Giorgia Meloni si è unito a questo lessico comune: “Fratelli d’Italia considera il testo unificato sull’omofobia un bavaglio alla libertà d’espressione e di opinione che apre la strada a pericolose derive liberticide”. Sembra un cortocircuito della ragione, considerando che lo scopo della legge è proprio il contrario, ovvero combattere le discriminazioni e punire chi quella libertà la vuole sopprimere. L’errore di Adinolfi, delle istituzioni ecclesiastiche e della destra sta proprio all’origine del loro pensiero: “libertà di espressione” non vuol dire avere il diritto di vessare il prossimo. Dire che l’omosessualità è un abominio contro natura non è un’opinione, ma un attacco alle libertà individuali e una menzogna smentita anche da scienza e studi psicologici.
Per Adinolfi “due padri gay sono un abominio criminale”. Partendo da questo assunto, tutto diventa un pretesto per attaccare a prescindere, come quando ha criticato il cartone animato Kung Fu Panda 3 perché “Il protagonista ha due papà, così si fa il lavaggio del cervello gender ai bambini”. Ogni gesto o pensiero che lui considera diverso diventa un attentato a una presunta moralità, a un disegno che pretende sia esteso a tutta la popolazione e che viene minacciato da ciò che la sua chiusura mentale non contempla. Così trasforma le persone trans in “moderni ircocervi, uomini con finte tette di silicone che fanno solo tristezza”, l’eutanasia in un abominio, con “Hitler che almeno i disabili li eliminava gratis”, il mondo in una “società di troie e rottinculo in cui l’unica ribellione possibile è essere bigotti”. L’unica ribellione possibile al bigottismo di Adinolfi è invece seguire la strada opposta alla sua, per poter vivere in una società più civile e tollerante.
Il problema di Adinolfi è il modo di concepire i canoni dell’uomo e della donna nella società. Ha dichiarato che “la donna nel matrimonio deve essere sottomessa al marito”, tentando poi di rimediare aggiungendo che “sottomessa non significa che non c’è la parità, sono due cose diverse”. Infatti non lo sono: la sottomissione è l’antitesi della parità, ed è esattamente l’immagine che Adinolfi ha della donna, relegata nel ruolo di angelo del focolare, procreatrice che accoglie il seme dell’uomo e alleva la prole, possibilmente in silenzio e servendo il marito. L’uomo, invece, non deve cedere ad alcuna fragilità: quella è roba da donne. “Mi piace questa idea di un maschio finalmente virile. Un bel maschio virile che non piange in tv è una cosa che ha un suo valore. La femminilizzazione del maschio è un problema della nostra società. Sinceramente non ricordo mio nonno o mio padre piangere”.
Un’altra ossessione di Adinolfi riguarda la comunicazione, con il terrore che vengano veicolati messaggi a suo dire devianti. “Abbiamo posto il tema dell’omosessualizzazione dei conduttori di Rai Uno: se alla guida di tutti i contenitori della principale rete televisiva del servizio pubblico pagato da decine di milioni di famiglie italiane ci sono conduttori gay o gay friendly, i contenuti che saranno veicolati non garantiranno il pluralismo delle idee. Rai Uno è una rete per famiglie, di 29 milioni di italiani sposati che assegnano un valore etico al matrimonio”. Non è facile spiegarsi il senso della frase sul pluralismo delle idee: l’orientamento sessuale non è una posizione politica, non ha bisogno della garanzia della par condicio. A questo punto lamentiamoci se ci sono più conduttori castani che biondi, se i cognomi iniziano più spesso con una consonante e non con una vocale; la valenza del discorso è identica. Adinolfi dovrebbe spiegarci l’origine delle sue paure, il motivo che lo porta a intimorirsi di fronte a un gay in televisione. Un omosessuale non gli toglierà il suo diritto di sposarsi con una donna e non sceglierà per lui quello che è giusto o sbagliato. Al contrario, il presidente del Popolo della Famiglia continua a pretendere di imporre i suoi dogmi come unica verità, intervenendo nel dibattito sui diritti civili con i suoi giudizi retrogradi.
Se Adinolfi continua ad avere credito e a creare emuli, è perché non riusciamo a controbattere nel modo corretto. Invece di criticarlo per le sue idee disumane e per l’astio che riesce a irradiare, spesso tutto si riduce a una caratterizzazione grottesca del personaggio. Anche le pagine più geniali del web, come Lercio, lo attaccano sul suo aspetto fisico. Adinolfi è in sovrappeso, quindi viene ridicolizzato per questo. Il body shaming non sarà mai l’arma per sconfiggere le idee malsane. Lo stesso vale per Mario Giordano, sbeffeggiato per la sua voce più che per le sue posizioni ultra reazionarie propinate in prima serata con lo stile di un film dei fratelli Vanzina. Rendere Adinolfi “il ciccione bigotto” e Giordano “l’eunuco sovranista” non fa altro che rafforzarli. Da sempre certi personaggi negativi hanno ammorbidito la loro immagine grazie alla comicità o a una parodia all’acqua di rose. Andreotti ha sempre gradito e appoggiato le sue apparizioni sul palco del Bagaglino per imbonirsi il pubblico. Ignazio La Russa per anni è stato visto come il buffo siciliano che urlava “Diciamolo”, grazie all’imitazione di Fiorello, e non come un neofascista. Certi personaggi vanno presi molto sul serio: non dovremmo ridere di Adinolfi, ma inquadrare la pericolosità delle sue affermazioni e sconfiggerlo sul piano culturale. Altrimenti facciamo solo il suo gioco.