Il fatto che per descrivere, fissare e comunicare la nostra percezione del mondo agli altri ci basiamo sulla parola ci porta a convivere nel quotidiano con un grande fraintendimento, ovvero scambiare quello che è a tutti gli effetti un continuum, un flusso costante di fenomeni in trasformazione, per un insieme di concetti, fissi, statici, nominabili, riconoscibili. Così crediamo che i fenomeni e le atmosfere emotive che si susseguono dentro di noi siano effettivamente idee, concetti e ci dimentichiamo quanto la nostra vita emotiva possa essere effettivamente cangiante, fragile e contraddittoria, potente e rapida come un temporale causato da improvvise differenze di pressione, e quanto desiderio e solitudine possano convivere in maniera compresente nello stesso respiro.

Sex, il lungometraggio che apre la triologia del regista norvegese Dag Johan Haugerud composta anche da Dreams e Love, ne è un esempio perfetto, ponendo una lente sul sesso come territorio di potere, vulnerabilità e teatro culturale, su cui convergono impulsi personali e pressioni sociali. La trilogia di cui fa parte affonda nei corpi e nelle emozioni umane con precisione, rivelando ciò che spesso resta invisibile. Il film si apre con una scena apparentemente ordinaria, un dialogo tra due colleghi in pausa, che si trasforma ben presto in una situazione a dir poco particolare, unica, profondamente intima, cifra stilistica di Haugerud, che ha il raro e straniante talento di trasforma l’ordinario in una rivelazione.


Ogni gesto, ogni sguardo, ogni pausa, diventano infatti significanti. Il sesso qui non è mai gratuito o sensazionalistico; è strumento attraverso cui esplorare fiducia, controllo, incertezza. I personaggi si muovono in un contesto in cui norme sociali, maschere culturali e desideri personali si intrecciano, spesso in conflitto. In questo, Sex rispecchia le contraddizioni del presente: un desiderio che dovrebbe essere libero è continuamente mediato da aspettative esterne, da codici sociali e persino da strutture di potere profondamente interiorizzate. Haugerud mostra quanto il sesso non sia mai solo una questione di desiderio, piacere, potere o riproduzione, ma anche uno strumento attraverso cui misuriamo il valore di noi stessi e degli altri. C’è una scena in cui due personaggi cercano intimità, ma si scontrano con i propri limiti e le paure reciproche. Il silenzio tra loro è più eloquente di qualsiasi dialogo: rivela la difficoltà di esprimere il consenso, la vulnerabilità del corpo, l’ansia di non corrispondere alle aspettative altrui.

Come in Love, il terzo capitolo della trilogia, i personaggi di Sex non sono archetipi, ma individui stratificati: le loro azioni non sono prevedibili, i loro desideri non sono lineari. La comunicazione è spesso incompleta; le omissioni rivelano verità dolorose e rilucenti. Haugerud intreccia passato e presente, desideri realizzati e mancati, creando una struttura narrativa che riflette la complessità dell’esperienza umana. Ogni interazione, così, diventa un’epifania, dando grande densità al ritmo del film, che pure al tempo stesso resta rarefatto, inondato dalla tipica luce tersa del nord. Ogni piccolo o grande fallimento relazionale, ogni scarto tra il singolo e il mondo, tra ciò che si credeva e le reazioni che scatena nel prossimo, è un’opportunità per comprendere i vincoli culturali, emotivi e psicologici in cui tutti noi viviamo. La possibilità di scarto e di riparazione di qualsiasi realtà condivisa.


Sex affronta temi sociali contemporanei in modo sottile e potente. La sessualità non è mai astratta: è politica, culturale e psicologica. Mostra come il desiderio e il consenso siano mediati da aspettative di genere e norme sociali, e come queste possano rendere fragili e insicure le relazioni, ma anche quanto sia semplice infrangere e scavalcare tutto questo, di quanto sia appunto una semplice idea. L’intimità diventa terreno di confronto con il potere, la vulnerabilità, l’ansia del giudizio, ma anche di potenziale libertà. Haugerud non moralizza mai, ma lascia che lo spettatore percepisca la complessità delle relazioni, così come sono oggi: conflittuali, contraddittorie e spesso straordinariamente poetiche.



La macchina da presa resta vicina ai corpi, ai gesti, ai silenzi: respira con i personaggi. Il dettaglio diventa strumento narrativo potente: uno sguardo, un tocco, un sospiro nei suoi film davvero dicono più di tante parole, come se il messaggio emergesse da ciò che c’è tra le scene, le immagini, dal non detto. In questo senso, il film diventa esperienza immersiva: lo spettatore sente ogni esitazione, ogni desiderio mancato, ogni tensione, come se fosse propria. È un approccio che Haugerud mantiene anche in Love, ma qui è centrato sul desiderio sessuale, cosa che rende quest’opera contemporanea e intima.


Haugerud affronta anche il tema della vulnerabilità emotiva nel contesto sociale: i personaggi si confrontano con le aspettative altrui e interiorizzano giudizi culturali che a volte li rendono incerti e timorosi. Questo diventa evidente in sequenze in cui il desiderio è mediato da ansie, dubbi o paure, che riflettono non solo il disagio personale ma un contesto più ampio di norme sociali e culturali. In tal senso, il film è una riflessione sulla nostra epoca: quanto il desiderio sia plasmato dal giudizio altrui, dalla pressione sociale e dalla cultura del corpo e del piacere. Ciò che rende Sex straordinario è il modo in cui Haugerud equilibra tensione e leggerezza. Il film non è mai moralista o pedante: l’umanità dei personaggi bilancia sempre i momenti di conflitto e vulnerabilità. Questo equilibrio permette di trattare temi delicati – consenso, desiderio, identità sessuale, aspettative culturali – senza cadere in cliché o melodramma. Tutto è misurato. Anche lo spettatore è chiamato a confrontarsi con i propri dubbi, le proprie paure, le proprie incertezze, ma lo fa attraverso una narrazione empatica e mai giudicante.



Il finale lascia domande aperte: quanto possiamo controllare il nostro desiderio? Quanto le nostre relazioni sono modellate dalle aspettative esterne? E quanto, invece, dalla capacità di ascoltare i propri bisogni? Cosa significa libertà? Haugerud invita lo spettatore a osservare la complessità dell’intimità senza semplificarla, a riconoscere le molteplici esperienze che convivono dentro ogni relazione e a confrontarsi con le ambiguità che definiscono ciò che chiamiamo amore e sesso.



Sex non è solo un film sul modo in cui viviamo le relazioni nel nostro tempo, ma è l’inizio di una trilogia stratificata, che si sviluppa in Dreams, film che verrà proiettato al Cinema Quattro Fontane di Roma il 15 novembre alle 17:00 con una conversazione in collegamento col regista durante il MUBI FEST. Dreams esplora il desiderio e l’amore all’interno di una grande differenza d’età e la sua espressione in parole. Infine questa trilogia viene coronata da Love, lungometraggio che sa raccontare i legami con uno sguardo profondo e sensibile, trasformando il quotidiano in narrazione rivelatrice. Haugerud conferma il suo talento nel rendere visibile ciò che spesso è invisibile: le tensioni, i desideri, i silenzi e le contraddizioni che attraversano la nostra vita affettiva. Guardando Sex, come accade con Love, ci ritroviamo a riflettere su noi stessi, sulle nostre fragilità, sui nostri desideri, e sulle infinite modalità con cui cerchiamo di connetterci agli altri. Il film è un invito a osservare, comprendere e, forse, accettare l’umanità delle relazioni così come sono: imperfette, complesse, incredibilmente vive.
“Sex” è disponibile in streaming su MUBI. Iscriviti qui per guardarlo gratis e ottieni 30 giorni di prova.
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