Maria Luisa Ceciarelli era un nome che non si addiceva alla carriera nascente di un’attrice romana determinata e talentuosa. Così, abbreviando il cognome della madre e usando un nome più adatto a un futuro da diva, l’attrice nata a Roma nel 1931 diventa Monica Vitti. La sua passione per la recitazione non è ben accolta in famiglia, e la madre, che muore quando lei è ancora molto giovane e alla quale è molto affezionata, non riesce mai ad approvare la sua vocazione. Nonostante le riluttanze che la circondano, Maria Luisa decide comunque di iscriversi all’Accademia di arte drammatica di Roma, e diventa allieva di Silvio D’Amico in persona. Dopo gli anni del teatro, dove si forma attraverso ruoli classici, arriva a interpretare personaggi complessi come Ofelia, diretta da Enzo Ferrieri.
La carriera teatrale però è solo l’inizio di un percorso che trova la vera svolta con Michelangelo Antonioni, che la sceglie per interpretare la protagonista della sua cosiddetta “tetralogia dell’incomunicabilità”. Qui, Monica Vitti si misura con dei ruoli difficili, profondi, pieni di silenzi ma estremamente espressivi: dà un’eccellente prova del suo carattere e della sua professionalità, esaltati dalla sua bellezza insolita e particolare.
La prima parte della sua carriera, dunque, si articola attraverso interpretazioni molto intense e seriose. L’avventura, del 1960, è il primo film che gira diretta da Antonioni: la sua parte è quella di Claudia, una delle protagoniste femminili di questa sorta di giallo che racconta le disavventure di un gruppo di amici su un’isola, tra la sparizione di una donna, una serie di tradimenti e una forte densità di significati non espressi con le parole, bensì con sguardi e silenzi emblematici. La pellicola a Cannes viene accolta da fischi e risate, cosa che colpisce Vitti sul personale, dato che le riprese l’avevano coinvolta in modo molto intimo. Il giorno dopo però, come racconta lei stessa, lei e Antonioni trovano una lunga lista firmata da attori, registi, critici, i quali si dicevano assolutamente entusiasti del film, definendolo anche una delle migliori pellicole mai viste al festival.
Dopo L’avventura, Antonioni la dirige nel ruolo di Valentina in La notte, del 1961: questa volta interpreta una ragazza che seduce Marcello Mastroianni a una festa in una villa dell’Eur. Il terzo film del ciclo dell’incomunicabilità è poi L’eclisse, del 1962: in questa pellicola Vitti recita al fianco della star francese Alain Delon. Anche questo film è girato all’Eur, un quartiere simbolo degli anni Sessanta romano e di una certa classe alto borghese e intellettuale. I due attori sono praticamente perfetti, un connubio estetico insuperabile, mentre le immagini desolate e silenziose fanno da sfondo a un altro capolavoro del regista ferrarese.
L’ultimo film che Monica Vitti gira con Antonioni è infine Deserto rosso, del 1964, dove interpreta una donna nevrotica e tormentata: anche in questo caso, il volto drammatico dell’attrice romana si adatta con estrema maestria alla trama complessa e alle immagini intense del film.
Ma nella seconda metà degli anni Sessanta, la carriera da attrice di Monica Vitti prende una piega inaspettata: nessuno si sarebbe immaginato che il volto malinconico e la voce roca di questa attrice sarebbero stati perfetti per diventare protagonisti della commedia italiana, fino a conferirle il titolo di unica “mattatrice”, insieme agli altri grandi nomi maschili del genere. Nel 1968, infatti, Mario Monicelli – regista simbolo del cinema italiano di quegli anni – si accorge del suo potenziale comico e la sceglie come protagonista di uno dei suoi film più riusciti e divertenti, La ragazza con la pistola. Vitti ha la parte di una donna sicula disonorata, Assunta Patanè, che deve a tutti i costi vendicarsi di Vincenzo, colpevole di averla rapita, per errore (voleva infatti rapire sua cugina, non lei), con l’intento di sposarla e macchiandole per sempre la reputazione. Assunta comincia così un viaggio rocambolesco attraverso il Regno Unito, che ne fa una donna emancipata e perfettamente inserita nell’ambiente londinese e la trasforma nell’oggetto del desiderio di Vincenzo, al quale verrà rifilato un meritato due di picche. L’interpretazione dell’attrice romana è decisamente convincente, anche perché, memore della sua esperienza da bambina a Messina, sfoggia un accento siciliano molto accurato e particolarmente divertente, tanto da dare vita a scene rimaste nell’immaginario collettivo come il famoso “di marmo sono”.
Ha così inizio la seconda fase della carriera di Monica Vitti: i registi più importanti di quel momento si rendono conto della sua incredibile capacità di essere divertente ma allo stesso tempo mai ridicola, di essere molto espressiva ma anche affascinante, in pratica un sogno per la commedia italiana che stava attraversando i suoi anni d’oro.
Dopo Monicelli, infatti, Ettore Scola le dà il ruolo della fioraia del Verano Adelaide Ciafrocchi in Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca del 1970. In questo caso, Vitti si trova coinvolta in un pericoloso menage à trois con Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini, in una commedia che rappresenta la vita sentimentale del proletariato romano con uno spirito tragicomico davvero interessante. Si tratta di uno dei film meno acclamati di Scola, giudicato dalla critica troppo poco impegnato politicamente rispetto ai temi che tratta – i protagonisti sono tre disgraziati che finiscono per ammazzarsi tra loro o impazzire – ma a guardarlo oggi l’effetto è tutt’altro che deludente, così come la rappresentazione della vita disastrata di Adelaide Ciafrocchi.
Un ulteriore punto di svolta per la carriera comica di Monica Vitti avviene quando comincia a collaborare con il volto più popolare della commedia italiana, Alberto Sordi. La coppia è una di quelle storiche combinazioni fortunate del cinema che nascono per caso, ma creano un mix infallibile. Nel 1969 si inaugura l’inizio di questo sodalizio con il film Amore mio aiutami, di cui Sordi è anche regista. È la storia di un matrimonio che incappa in una trama disastrosa, quando Monica Vitti si innamora di un altro e Alberto Sordi prova in tutti i modi a tenersela ugualmente, sperimentando attitudini che spaziando tra i tentativi di totale modernità e gli schiaffoni sulle dune di una spiaggia con il famoso ritornello “Dillo ancora che lo ami”, “Sì che lo amo”.
Nel 1973, Sordi la sceglie di nuovo per un suo film, Polvere di stelle: anche in questo caso i due interpretano marito e moglie, ma l’ambientazione è la seconda guerra mondiale, e i due attori si ritrovano ad avere un improvviso successo con il loro spettacolo da cui viene la celebre canzone “Ma ndo vai se la banana non ce l’hai”. Anche in questo caso, il connubio regge molto bene, Sordi e Vitti si completano a vicenda con la capacità di mischiare la maschera tragica con quella comica.
La carriera di Monica Vitti, dopo le esperienze con il cinema d’autore e la commedia, prosegue anche negli anni Ottanta, quando ritorna a lavorare con Antonioni e a recitare in diversi spettacoli teatrali. Non solo: Vitti si cimenta anche nella regia, debuttando nel 1990 con il film Scandalo segreto.
Durante più di trent’anni nel cinema la sua capacità di sapersi misurare con tutte le sfumature della recitazione, dai ruoli seri e silenziosi a quelli più estroversi e scanzonati, le ha consentito di essere un’attrice che ha fatto della sua bellezza un fattore solo secondario, cosa non scontata in un ambiente come quello cinematografico che ancora relega spesso la donna a puro oggetto di arredamento. Mai volgare, mai esagerata, sempre divertente e spesso commovente, Monica Vitti incarna lo spirito dell’italianità contraddittoria, sentimentale, sincera, il misto di quei due elementi che cita lei stessa proprio in quella pubblicità del ’93: “comico e drammatico”.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta l’8 agosto 2018.