Lady Bird merita un Oscar perché non ha paura della propria femminilità - THE VISION
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Qualche giorno fa mi hanno dato dell’ottusa. Mi è stato rinfacciato l’aver rivendicato il diritto della regista di Lady Bird a “girare come una donna”, che veniva tradotto con il diritto a essere “dolcemente complicate”. Chiariamolo subito: sono colpevole. Non sono stata io a parlare di “dolcemente complicate” (solo perché la formula è stata coniata da un uomo), ma sono stata io a dire – e ora a ribadire – quanto mi riempia di gioia vedere arrivare in sala un film dove una donna non si vergogna di mostrare la propria femminilità attraverso la scrittura e la macchina da presa.

Greta Gerwig e Saoirse Ronan

Perché fino a ieri (ma anche oggi) la distinzione di genere che voleva i maschi blu e le femmine rosa – i primi forti, avventurosi, coraggiosi e le seconde amabili, emotive, sensibili – è stata combattuta a discapito di noi stesse. Per uscire, a ragione, dallo stereotipo delle principesse e rivendicare altri posti nel mondo, noi donne abbiamo iniziato a guardare alla nostra sensibilità e fragilità come a un nemico da combattere. È stato quello il momento in cui ci siamo convinte che per smettere di essere il sesso debole avremmo dovuto “avere le palle”. E così per cinquant’anni ci siamo dette che non c’era spazio per l’essere delle signorine, non potevamo apparire fragili: dovevamo appiccicarci addosso gli attribuiti del maschio. Per rivendicare il nostro essere donne dovevamo diventare uomini.

I danni di questo tipo di femminismo ce li portiamo ancora addosso, e portano a non prendere molto sul serio chi guarda con orgoglio anche alla rivendicazione di un certo tipo di sensibilità. Tra le donne ci sono anche le sensibili, le fragili, le traumatizzate, quelle che non ce la fanno. E il femminismo non può e non deve dimenticarsi di loro. Il risultato delle lotte di allora – che avevano nobili obiettivi, ma che hanno finito con sacrificare troppo per ottenerli – ci ha costretto per anni a vivere tutti, uomini e donne, in stato di guerra. Facevamo la guerra a noi stesse, facevamo la guerra agli uomini, e così facendo involontariamente ammettevamo di partire da una posizione subalterna. Ci sono voluti anni per capire che una donna forte può essere anche una donna che riconosce la propria fragilità. Che il coraggio può essere quello di definirsi sensibili. Coraggio che tra le altre cose anche gli uomini hanno il diritto di rivendicare.

Tornare a preoccuparci anche delle donne fragili e traumatizzate – che possiamo essere noi stesse, con il nostro bel lavoro e la nostra bella famiglia – ci porta poi a non squalificare i traumi altrui, a credere alle donne che parlano, che raccontano di molestie anche dopo anni, magari costrette al silenzio dal proprio orgoglio, obbligate a essere forti. Non è un caso che Lady Bird, progetto a cui la regista stava pensando da più di dieci anni, abbia collezionato quest’anno una sfilza di nomination nelle più importanti competizioni cinematografiche.

Lady Bird

 

Perché il caso Weinstein, oltre a tracciare una linea, a cambiare il modo di intendere, vedere e credere alle molestie, ha riportato all’attualità la necessità di dar voce a ogni tipo di rappresentazione femminile. Ma soprattutto ha dato il coraggio a istituzioni storiche e consolidate – come l’Academy – di fare da cassa di risonanza a tanti vissuti spezzati, che per anni sono stati costretti a mostrarsi integri.

Quel che ho detto fin qui è quel che intendevo parlando di una regista che gira come una donna, il che non significa che le donne debbano girare in questa maniera. Sarebbe sciocco anche solo specificare che ognuno è libero di dare voce alla propria arte come meglio crede.

Greta Gerwig

Sta di fatto che l’Academy, dopo le polemiche sui Golden Globe che non avevano visto nemmeno una regista candidata al premio per best director, ha voluto mandare un messaggio chiaro, e ha fatto entrare Greta Gerwig nella storia. Quinta donna a essere candidata alla regia, è la prima a ottenere una nomination con il suo film d’esordio. Dietro la macchina da presa Gerwig c’era già stata sì, ma solo come co-regista di un film che la vedeva protagonista, Nights and weekends. E come attrice abbiamo imparato a conoscerla e ad amarla, artista capace di dare voce e volto a una generazione che prima di rivedersi nelle Girls della serie omonima si specchiava nelle frustrazioni e nelle ambizioni di Frances Ha, maldestra ballerina alla ricerca della felicità.

Greta Gerwig in Frances Ha

Lady Bird è il nome che Christine ha scelto per se stessa. All’ultimo anno di liceo, la ragazza si sente prigioniera di una provincia – quella di Sacramento – senza ambizioni e possibilità, dalla quale non vuole farsi determinare. Sostenuta dal padre, disoccupato depresso, e in eterno conflitto con la madre, infermiera disillusa, Christie rivendica il suo posto nel mondo, ma anche il suo essere perfettamente imperfetta. Alla madre, combattente cui la lega un rapporto di amore odio, una donna padrona che non le dà tregua perché vuole che sia “la migliore versione di se stessa”, Lady Bird risponde: “E se fosse questa la versione migliore?”

 

 

Capite allora che per me Greta Gerwig ha già vinto, Saoirse Ronan (candidata come migliore attrice protagonista) ha già vinto, noi abbiamo già vinto. Perché Lady Bird è il film che fino a oggi non avrebbe mai trovato spazio in celebrazioni come gli Oscar, dove a essere premiati sono principalmente film di altro genere con altri tipi di registi.

Certo, la strada da percorrere è ancora lunga: un recente studio commissionato dalla scuola di comunicazione e giornalismo della Università della California del sud ha mostrato che in 1100 film diretti negli ultimi 11 anni solo il 4% sono stati diretti da una donna. Non solo: lo stesso studio ha scoperto che le donne registe hanno una carriera più breve rispetto ai colleghi maschi, al punto che l’83,7% di loro non arriva a dirigere il secondo film. Senza nominare poi il fatto che alle donne non vengono date in mano produzioni importanti, perché non viene data loro fiducia, e spesso si ritrovano a poter dirigere solo pellicole indie dai piccoli budget. Un recente studio condotto dal Sundance Institute ha dimostrato che i film indipendenti a basso budget sono diretti per lo più da donne (70,2%) e al contrario solo il 29,8% delle registe donne riceve distribuzioni dai grandi Studios e Major cinematografiche.

Ecco spiegato perché c’era chi voleva Wonder Woman in lizza come miglior film, il primo cine-comic diretto da una donna (Patty Jenkins), ed ecco perché il fatto che Lady Bird sia arrivato tra i nove film che si contenderanno il titolo di “migliore” è la dimostrazione che qualcosa sta cambiando, che alla vecchia visione se ne sta contrapponendo una nuova.

L’Academy si è accorta che era necessario trovare spazio per un’opera dal piccolo budget, senza effetti speciali, capace di lasciar brillare i propri protagonisti e di sostenerli con un montaggio dal ritmo serrato e dal tempismo perfetto.

Nulla di tutto questo era stato possibile fino a ora. E se, come dice qualche estremista, Lady Bird non dovrebbe vincere per non permettere ai detrattori di urlare al contentino, forse invece dovrebbe vincere proprio per mostrare al mondo che le donne non hanno più paura di nulla, nemmeno di essere, per dirla con le parole di un uomo, a cui spesso si presta maggiore attenzione: “dolcemente complicate”.

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