L’anno scorso, in piena ascesa del mercato degli NFT, il regista canadese David Cronenberg ha messo in vendita una serie di immagini dei suoi calcoli renali. Leggendo la notizia, l’ho trovata totalmente in linea con l’umorismo di un artista che ha costruito la sua carriera per metà sulla manipolazione di Franz Kafka, e per metà sulla raccolta di materiale per una categoria porno in cui si assiste alla fusione tra uomo e macchina. Questa adesione a una delle espressioni più sfrenate del capitalismo, infatti, conferma l’ostinazione con cui il regista sostiene la sua “voglia di vendersi”, dichiarata già nel 2005, in tempi non sospetti, al New York Times, ottenendo in risposta la fuga di tutti i produttori disposti a finanziare i suoi film. Allo stesso tempo, però, materializza la sua più grande perversione estetica, quella per la cosiddetta “bellezza interiore”, che nel significato che gli attribuisce offre un’alternativa decisamente più interessante a un concetto abusato che tutti conosciamo, buono solo per gli spot di prodotti skincare. Il regista, infatti, non intende chissà quale esempio di positività morale, ma il piacere che scaturisce dalla vista delle forme che assumono i nostri organi e tutto ciò che sta dentro ai nostri corpi.
Quello che mi ha sempre affascinato del cinema di Cronenberg è la sua capacità di rendere ogni film una seduta di psicanalisi forzata, da cui si esce immancabilmente destabilizzati, e che forse porta a risultati molto più rapidi e brutali del classico percorso decennale. Abbandonandosi alle ossessioni personali che lo assillano e mettendole in mostra, infatti, il regista riesce a ribaltare il nostro modo di considerare noi stessi e ad allargare la visione standardizzata a cui siamo abituati. L’ossessione per l’interno dei corpi, per esempio, è qualcosa che condivide con i protagonisti della sua opera del 1988, Inseparabili, i gemelli Elliot e Beverly Mantle, due semidei della ginecologia, entrambi interpretati da Jeremy Irons, che recita in split screen per tutta la durata del film, portando a termine quella che è la sua performance attoriale più impressionante di sempre – e probabilmente anche quella che più lo ha segnato. Le geometrie degli organi interni, soprattutto se deformi, mostruosi o ripugnanti, eccitano i Mantle tanto quanto il loro regista, che ben prima di optare per la blockchain, ha provato a sublimare questa sua particolare pulsione mettendola in scena.
La trama del film si ispira molto liberamente al caso irrisolto dei gemelli Marcus, trovati morti nel loro appartamento di Manhattan nell’estate del 1975, fatto di cronaca di cui il regista era venuto a conoscenza parecchi anni dopo per poi accantonarlo nella sua mente per molto tempo. In seguito all’enorme successo de La zona morta, nel 1984, infatti, ha dedicato ben tre anni della sua carriera a perfezionare tredici bozze diverse di una sceneggiatura cyberpunk ispirata a un racconto di Philip K. Dick, progetto che non ha mai convinto né lui né i finanziatori e che è stato abbandonato. Scrive poi una saga di fantascienza su insetti e droghe distribuita a Hollywood sulla scia della campagna contro l’uso illegale di stupefacenti di Nancy Regan e ottiene dai produttori una risposta molto simile allo slogan ideato dalla First Lady – “Just say no”. Sviluppa allora una serie televisiva, incoraggiato da HBO a essere “strano quanto voleva”, ma una volta scelto il titolo – “Miami Vice Meets William Burroughs” – è costretto a ripiegare su qualcosa che a quel punto dev’essere sembrato meno eccentrico, soltanto perché le mutazioni all’interno dei corpi di solito restano invisibili, ovvero la chirurgia ginecologica.
Inseparabili è un racconto di realismo magico violato dalle allucinazioni etiliche del William Wilson di Edgar Allan Poe. È la prima opera in cui il regista, dopo aver rinunciato a molti dei suoi progetti a causa delle vicissitudini finanziarie, parte da un evento reale per renderlo qualcosa di fantastico. Se dovessi scegliere il mio film preferito di Cronenberg, infatti, non saprei con che titolo rispondere se non fosse per la frattura che Inseparabili ha aperto nella sua filmografia. Come se, non riuscendo a produrre gli horror che aveva in mente, si fosse spinto a sperimentare una nuova cifra espressiva più introspettiva, ma altrettanto sordida e corrotta, che scava dentro la carne invece di limitarsi a trasformarla in superficie. Questa svolta “interiore” mi è sempre sembrata affascinante perché permette di trattare le perversioni dei suoi protagonisti come qualcosa che ha una consistenza palpabile. Le intrusioni nell’universo psicologico dei personaggi, infatti, sono così conturbanti da superare qualsiasi classificazione clinica venga data loro, e rendono i Mantle due figure che estremizzano il topos dello scienziato onnipotente, ma soprattutto ampliano la dimensione narrativa del sosia, eliminando la figura del gemello depravato, che viene introiettata da ciascuno dei due e manifesta così la sua presenza costantemente, senza bisogno di sdoppiamenti o metamorfosi.
Elliot e Beverly, infatti, condividono le sembianze fisiche, i successi professionali e le donne con cui fanno sesso – spesso incapaci di distinguerli e dunque ignare dei rapporti scambisti a cui vengono sottoposte –, ma sono persone diverse per caratteristiche, inclinazioni e perversioni. Se per il primo la bellezza interiore è più una questione vicina al voyeurismo e al tempo stesso all’analisi scientifica, per il secondo la precisa conoscenza dei corpi femminili è lo strumento migliore per raggiungere l’unica cosa che gli interessa quanto la chirurgia: l’orgasmo. Ciononostante, i due non possono certo essere incasellati in un dualismo stretto. Al contrario, attraverso il legame morboso che li fa sentire interi, completi e sani solo quando sono uniti in una relazione simbiotica – e spesso addirittura parassitaria – ognuno dei due rappresenta, a suo modo, il rimosso della società del benessere, basata un’educazione sessuofobica – che quando ho fatto il liceo è riuscita a rendere astratte anche le due ore di educazione sessuale inserite faticosamente nel programma, riducendole a tante sezioni vagine e glandi stampate sul libro. È soprattutto questa, infatti, a renderci incapaci di assecondare il nostro gemello depravato, esplorando fino in fondo le fantasie e i desideri che abbiamo etichettato come condannabili solo perché ci è stato insegnato così.
Il delirio di onnipotenza da cui i protagonisti sono mossi durante gli interventi è strettamente legato all’euforia data dalla sensazione di controllo sulla natura, che sentono di poter riconfermare a ogni taglio di bisturi. Le operazioni seguono un andamento coreografico, come in una versione postmoderna degli spettacoli del Grand Guignol applicata alla ricerca scientifica. Nel completo assoggettamento a questa forma di ossessione, Elliot e Beverly rivelano le deviazioni più sinistre della loro personalità e si fanno inghiottire dal desiderio di affondare tra le irregolarità dei corpi che visitano, che è insopprimibile quanto quello di riportarli alla regola, rappresentata ancora oggi, nella nostra cultura, da una femminilità che implica necessariamente la maternità. Le pinze, i divaricatori e le forbici che Beverly disegna personalmente sono l’immagine della loro hybris: dei pezzi di design a metà tra zampe d’insetto mozzate e strumenti di tortura medievale, che non sembrano nati per guarire, ma per lacerare.
La non-conformità fisica, infatti, spinge i Mantle a voler governare ogni possibile fenomeno della carne, ma sarà quella che hanno sempre considerato una deformità emotiva la variabile che inizierà a deteriorare il loro rapporto, ovvero un sentimento esclusivo quanto quello che intercorre tra i due, ma estraneo alla loro perfetta simmetria: l’amore verso un’altra persona. Il legame di Beverly con Claire (un’attrice televisiva interpretata da Geneviève Bujold) lo allontana infatti dal suo gemello e rappresenta uno dei tentativi di Cronenberg di trovare nuovi luoghi in cui provare a oltrepassare il confine che ci separa gli uni dagli altri. Nel corpo, nel sesso, ma soprattutto nel desiderio individuale impossibile da trasferire – spesso addirittura da spiegare – a chiunque altro, Beverly scopre una dimensione di sé che oltrepassa la materia e che non è in grado di amputare con gli strumenti metallici che è tanto bravo a usare sugli altri.
La scoperta di un aspetto incontrollabile della propria personalità strappa il cordone ombelicale che lega Beverly a Elliot, e la profonda crisi esistenziale che ne deriva rappresenta il punto più alto dell’interpretazione di Ivory, che arricchisce entrambi i personaggi con le suggestioni fornitegli da Cronenberg, dai Princìpi di ginecologia di Jeff Coate, alla biografia The Two, che racconta la storia di una coppia di gemelli siamesi, passando per Freaks di Leslie Fiedler e per diverse letture sulle droghe. Mentre Beverly si abbandona alla sua dipendenza da eroina, perché convinto che Claire lo abbia tradito e incapace, a questo punto, di ricucire le connessioni emotive che lo legavano al fratello; Elliot si rende conto che quel disfacimento inesorabile non può che riguardare anche lui. Una delle ultime scene li vede così impegnati in un passo a due che riempie il loro appartamento, mentre programmano ad alta voce i tempi e le modalità della prossima dose.
Beverly ed Elliot Mantle, dunque, non sono mai stati Cyril e Stewart Marcus. Inseparabili non propone ipotesi sulla loro vita o sugli eventi del 1975. Come accade con gli scenari surrealisti di J. G. Ballard – a cui Cronenberg si ispirerà nel 1996 per realizzare Crash – quello portato avanti in questo film è un esperimento sulla natura umana, che parte da una particolare attrazione per le anomalie e si spinge oltre i limiti del possibile, assicurandosi di non escludere dalla sua osservazione nemmeno le derive più assurde – o socialmente ripudiate – della nostra esperienza, della percezione del nostro corpo e degli impulsi che ci spingono verso gli altri.