Nella sua carriera Cillian Murphy ha prestato il suo corpo a tanti personaggi memorabili, dallo Spaventapasseri del Batman di Nolan, a Damien O’Donovan, l’indipendentista irlandese de Il vento che accarezza l’erba. Tuttavia, mai come in Peaky Blinders le vesti di Thomas, il capofamiglia degli Shelby, sembrano cucite alla perfezione su di lui.
Ispirato alla storia vera dei Peaky Blinders –la gang criminale attiva a fine Ottocento che usava portare un rasoio cucito nel risvolto del cappello, da qui il suo nome – la serie tv prodotta da Steven Knight segue l’ascesa del clan Shelby dai bassifondi di Birmingham fino alle stanze del potere di Londra. Una lotta per la supremazia che si intreccia con la storia del Regno Unito dopo la prima guerra mondiale.
Arrivata alla quinta stagione, Peaky Blinders ha saputo raccontare il cambiamento economico e sociale di una nazione e ha messo in scena personaggi dalla psicologia complessa. La saga familiare degli Shelby intrattiene senza scadere nel patetico, imbastendo un racconto coerente, affascinando lo spettatore con personaggi in cui è facile rispecchiarsi, pur avendo formazione e desideri diversi. Ciascuno dei protagonisti deve convivere con un dissidio morale che ne condiziona le azioni spesso in maniera contraddittoria. Thomas Shelby è un uomo ambivalente, legato in modo viscerale alla propria famiglia ma capace di manipolare i propri cari pur di accentrare il potere. Thomas è sempre in bilico fra l’individualismo e la ferocia del capo e il bisogno di ancorarsi alle proprie origini.
Al suo fianco il fratello Arthur, irascibile e impulsivo, tormentato dai fantasmi dell’esperienza in trincea, leale nei confronti del fratello ma animato dal rancore perché consapevole di essere considerato, da Thomas, incapace di guidare il clan. Ada, la sorella più giovane, vorrebbe che i fratelli abbandonassero la vita da gangster, ma allo stesso tempo non sopporta chi infanga il nome della famiglia. Polly è la zia degli Shelby, abbastanza spietata da approvare le azioni più violente dell’organizzazione, eppure compassionevole, quando si tratta di biasimare la brama di potere di Thomas. Michael, il figlio di Polly, non sopporta la boria di Thomas, forse perché troppo simile alla sua, e vorrebbe mettersi in proprio, ma non ha il coraggio di tradire la madre.
Il microcosmo familiare e morale degli Shelby si inserisce in un’epoca cruciale del Novecento. La serie mette in scena la progressiva transizione dalla seconda rivoluzione industriale a un’economia basata sulla finanza. La fortuna dei Peaky Blinders ha inizio con le scommesse ippiche truccate, per poi ampliarsi nel contrabbando e nel riciclaggio di denaro. Di stagione in stagione vediamo gli affari degli Shelby aumentare di volume, ampliarsi in ogni settore, sfondare le barriere continentali e radicarsi anche negli Stati Uniti. In questo senso diviene centrale il ruolo della Borsa, che moltiplica le fortune e il potere della famiglia. Per un attimo gli Shelby si credono onnipotenti, ma il crollo del ’29 cambierà le carte in tavola.
La quinta stagione si apre proprio il 24 ottobre del ’29, quel giovedì nero che ha segnato la storia della finanza. La notizia del crollo della borsa rimbalza da un membro all’altro degli Shelby, e progressivamente si scopre l’ammontare delle perdite. Gli Shelby sono costretti a ripartire da zero, da Small Heath, il loro feudo di Birmingham, dalle corse di cavalli e dalle scommesse sulle partite di calcio. Ma i vecchi affari mal si conciliano con il nuovo profilo istituzionale della compagnia, e con lo stile di vita da ricchi possidenti. Nel nuovo mondo degli affari un profilo criminale come quello dei Peaky Blinders è tollerato a fatica. Da una parte quindi la vita criminale, dall’altra il tentativo di mantenere l’apparenza di rispettabilità: questo sarà l’ennesimo dissidio che dovranno affrontare.
Se da una parte c’è la finanza, in Peaky Blinders ha grande spazio anche la ricostruzione della situazione politica fra le due guerre. All’inizio dell’ultima stagione troviamo Thomas che è riuscito a farsi eleggere in Parlamento. La sua brama di potere dovrà scontrarsi con forze più grandi di lui. Lo spettro del fascismo si è materializzato anche sul territorio anglosassone. A incarnarlo è Oswald Mosley – interpretato da un glaciale Sam Claflin – il realmente esistito fondatore dell’Unione Britannica dei Fascisti. Mosley costringerà Thomas, tramite una serie di ricatti, a passare dalla sua parte. Shelby fiuterà l’ennesima opportunità di guadagno ma allo stesso tempo dovrà venire a patti con scrupoli morali che non pensava di avere, persino un uomo spietato come lui si renderà conto del pericolo rappresentato dal fascismo.
Peaky Blinders mostra in maniera magistrale come gli ideali del fascismo prendano piede su più fronti: da una parte il risentimento delle masse, le classi operaie sfruttate e non più rappresentate dai sindacati, dall’altra la buona società che si illude di aver trovato una nuova ideologia forte in grado di affermare la superiorità delle classi abbienti. Allo stesso modo le pratiche fasciste si muovono su strade parallele: Mosley si assicura l’aiuto di bande criminali in grado di controllare il territorio, stringe alleanze politiche e commerciali, affascina l’elettorato con discorsi brillanti quanto fallaci, cerca di evitare possibili antagonisti alleandosi con i Peaky Blinders.
Ma nella narrazione ideata da Steven Knight non sono esclusivamente le figure maschili a risaltare, grande attenzione viene data ai personaggi femminili. Al vertice dell’organizzazione ci sono Polly e Ada. La prima in grado di orientare i destini della compagnia, in questa stagione fondamentale per tenere unita la famiglia minata dal conflitto fra Thomas e Michael. Allo stesso modo Ada funge da coscienza morale degli Shelby, è colei che ricorda a Thomas i propri errori, e di cui il capofamiglia ricerca continuamente l’approvazione.
Il messaggio di Peaky Blinders è chiaro: la retorica dell’individualismo machista è vuota, un’illusione che impedisce una valutazione equilibrata della realtà. La sete di potere che guida Thomas, la sorda ira con cui Arthur si approccia al mondo, o anche l’ambizione smodata di Michael, sono soppesate e decostruite dalle donne che hanno a fianco. Lizzie, la moglie di Thomas, è l’unica che riesce a essere indipendente dall’autorità marito, e stabilisce con lui un accordo di reciproco sostegno. Linda, la moglie di Arthur, stanca del suo comportamento violento, minaccia di abbandonarlo, e questo getta l’uomo nella disperazione. Si scopre il gioco del maschilismo, un esercizio di potere arbitrario che perde di efficacia una volta che ci si sottrae. Allo stesso modo i desideri di dominio di Michael riescono a trovare una forma compiuta solo grazie ai suggerimenti della moglie Gina. Le donne, una volta presa coscienza delle proprie capacità, decidono le sorti degli uomini della famiglia Shelby, le fortune o i rovesci dell’organizzazione criminale.
Proprio in questo risiede il punto di forza della serie: la capacità di unire pubblico e privato, vicende familiari e destini di una nazione, scelte e desideri di singoli individui e spinte e decisioni della collettività. Attraverso l’epopea di una famiglia si ricapitola la storia del Regno Unito, e con essa il clima di un’epoca. Si tasta il polso della cultura europea del Novecento, ricercando nell’equilibrio fra scelte degli uomini e particolarità storiche le cause degli eventi che dalla prima hanno portato alla seconda guerra mondiale. Poche serie possono vantare il respiro epico di Peaky Blinders, una particolare qualità nella narrazione che la rende avvolgente, profonda ma al tempo stesso immediatamente riconoscibile. Un racconto in grado di restare perché capace di scandagliare le ragioni inconsce dell’agire umano, quella porta sull’ignoto che si spalanca in ogni sguardo di Thomas Shelby.