Nell’ultimo decennio Martin Scorsese ha girato film molto diversi fra loro: Shutter Island, un thriller ambientato in un manicomio criminale; la favola parigina di Hugo Cabret; l’ascesa e il declino di un broker in The Wolf of Wall Street; le persecuzioni cristiane in Giappone con Silence. Ma adesso si può dire che l’italoamericano sia tornato a casa: The Irishman è un mafia movie che per cast – Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel – e ambientazione ricorda i grandi capolavori del passato.
The Irishman non segna il semplice ritorno di Scorsese sul terreno a lui più congeniale, ma si pone come una meditazione sul tempo, il frutto della ricerca di una carriera cinquantennale che aggiunge un tassello maturo alla poetica del regista. Già solo il corposo minutaggio – tre ore e mezzo circa – segnala la volontà di costruire un’epopea che va oltre il mero intrattenimento. Nella pellicola di Scorsese è condensata la vita di un uomo, di un’epoca e, per osmosi, di mezzo secolo di storia americana.
Le vicende del film intrecciano finzione e realtà storica in modo coeso e verosimile, prendendo spunto da libro di Charles Brandt, I Heard You Paint Houses – una ricostruzione che si basa su una serie di interviste rilasciate da Sheeran sul suo letto di morte e pubblicate postume. Philadelphia, anni Cinquanta: Frank Sheeran, detto “l’irlandese”, è, come molti della sua generazione, un veterano della seconda guerra mondiale. Si occupa di consegnare carne all’ingrosso, e per guadagnare qualcosa in più decide di diventare corriere della mafia. Da qui inizierà la sua scalata criminale: dapprima implicato marginalmente negli affari dell’organizzazione, Sheeran, poiché affidabile, si vede assegnare incarichi di crescente responsabilità, entrando nella sfera di influenza del clan Bufalino, al cui vertice c’è Russell, interpretato da Joe Pesci, un uomo che dietro l’aspetto e il comportamento bonario nasconde il cinismo del capo.
L’andamento è quello di Quei bravi ragazzi. Viene mostrato il lavoro di manovalanza della malavita: gli spostamenti e gli appostamenti, la costrizione a diventare sicario, tutto ciò che costituisce il “lavoro sporco” all’interno dell’organizzazione. Ma il vero salto di qualità per Sheeran avviene quando diventa tramite fra i Bufalino e Jimmy Hoffa, il presidente del sindacato degli autotrasportatori, che grazie ai soldi della mala inizia a espandere il suo potere, diventando una figura pubblica, a capo di una lobby in grado di contrapporsi ai Kennedy.
Qui il racconto di Scorsese si intreccia con la cronaca dell’America degli anni Sessanta: Hoffa è stato un grande avversario della famiglia Kennedy, una figura amata dai sostenitori del sindacato e a stretto contatto con le sacche d’illegalità della società americana. La volontà di Scorsese è quella di raccontare una zona d’ombra non sempre battuta nel racconto trionfante dell’America del boom. Hoffa è l’antieroe che riflette tutte le contraddizioni di un’America che vede nei Kennedy i salvatori. Una famiglia smembrata dalle tragedie, e a cui Hoffa sopravvive, come a sancire la vittoria del cinismo, la ferocia e il ricorso al sotterfugio che poi ha caratterizzato la presidenza Nixon, di cui il sindacalista era sostenitore. Sheeran accompagnerà Hoffa nella sua ascesa, ma dovrà decidere se stare dalla sua parte o meno nel momento della caduta. E questa scelta, giocatasi sulla carne viva di un’amicizia, lo segnerà per il resto dell’esistenza.
Ma è nell’ultima parte che The Irishman dà il meglio di sé. Se abbiamo attraversato l’intera parabola di Frank – seguendo i suoi successi, i rimorsi, il declino – ora lo accompagniamo nell’ultimo segmento della vita. Vediamo i suoi capelli ingrigirsi, le rughe farsi profonde, la pelle ricoprirsi di macchie. Non è più il gangster minaccioso di una volta, è solo un uomo lasciato solo dalla famiglia, che è sopravvissuto ai suoi amici e che deve fare i conti con un ingombrante passato criminale. Frank è un uomo sopravvissuto ai suoi anni di gloria, relitto di un sistema valoriale che più non gli appartiene. Il suo orizzonte si restringe a una quotidianità di cui non è più padrone: medici, infermieri e padri confessori scandiscono il ritmo delle sue ore. Ore che scivolano dalla vita di Frank, e non regalano né saggezza né oblio: Sheeran è un uomo solo e deve fare i conti con la morte. Sembra che Scorsese abbia trasposto su schermo La morte di Ivan Il’ič, il classico di Tolstoj con cui il regista condivide la capacità di fissare ogni minuzia nel processo di decadimento fisico e mentale.
In The Irishman sono tratteggiati personaggi memorabili – e difficilmente poteva essere altrimenti con un cast di tale caratura. A partire dal Frank Sheeran interpretato da De Niro, che ha la capacità di incarnare in profondità le varie età anagrafiche del personaggio. Lo Sheeran degli inizi è titubante, sempre rispettoso, non ancora a suo agio a trattare con i criminali. Vediamo sullo schermo la trasformazione del protagonista: a contatto con i boss si lascia inebriare dal potere, diventa più sicuro di sé, a tal punto da pretendere di comandare nella vita privata, con la famiglia o con chi gli fa uno sgarro, la sicurezza economica si tramuta in una più acuta volontà di dominio. Nel pieno della maturità Sheeran è in grado di trattare alla pari con Russell o Jimmy. Ma gli anni migliori durano poco e al declino dei suoi affari si accompagna il declino fisico: i gesti di Sheeran perdono di vigore, la voce si fa più roca, si irrobustiscono i rimpianti.
Forse solo la prova attoriale di Al Pacino può oscurare quella di De Niro. Il suo Jimmy è istrionico, carismatico, capace di vincere qualsiasi confronto dialettico. L’ambizione che lo anima è la stessa che riscontra in Sheeran, per questo lo elegge a suo consigliere, gli diviene amico, si fida di lui nonostante sia l’uomo che i Bufalino hanno mandato a sorvegliarlo. Il punto di forza di Hoffa, il coraggio, un coraggio che lo rende in grado di sfidare sul piano legale e mediatico un personaggio del calibro di Robert Kennedy, nasconde anche la sua debolezza: la testardaggine. Hoffa infatti non ha paura della mafia, non si riconosce nei codici degli affiliati, non ha intenzione di piegarsi al sistema di valori dei suoi partner in affari. La sua boria è sempre sul punto di tracimare, così come la pazienza dei Bufalino è a un passo dal finire.
A completare il terzetto dei personaggi principali c’è Joe Pesci, nei panni di Russell Bufalino. L’incontro fra Bufalino e Sheeran dà avvio alla carriera criminale di quest’ultimo, perché Russell sa leggere i desideri degli uomini. Al contrario, lo sguardo di Bufalino non lascia trasparire nulla: il boss è sempre calmo, ironico, controllato anche quando deve prendere le decisioni più difficili. Bufalino sembra infallibile, eppure deve arrendersi all’avanzare dell’età, la lotta contro il tempo non è paragonabile a quella contro un rivale in affari, perché ammette un solo destino, un solo vincitore.
I bravi ragazzi di Scorsese sono invecchiati, proprio come il loro narratore. Molti hanno concluso la propria parabola nel sangue di una morte violenta, che risulta quasi onorevole per chi ha scelto la vita criminale. Altri, invece, sono reduci del proprio mito e devono fare i conti con un lento decadimento: lo scorrere del tempo che ci accomuna tutti, capi e sottoposti, e che ci fa scivolare verso un destino inesorabile. Scorsese si chiede se l’ambizione e l’intraprendenza della giovinezza, una volta passata, valgano ancora qualcosa, se la realtà non impallidisca a confronto con la fine. Nei volti scavati disegnati dal regista non c’è saggezza, ma solo spaesamento, Russell e Frank devono portare il fardello del passato, fra rimorsi e rimpianti.
Non sappiamo se questa visione cupa della vecchiaia appartenga anche a Scorsese, ma una cosa è certa: il regista, seguendo la propria poetica, ci ha donato una lettura universale delle ultime fasi dell’esistenza. Un punto di vista crudo e problematico, che mette in luce la crudeltà del tempo. Eppure nella visione dell’autore c’è una punta di umana comprensione, la consapevolezza che prima o poi dovremo affrontare il decadimento, e che al di là del nostro vissuto ci troveremo ugualmente impreparati. Da oggi abbiamo un nuovo strumento per esorcizzare quell’incontro: un’opera d’arte che diverte e commuove nella sua semplicità, il racconto della vita di un uomo, fino alla fine.