“Il dubbio”, con Hoffman, è una cruda riflessione sul sistema di omertà della Chiesa cattolica - THE VISION
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Nel corso della mia adolescenza ho tentato di tutto per smettere di mangiarmi le unghie. Dal semplice ma costante esercizio del tenere le mani occupate, all’applicazione di smalti repellenti sulla loro superficie, fino ai promemoria disseminati in ogni angolo della mia stanza, a ricordare quello che sarebbe stato l’ennesimo, ultimo cedimento. Non c’è metodo o stratagemma, però, che per me abbia mai funzionato davvero nell’estirpare questa compulsione, che continua a farmi sentire in qualche modo “colpevole” quando ci ricado, soprattutto se sono gli altri a farmela notare. È una sensazione piuttosto spiacevole, che mi si è ripresentata anche la prima volta in cui ho visto Il dubbio, film del 2008 di John Patrick Shanley, tratto dalla sua omonima pièce teatrale ambientata in un collegio cattolico del Bronx nel 1964 e vincitrice nel 2005 del Premio Pulitzer. 

Padre Flynn – il protagonista interpretato da Philip Seymour Hoffman – a un certo punto, durante un lungo monologo, ammonisce i suoi studenti proprio sul valore “morale” delle unghie perfettamente pulite e della giusta lunghezza, appena sopra il polpastrello, come se questa forma di cura – per me del tutto inaccessibile – potesse rappresentare da sola il passaporto esistenziale per l’incorruttibilità. La causa del mio disagio, però, aveva poco a che fare con i tipici sensi di colpa che ci assalgono quando ripetiamo un automatismo che invece vorremmo saper evitare, non solo almeno. Le parole che Flynn pronuncia mentre esibisce le mani tozze davanti alla classe, mi hanno dato la netta impressione che il prete nascondesse qualcosa che fino a quel momento mi era sfuggito, perché sembrano violare lo spazio personale dei ragazzi anche senza che lui li tocchi fisicamente, tradendo la sua attenzione maniacale per un dettaglio apparentemente da nulla.

Questo sentimento di repulsione e diffidenza che lo spettatore sviluppa nei confronti del parroco è legato a doppio filo con la gravità dell’accusa di pedofilia che gli viene mossa nel corso della trama e che finisce per intaccare in modo irreversibile la sua figura, che nelle prime scene era invece stata presentata come positiva, quasi eroica nel suo tentare di aprire l’educazione cattolica a nuove esigenze sociali. Quando due monache dell’istituto, Suor James e Suor Aloysius – interpretate da Amy Adams e da una straordinaria Meryl Streep – iniziano a sospettare che Flynn sia un pedofilo, infatti, l’insinuarsi di questo dubbio lo rende irriconoscibile, come in una di quelle illusioni ottiche dove prima vedi un’immagine – progressista, attenta agli studenti, disposta a prendere posizione in prima persona per smussare la rigidità di un’istituzione millenaria – e subito dopo un’altra, che non appartiene in alcun modo alla prima – sordida, mossa da intenzioni brutali, capace di schiacciare la fragilità altrui e abusare del suo potere nel modo più feroce e meschino. Il dubbio, infatti, è anche una cruda riflessione sulla piaga della pedofilia nella Chiesa statunitense, che nel periodo in cui venne pubblicata la pièce di Shanley, è stata sottoposta a diverse indagini – spesso coinvolgendo anche collegi e istituti di formazione – tra cui la nota inchiesta del The Boston Globe – che vinse a sua volta il Pulitzer solo due anni prima, nel 2003 – su Bernard Francis Law, l’arcivescovo di Boston accusato di aver coperto abusi in diverse parrocchie, per un totale di 552 minori.

A rendere il film una reale esperienza di dubbio è proprio il fatto che il sospetto non venga mai né confermato né smentito definitivamente, costruendo così un limbo d’incertezza che da un lato mi ha fatto percepire come violento qualsiasi contatto fisico tra il parroco e Donald, lo studente a cui è più legato, ma allo stesso tempo mi ha spinta a diffidare anche dalla furia accusatoria di Suor Aloysius, che macina la materia dell’equivoco per renderla motivo di condanna, partendo da dettagli e pretesti che spesso non sembrano meritare l’appellativo di “prove” – l’alito del ragazzo che sa di vino rosso, il prete che ripone una maglietta nel suo armadietto, l’affetto che li lega e che tutto a un tratto si fa rancido. Il conflitto aperto tra il parroco e la monaca, infatti, sembra mosso da un contrasto ideologico più che da un autentico bisogno di giustizia, perché oppone due visioni incompatibili del cattolicesimo – una più liberale, preludio del Concilio Vaticano II, l’altra fedele a certi principi ritenuti indiscutibili.

La narrazione ci costringe a oscillare costantemente tra due poli, senza alcun punto di riferimento affidabile – come fa la stessa Suor James, che incarna questa titubanza disturbante, frutto di un profondo senso di scissione interiore. La visione del film diventa così una vera e propria ricerca del giusto, una sorta di tribunalizzazione che non si applica soltanto ai comportamenti dei protagonisti, per cercare di capire chi dei due abbia ragione, ma si estende anche a un elemento che rimane sullo sfondo del loro scontro: il sistema di copertura che la Chiesa ha utilizzato – e utilizza – per proteggere i preti accusati di pedofilia. Al di là delle possibili ragioni che animano Suor Aloysius, infatti, lei è l’unica che si preoccupa di mettere in discussione Flynn, tentando in tutti i modi di fermarlo, mentre il parroco da parte delle istituzioni ecclesiastiche non subisce alcuna indagine ufficiale o ripercussione in seguito all’accusa di reato. Da questo punto di vista, Il dubbio rispecchia perfettamente alcuni tra i più noti casi di omertà interni alla Chiesa, su cui spesso non è mai stata fatta chiarezza, o solo molti anni dopo e in maniera estremamente parziale.

A partire dagli anni Zero, infatti, l’istituzione clericale è stata oggetto di molteplici inchieste giornalistiche e giudiziarie, nate per indagare su casi simili a quello della storia – come accaduto nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga circa due anni fa, con coinvolgimento dello stesso Joseph Ratzinger tra i sospettati di copertura. Nonostante ciò, ancora oggi si sa poco dell’Italia, dove stando all’ultimo report stilato dalla Rete L’Abuso, i preti pedofili denunciati negli ultimi quindici anni sono stati soltanto 418, 164 dei quali condannati in via definitiva. Se si pensa che i dati raccolti in Francia a partire dal 1950, invece, hanno registrato 216 mila minori vittime di oltre 3mila parroci; o che il report più recente sulla sola Chiesa dell’Illinois negli Stati Uniti, ha segnalato oltre 2mila casi di abusi prendendo in esame più o meno lo stesso lasso di tempo, i numeri italiani fanno ipotizzare la presenza di un enorme sommerso, dovuto alla mancanza di rapporti redatti direttamente dalla giustizia clericale o dalla CEI, che quindi non permette di valutare la reale situazione nel nostro Paese.

A differenza di altre realtà europee come la Spagna, dove nel 2022 la Conferenza episcopale ha incaricato uno studio legale di stilare un’inchiesta indipendente sugli abusi sessuali; o della stessa Francia, che si rifà a una commissione esterna alla Chiesa per valutare questo tipo di reati; in Italia permane la contraddizione per cui a prendere tutte le decisioni sui preti pedofili, in uno Stato che si professa laico, è la giustizia episcopale. Questo determina una gestione dei casi del tutto interna alla Chiesa, che oltre a spiegare la mancanza di dati completi riguardo il nostro Paese – confermata dall’unico report mai stilato dalla CEI, nel 2022, che è ancora più lacunoso degli altri –, rappresenta l’apice di un fenomeno di omertà sistemica e legittimata, che coinvolge l’intera organizzazione ecclesiastica nei suoi rapporti con gli apparati statali andando ben oltre i confini italiani, proprio come viene mostrato nel film. In una delle scene finali, infatti, Suor Aloysius viene a sapere che Padre Flynn non solo non è stato sottoposto ad alcun accertamento da parte dei loro superiori, ma ha persino ricevuto una promozione prima di essere trasferito in un’altra diocesi – come accade ancora oggi alla maggioranza dei preti coinvolti in indagini o sentenze confermate, con la conseguente possibilità di reiterare le violenze su altre vittime –, vivendo questa notizia come un vero e proprio tradimento della sua fede nella Chiesa come istituzione.

L’espediente dei trasferimenti successivi è infatti una delle strategie che i vescovi utilizzano per eludere l’eventualità di dover consegnare i loro sottoposti alla magistratura, con un meccanismo che in Italia è avvallato anche dai Patti Lateranensi – dove si afferma che questi siano “esonerati” dal collaborare con la giustizia statale, non essendo pubblici ufficiali –; ma è un pericolo insito negli stessi principi del sacramento della confessione, che impediscono di rivelare il peccato o l’identità del peccatore che lo ha commesso, qualsiasi esso sia, e quindi possono alimentare il sistema di copertura quando usati in modo strumentale. A questo proposito, anche la lettera apostolica Vos estis lux mundi che Papa Francesco ha divulgato nel 2019, pur rappresentando un passo avanti nelle logiche della legge canonica, chiarisce che per i vescovi non ci sia alcun obbligo di denuncia, soltanto un “invito”. L’aura di impunità creata attorno ai preti da questo insieme di fattori – tra cui compare ovviamente anche il trauma subito dalle vittime, che spesso le porta a evitare di raccontare gli abusi subìti o ad aspettare diversi anni per farlo, con il rischio di vedere i reati cadere in prescrizione – trapela anche dal film, soprattutto per l’interpretazione magistrale di Hoffman, che alterna ai suoi gesti paterni nei confronti dei ragazzi dei commenti e delle attenzioni più che ambigue, come se fosse certo di poter superare il limite, a volte, perché non esisterebbe comunque testimone abbastanza decisivo da determinare la sua condanna.

Il dubbio, dunque, è il teatro di un duplice processo: quello fallace in cui Padre Flynn e Suor Aloysius attaccano l’uno le idee dell’altra, impossibile da concludere; e quello che lo spettatore fa spontaneamente al sistema corrotto in cui si muovono entrambi, uno dalla posizione di assoluto privilegio che spetta ai preti, l’altra da un grado più basso delle gerarchie ecclesiastiche, dove l’esposizione al sopruso è già qualcosa di tangibile – tanto che, pur essendo poche le suore che denunciano, anche queste subiscono spesso violenze e abusi di potere. Ciò che viene percepito come indiscutibilmente condannabile, alla fine del film, è infatti il meccanismo che ignora il dubbio di Suor Aloysius, invece di provare a risolverlo con un’azione orientata alla giustizia, soffocando i suoi sospetti in un silenzio obbligato, che mira a proteggere la Chiesa invece che le sue possibili vittime.

Nel momento in cui Flynn viene promosso, gli sforzi che la monaca ha fatto per rispettare i suoi valori, inseguendo ciò che riteneva giusto, vengono vanificati, resi muti dal negazionismo di un’autorità che pur essendo a conoscenza di molti dei reati di cui è corresponsabile, preferisce fingere di non vederli. Anche se negli ultimi anni sembra che la Chiesa si stia sforzando per arginare il fenomeno della pedofilia, infatti, non ci sarà misura sufficiente a sradicarlo finché non si riuscirà a smantellare il sistema di omertà che protegge i preti, per consegnarli alla giustizia statale. Sollevare la coltre delle coperture è dunque l’unico modo per trasformare i dubbi in fatti, prove su cui basare un processo equo, che riconosca e difenda la voce di chi è stato abusato, non quella inevitabilmente più forte del suo carnefice.

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