Per compilare una lista delle migliori serie di quest’anno bisogna partire da un dato di fatto: dal livello di realizzazione a quello di immaginazione dei creatori l’asticella si è alzata e i distributori hanno messo sul piatto un’offerta qualitativamente incredibile. Scegliendo cosa guardare alla sera non ci si fa più la domanda se quello che vedremo sarà “bello”, ci si chiede piuttosto in che mondo vogliamo immergerci, che avventura vogliamo vivere, che sentimenti provare.
Anche in America esiste una sorta di TV generalista e quindi più pop. E se proprio si vuole fare un distinguo nelle serie, ci si può appoggiare a questa distinzione. Canali come CBS, ABC e NBC producono serie più popolari, rivolte a un pubblico ben diverso delle serie prodotte dai cable networks come HBO ed AMC e differenti anche dalla serialità prodotta da Netflix o da Amazon. Ma, dato il livello qualitativo generale, è una distinzione che lascia il tempo che trova.
Per i buongustai ci sono poi le serie inglesi che sono tutto un altro paio di maniche. Diverso immaginario, diversi personaggi, diverse sensazioni mentre le si guarda. Per non parlare delle serie animate che ormai entrano di diritto nel panorama del migliore seriale per adulti. Ci sono le serie documentaristiche, quelle coreane, eccetera. Insomma, non ha più senso uscire la sera perché c’è sempre qualcosa di valido da vedere.
Tutto questo per dire che una top list delle migliori serie in assoluto parte dal dato di fatto che una simile classifica non può che essere esclusivamente personale. Quindi non rompetemi le palle se non metto Games Of Thrones: me la guardo e mi diverto e non vedo l’ora di vedere che combinano i draghi e chi scoperà con chi, ma se devo parlare di cosa mi fa emozionare allora no, non sta nei primi cinque posti. Stesso discorso vale per Twin Peaks, che non sono riuscito manco a finire, e per la terza stagione di Fargo. Ho visto le prime puntate, mi piacevano moltissimo e poi, semplicemente, ho smesso di avere voglia di vederla. Forse è un panorama troppo dispersivo o forse, con tutta questa offerta, siamo tornati a essere centrali noi, con i nostri gusti.
Aggiungo come ultima nota che siamo ancora a novembre e che ci sono un paio di serie che sulla fiducia sarebbero sicuramente finite in questa lista: le prime due puntate della seconda stagione di The Girlfriend Experience sono concettualmente e visivamente stupende, e il 15 novembre esce poi la quarta stagione di Peaky Blinders, e figuriamoci se non sarà un capolavoro come le altre. Finite le premesse, andiamo alla posizione cinque.
5. MASTER OF NONE STAGIONE 2 (NETFLIX)
Lo so, lo so, proprio su The Vision è stata pubblicata un’analisi abbastanza accurata sul perché la seconda stagione di Master of None sia stata una grossa delusione, ma tant’è, io non la penso così (avete letto la premessa?). È vero, le prime due puntate sono un insulto all’Italia, un insulto articolato attraverso i peggiori stereotipi dell’essere italiano. Ed è vero che il personaggio della Mastronardi è tagliato con l’accetta per tutta l’intera stagione. Ma, a parte questi incidenti di percorso, ci sono puntate nella seconda stagione di Master Of None che dimostrano una maturità da parte di Aziz Asnari che era impensabile nella prima stagione. E non parlo tanto della puntata “Thanksgiving” (per cui la sceneggiatrice e attrice Lena Waithe ha vinto un Emmy) quanto di “New York”, “I Love You”, o di “Religion”. Aziz Asnari ha scritto tutte le puntate e mi sento di dire che la scrittura di questa serie sia decisamente tra le più moderne viste in TV quest’anno. E con “moderno” intendo proprio la capacità di cogliere lo spirito del tempo assurdo e velocissimo in cui viviamo. Quella tra Aziz e la Mastronardi è una storia d’amore del 2017 con tutta l’insicurezza e la precarietà che noi trentenni viviamo ogni giorno, ogni scelta non è mai una scelta definitiva, tutto può diventare un joke, perché non ci si può più permettere la sacralità in nulla, soprattutto in una città come New York. Quindi sì, dicevamo: Master Of None è una serie con tantissimi difetti, e non mi metterei mai a litigare per difenderla, e fino alla fine sono stato indeciso se dare questa posizione a Legion (FX, stagione 1) ma la verità è che sono un romanticone e già sto aspettando di capire che succede a quei due nella prossima stagione.
4. RICK AND MORTY STAGIONE 3 (ADULT SWIM)
Questa serie è stata la mia tortura nell’ultimo anno. Tutti i miei amici continuavano a chiedermi se lo avevo visto e cosa ne pensassi, tutti a dirmi che lo avrei adorato. Tendenzialmente, quando mi dicono così, parto che già la cosa mi fa un po’ schifo. Eppure, maledetti, avevano ragione. Avevano ragione tutti. Rick and Morty è una serie animata nata nel 2013 su Adult Swim, la parte di programmazione adulta di Cartoon Network. Nata come una parodia animata di Ritorno al futuro, negli anni le avventure dello scienziato folle Rick e del suo stupido nipote Morty sono diventate molto di più. C’è un momento preciso in ogni animazione di qualità per adulti in cui i personaggi disegnati smettono di essere solo animazioni divertenti e diventano persone vere a cui teniamo e per cui ci emozioniamo. In Rick e Morty potrebbe essere quando Morty, nella prima stagione, è costretto a seppellire il suo doppelganger di un’altra dimensione. Da lì in poi si apre un mondo. O meglio, diversi mondi, dimensioni, realtà alternative. La regola di ingaggio di questa serie è che vale tutto e, quindi, nulla importa. Può succedere qualsiasi cosa in una puntata di Rick e Morty eppure, in questo crogiuolo di citazioni e umorismo macabro, si riconoscono degli sprazzi di un’umanità molto terrena e dolorosa. Lo scienziato Rick è un padre che abbandona e continua ad abbandonare tutti, sua figlia in primis. Morty è la vittima predestinata di ogni sciagura, che si interroga costantemente sulla natura della sua esistenza. La famiglia Smith è una famiglia disastrata sull’orlo del precipizio e il fatto che ogni giorno debba vivere delle avventure cosmiche non la allontana dalla sofferenza comune di un divorzio o di una figlia teenager ribelle. Ma, a parte una seconda lettura obbligata di diversi episodi, Rick e Morty è soprattutto una serie divertente. Si ride come non si faceva dai tempi del miglior Futurama, si ride perché il confine tra umorismo e disperazione è sempre sottilissimo e perché la fantasia dei creatori, Justin Roiland e Dan Harmon, non ha limiti. In questa terza stagione poi, si sono davvero sbizzarriti. La settima puntata è un vero capolavoro sotto ogni punto di vista. Aver prediletto la linea orizzontale degli eventi ha fatto fare un salto in avanti alla serie, che sì richiede più attenzione allo spettatore, ma solo per premiarlo con rimandi e storie ancora più coinvolgenti e ricche.
3. THE HANDMAID’S TALE STAGIONE 1 (HULU)
The Handmaid’s Tale è stato il caso televisivo di quest’anno. Nessuno sapeva cosa fosse poi, poco alla volta, abbiamo iniziato tutti a parlarne. Hulu? Cosa diavolo è Hulu? Margaret Atwood? E chi sarebbe? Ma sono bastate due puntate per farci attaccare a Offred e alle sue disavventure. In un futuro distopico in cui il numero di nascite è vicino allo zero, gli Stati Uniti subiscono un colpo di stato che li riporta a una società patriarcale in cui le poche donne fertili vengono trattate come schiave sessuali. Fra queste Offred, che sta appunto per “of Fred”, di Fred – dove Fred è il suo master. La serie creata da Bruce Miller è stata oggettivamente un fulmine a ciel sereno. Non si vedeva una regia così da tanto tempo e ogni singolo attore, Elisabeth Moss in primis, è in stato di grazia. Come se non bastasse, pur essendo ispirata a un romanzo del 1985, Il racconto dell’ancella, la storia coglie pieno lo Zeitgeist dell’era Trump. Mi rendo conto di andare contro a quanto detto nella premessa premiando una serie per la sua qualità, ma qui parliamo veramente di un oggetto raro, capace di mettere d’accordo chiunque e creare un vero e proprio caso mediatico.
2. BOJACK HORSEMAN STAGIONE 4 (NETFLIX) – attenzione, spoiler
Non mi è per niente facile scrivere di Bojack. Soprattutto di questa quarta stagione. Credo ci sia qualcosa nei disegni animati di Bojack Horseman che parla direttamente alla mia generazione, ai trenta-quarantenni che si sono visti privati di molti dei valori della generazione precedente, senza che se ne accorgessimo o potessero lottare per essi. Nichilisti, nonostante tutto. E Bojack è il nostro eroe, il perdente bastardo per definizione, come tanta letteratura americana, da Barney Panofski in giù, ci ha insegnato ad amare. Il cavallo con sembianze antropomorfe Bojack è un attore diventato famoso grazie a una brutta sitcom degli anni novanta e, in questa quarta stagione, si ritrova costretto a fare i conti con la sua coscienza. Ed è una coscienza decisamente problematica.
Non bastano le risate amare causate da gag surreali a farci dimenticare che Bojack è sostanzialmente un dramma. È una tragedia che, in diversi momenti, raggiunge il sublime. La voce fuori campo di Bojack che si ripete “I’m a piece of Shit” nella puntata omonima, è la voce che tutti noi sentiamo quando ci rendiamo conto di non essere all’altezza degli standard che imponiamo alla nostra moralità e alle nostre azioni. Bojack vorrebbe essere un padre premuroso ma, ogni volta che apre bocca fa danni pesantissimi. Lui ferito, per primo, da una madre orribile. Ma basta entrare nella mente schizofrenica della signora Horseman, in una delle puntate televisive che meglio descrive la malattia psichica, per rendersi conto che tutti siamo stato feriti dai nostri genitori, in una catena di dolore e rimpianti che non ha un inizio e non avrà mai fine.
E poi ci sono così tanti momenti indimenticabili in quelle dodici mezz’ore: la mosca che non vuole più volare perché la sua compagna di vita è morta, la puntata Underground, che si svolge interamente nel sottosuolo come metafora della politica americana contemporanea e poi la puntata in cui la pronipote di Princess Carolyn racconta da un futuro prossimo le vicende della sua lontana progenitrice, solo per scoprire, a fine puntata, che quello della pronipote nel futuro è una fantasia che la stessa Princess Carolyn utilizza per raccontare a se stessa che tutto andrà bene. Alla fine di Bojack mi sono sentito svuotato e solo, perché la morale è sempre quella di accettarsi, pur sapendo che comunque non basterà mai a fare pace con noi stessi.
1. THE LEFTOVERS STAGIONE 3 (HBO)
Se è difficile scrivere di Bojack figuriamoci di The Leftovers. È andata così: quando è iniziata nel 2014 ho visto giusto un paio di episodi. Non mi andava, c’era dietro Damon Lindelof che mi aveva già fatto incazzare abbastanza con Lost e non avevo voglia di vedere perché il 3% della popolazione mondiale fosse scomparsa. E poi c’erano quei tizi che continuavano a fumare che mi davano fastidio. Due anni dopo un amico ha insistito così tanto che ho ceduto e ho recuperato. Ho finito la seconda stagione giusto in tempo per vedere tutta la terza mentre andava in onda. Per spiegare cosa mi ha fatto amare The Leftovers è fondamentale che io vi renda partecipi di un mio piccolo vizio. C’è una cosa che mi piace più di tutte le altre quando leggo o guardo film e serie: mi piace quando anche in situazioni fuori dal comune, assurde, fantasiose, gli scrittori e/o i registi riescono a farmi sentire lo stesso delle emozioni comuni, dei sentimenti reali. Mi viene in mente Charlie Kaufman in Synecdoche, New York. Nell’irrealtà di quel film arriva una scena in cui, per spiegare la solitudine di un personaggio, Kaufman le mette in bocca che vive in una casa costantemente in fiamme. E noi la vediamo questa casa, e vediamo il personaggio viverci normalmente. Non ha senso, eppure, quando l’ho visto ho proprio sentito di capire, ho proprio sentito che è vero, cazzo – certo! – che quella donna aveva la casa in fiamme. La solitudine (sentimento reale) trasmesso attraverso una situazione fuori dal comune (casa in fiamme). Ecco, The Leftovers è un compendio di questa tecnica. Quelle dei personaggi della serie HBO sono storie assurde, eppure sembrano così reali, così umane. Accompagnati dalla musica per film tra le più struggenti mai composte, Kevin e Nora vivono una storia d’amore che non riesco a dimenticare. Lui è convinto di essere il nuovo Gesù Cristo, venuto in terra per salvare l’umanità da un’imminente alluvione. Lei crede di poter utilizzare un macchinario sperimentale per raggiungere suo marito e i suoi figli, scomparsi insieme al 3% del resto del mondo. Si feriscono, si cercano, si perdono e alla fine si ritrovano. L’ultima puntata della terza stagione, ovvero l’ultima di tutta la serie è una di quelle ore televisive che vale la pena rivedere ancora, ancora, e ancora una volta. E no, stavolta non mi hai fatto incazzare Damon Lindelof, perché stavolta non mi hai cercato di spiegare perché quelle persone sono scomparse, semplicemente hai detto che sono scomparse, punto e basta e, con gli ultimi dieci minuti, mi hai fatto capire che una perdita, scomparsa o morte che sia non è mai la storia di chi se ne va, ma è sempre e comunque la storia di chi rimane.