“La natura dell’amore” ci ricorda che amare è soprattutto imparare a rivedere noi stessi negli altri - THE VISION

Quando avevo vent’anni, un’età in cui relazioni e desideri si modellano spesso solo sulla base dei riferimenti culturali che ci hanno accompagnato o delle credenze che ereditiamo dagli altri, mi ero convinto che è vero che gli opposti si attraggono e, soprattutto, che fosse l’unica possibilità per una coppia di durare nel tempo. Mi ripetevo e sottolineavo sui libri frasi che oggi sento non appartenermi più e che, senza alcuna pretesa di oggettività, non esiterei a definire banali: lo yin e lo yang, le due metà della mela – o in alcune versioni il torsolo e la buccia –,  il fuoco e l’acqua. Crescendo, l’idea che avevo dell’amore si è trasformata, diventando altro, senza per questo forse essere meno banale. Al concetto del completare e sentirsi completati si è sostituito quello dell’elevazione, due interi che si alimentano a vicenda. L’amore, poi, si è fatto quello che Franz Kafka diceva in una lettera a Milena Jesenská, di cui era innamorato pur avendola incontrata solo due volte in oltre tre anni: “[sei] il coltello col quale frugo dentro me stesso”. Perché impegnarsi ad amare, tra le tante cose, mi sembra significhi anche impegnarsi a cambiare e lasciarsi cambiare. Eppure, oggi l’amore sembra sparito dalle nostre vite – ci sentiamo più soli, facciamo meno sesso, aumentano le famiglie composte da una sola persona – e dal discorso pubblico, dove sopravvive perlopiù nella cultura pop. È interessante allora quando è proprio quest’ultima a ragionare e a rappresentare l’amore romantico come una realtà sociale, come avviene ne La natura dell’amore, della regista e attrice canadese Monia Chokri, selezionato per la sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes dello scorso anno e distribuito nelle sale italiane da Wanted Cinema dal 14 febbraio.

Durante il viaggio verso casa dopo una cena tra amici, Sophia, quarantenne insegnante di filosofia, spettegola col suo compagno Xavier, con cui ha una relazione stabile da una decina d’anni, sulla vita amorosa dei loro conoscenti. Presumibilmente una delle altre coppie fa sesso tre o quattro volte a settimana, ma litiga costantemente. Xavier è del parere che sia preferibile una vita pacifica ma senza sesso, il che ci dice già tutto sul loro rapporto. Lui le regala libri, i suoceri la considerano come una figlia, ed entrambi fanno quello che personalmente credevo fosse il grande segreto per una relazione duratura: dormire in stanze separate. Dico credevo perché, nonostante ciò, Sophia si innamora di colpo di Sylvain, il tuttofare che si sta occupando della ristrutturazione della loro baita nei boschi. È una passione carnale, che la travolge.

La natura dell’amore è il terzo lungometraggio di Chokri – che appare anche nel film, nel ruolo secondario della migliore amica di Sophia, Françoise – e come i precedenti, A Brother’s Love (2018) e Babysitter (2022), indaga il viaggio impossibile verso l’amore, gli ostacoli che si frappongono tra i nostri desideri, le nostre scelte e la nostra felicità. È soprattutto un incontro tra due mondi diversi, distinti dalla classe sociale di appartenenza. Una differenza ben sintetizzata nel titolo francese, Simple comme Sylvain, che ironicamente gioca sull’assunto classista per cui chi non sentiamo alla nostra pari è sempre un “sempliciotto”. “I background socio-culturali hanno un ruolo preponderante nell’evoluzione delle coppie. Io stessa ho sperimentato diverse tipologie di relazioni, che mi hanno fatto accorgere di vari fattori, al di là dei soggetti in sé, che possono avere effetti sulla coppia”, racconta Chokri. “A un certo punto, ciò che ci circonda prevale sulla relazione stessa. I tuoi amici, la tua famiglia, il lavoro, il vicinato – tutto inizia ad avere un peso su di essa”. Un peso che il più delle volte sentiamo verso passioni che consideriamo troppo semplici e non all’altezza di ciò che gli altri si aspettano da noi, e che per questo ci fanno provare vergogna. Una vergogna che, come accade a Sophie, riconosciamo di sentire e che al contempo ci mette in imbarazzo, per la nostra incapacità di resistere alle influenze esterne e di scoprirci più classisti di quanto saremmo disposti ad ammettere. È un lavoro continuo quello di cercare di individuare l’origine delle ragioni per cui ci vergogniamo di desiderare una determinata persona. Più che da noi, spesso dipendono dall’imbarazzo che nasce dalla collisione tra il nostro opposto e la piccola porzione di mondo che abitiamo o dallo scarto tra le aspettative altrui e il costante bisogno di dimostrarci all’altezza, anche nello scegliere chi avere accanto. Sono desideri monchi quelli che seguono il giudizio altrui. 

Nella loro diversità, né il background di Sophia né quello di Sylvain vengono esagerati fino a risultare grotteschi o macchiettistici, ma mantengono una loro credibilità, che si sostanzia in modo particolare nei loro punti di convergenza, negli elementi che hanno in comune, nel lasciare aperta la possibilità che il sentimento si faccia motore di un possibile cambiamento. Tra madri complottiste, alcolizzate e spaventate dalle invasioni aliene e amici intellettuali che discutono della solidità dei valori morali di bene e male e di quanto sia vero che l’India abbia dato origine al veganismo, è commovente vedere Sophia leggere un libro sulla caccia e Sylvain interessarsi a Guillaume Apollinaire. Ma le differenze non sono sempre fatte per essere colmate e superate, a volte ciò che serve è saperle accettare, prima per se stessi che per gli altri. In una scena, dopo l’orgasmo Sylvain cita alcuni versi di una poesia che vorrebbero essere romantici. “Rimbaud?”, sussurra Sophia. No, Michel Sardou, tra i più famosi cantanti e attori francesi sì, ma xenofobo. Un sussulto. Le parole contano poi sempre molto per Sophia, e quando lui è negligente nello sceglierle o non ne conosce il significato, non può fare a meno di correggerlo o di spiegargliele. “La sua intelligenza è più terrena,” spiega all’amica Françoise, come se si stesse scusando per lui. “Smettila di parlarmi male. Parla normalmente”, grida Sylvain durante una lite. “Nel mio mondo parlo normale”, risponde Sophia.

Sophia esplora l’amore e il desiderio sia con la pratica – molto più sesso di quanto fosse abituata con Xavier – insieme a Sylvain, sia con la teoria, come insegnante di filosofia di un corso per la terza età. Platone, Spinoza, Jankélévitch: sono molte le teorie con cui i filosofi nel corso dei secoli ne hanno pensato e discusso. Per Spinoza, per esempio, esiste una distinzione tra desiderio e amore: possiamo desiderare qualcosa senza darle valore; disprezzare l’oggetto dei nostri desideri; o amare senza desiderio. Per Jankélévitch, invece, l’amore è irrazionale ed è l’unica fonte di se stesso. Amiamo perché amiamo, ci colpisce come una malattia. Eppure, nonostante l’amore romantico sia preso molto seriamente nel film, allo stesso tempo questa è una pellicola divertente, con momenti comici molto genuini. In questo senso, La natura dell’amore sovverte anche in parte il filone cinematografico in cui si inserisce. Non a caso nei materiali pubblicitari viene definito “il non film di San Valentino”. La rappresentazione femminile mainstream ci ha infatti abituati a un’esplorazione della crisi di mezz’età di una donna e alla messa in discussione della sua vita in modalità differenti da quelle spesso utilizzate per raccontare la controparte maschile, per cui si è sempre preferita una versione comica. Storicamente, invece, se una protagonista è infedele, tutto deve essere trattato con una certa gravità, preferendo la tragedia.

C’è un che di molto sensuale nel film: la grana delle immagini, gli zoom frequenti, ma in maniera diretta anche il modo in cui il sesso viene portato in scena, utilizzato non come riempitivo, non come mera rappresentazione, ma di volta in volta come strumento per far andare avanti la narrazione, portandola a un livello più avanzato. In uno dei momenti iniziali, quando è distesa sul pavimento della casa che condivide con Xavier, mentre il compagno è fuori e Sylvain, invece, ben dentro, Sophia dice di non conoscere coppie fedeli, a parte una sua amica, che di carnale non ha proprio niente. “Vorrei essere come lei. Staccarsi dal corpo sarebbe fantastico”. Un desiderio che nasce dal riconoscere come irrazionale l’idea di tradire il proprio compagno nella sua stessa casa, certo, ma che mi sembra abbia a che fare anche con la tendenza contemporanea di abbandonare e screditare gli impulsi fisici, separandoli dal pensiero. Questa distanza che abbiamo posto e che ci fa concepire il corpo più come un attributo, una protesi, che come il primo e più naturale strumento a disposizione per esprimere il nostro sé nel mondo e accogliere il mondo in noi, è forse alla base anche dell’incapacità di relazionarci con l’opposto da noi, perché è impossibile parlare di corpi, viverli, senza evidenziarne e riconoscerne le differenze fisiche e sociali, biopolitiche – e imparare ad accoglierle.   

Probabilmente è un’impresa senza fine quella di catturare la vera natura dell’amore, un sentimento così comune eppure tanto diverso per ciascuno di noi, indissolubilmente legato all’epoca storica attraverso cui lo si guarda. È al contempo il valore più universale e personale che esista. Il film di Chokri riesce proprio in questo, nel mostrarne la volatilità: la passione dei baci giovanili, la paura di non riconoscersi più da anziani, una volta rimasti soli. Per Sophia, in ultima istanza, l’amore diventa davvero un coltello con cui frugare dentro se stessa, per accettare le differenze tra sé e l’oggetto del suo amore. Nel saggio Tutto sull’amore, pubblicato per la prima volta nel 1999, l’autrice femminista bell hooks dice che l’amore è un verbo e, come tale, possiamo scegliere attivamente di amare. Non è una malattia, non è un sentimento che ci capita tra capo e collo – non solo almeno, anche se spesso può sembrarlo. È una pratica – non solo intima ma sociale – attraverso cui superare le differenze per comprendere realmente i bisogni dell’Altro, saper tener conto della sua personalità. È prima di tutto un’azione, un atto di libertà che richiede di accogliere e accoglierci e, soprattutto, di imparare a rivedere noi stessi negli altri.


Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con WANTED CINEMA in occasione dell’uscita italiana di “La natura dell’amore”, della regista e attrice canadese Monia Chokri, selezionato per la sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes dello scorso anno e distribuito nelle sale dal 14 febbraio.

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