“How to Have Sex” mostra come l’impatto con la sessualità, per tante ragazze, sia spesso violento - THE VISION

Penso ci ricordiamo tutti e tutte le aspettative che da adolescenti nutrivamo nei confronti delle gite scolastiche, delle vacanze studio, o dei primissimi viaggi da soli con gli amici. Ciascuno ha il suo bagaglio di esperienze che fanno sentire molto adulti i teenager, e che, per alcuni versi, rappresentano un momento di passaggio verso la maturità. Esperienze di autonomia, di lontananza dal nucleo familiare, di responsabilità e magari di scoperta del sesso in luoghi in cui ci si ritrova tutti coetanei contemporaneamente: quanti e quante hanno avuto un rapporto per la prima volta durante un viaggio in compagnia di amici o compagni di scuola? Un vero e proprio Bildung che passa anche attraverso la curiosità di vivere ciò che, per un ragazzo o una ragazza, rappresenta una tappa esistenziale fondamentale per dirsi parte di una comunità.

Per quanto questo impulso universale accomuni più o meno tutti, però, non è detto che l’esperienza sia semplice e spontanea per altrettanti. Anzi, l’ansia che questo momento arrivi, la preoccupazione di essere indietro rispetto ai propri coetanei, la fretta o il sovraccarico emotivo che si riversa nelle aspettative, fomentate anche da una mitologia cinematografica e televisiva, possono contribuire a renderlo una prova tutt’altro che piacevole, per non dire traumatica. È di questo che parla How to Have Sex, film della regista inglese Molly Manny Walker disponibile da oggi su MUBI.

Tara e le sue due migliori amiche, Em e Skye, sono tre ragazze di Londra che hanno appena compiuto diciotto anni e che, come viaggio post esami di maturità, decidono di partire da sole per Malia, città dell’isola di Creta. Si tratta di una delle tante località turistiche che vengono invase dagli inglesi in estate, soprattutto da giovani, orde di adolescenti e ventenni in cerca di divertimento da qualche parte nel mar Mediterraneo. È un legame molto stretto, infatti, quello tra il turismo anglosassone giovanile e le isole, basti pensare a posti come Ibiza o Santorini, che in estate esplodono di inglesi esaltati che girano per discoteche. Del resto, ne parlavano anche i Blur nella loro canzone Boys and Girls, “Street’s like a jungle, so call the police, following the herd down to Greece on holiday”, letteralmente: “Seguire il gregge in vacanza in Grecia”.

Le tre amiche, così come ogni ragazza a quell’età, vivono la formazione sessuale come una tappa imprescindibile per la formazione individuale: Tara, che alla fine del liceo è ancora vergine, è convinta di poter approfittare di questa dimensione di festa costante del villaggio turistico in cui vanno per togliersi l’impiccio di un obiettivo non ancora raggiunto. Non aver fatto sesso per lei è come avere qualcosa che manca, un tassello esistenziale che, con la sua assenza, la marchia in modo negativo rispetto alle sue coetanee, anche quelle più vicine a lei, che non perdono occasione per sottolineare il suo ritardo. La competizione, mescolata alle gelosie e ai meccanismi complessi che si instaurano nelle amicizie adolescenziali, fa da propulsore in questo racconto di scoperta in cui ciascuna delle protagoniste vive sia come parte di un gruppo che come elemento singolo che vuole andare un po’ più là rispetto alle sue condizioni normali, quelle che ha lasciato a casa. L’isola, infatti, ha un ruolo metaforico preciso, dal momento che si tratta di una dimensione in cui le regole vengono sospese, in cui il tempo si dilata e dove la simultaneità della presenza di così tanti ragazzi viene “dopata” da una forma di divertimento indotta. A Malia si va per divertirsi, e chi si oppone a questo precetto di intrattenimento perenne – tra alcol, vocalist che urlano, giochi osceni, musica martellante, droghe sintetiche e tutto ciò che un genitore potrebbe immaginarsi nei suoi peggiori incubi – è solo un guastafeste.

L’isola però è anche asfissiante. Dall’isola e dal suo clima di baldoria senza sosta, un po’ come Pinocchio nel paese dei Balocchi, Tara non può scappare, neanche quando si ritrova a esserne sopraffatta. In questo senso di oppressione e di mancanza di via di fuga la colonna sonora gioca un ruolo fondamentale nel racconto: da un lato prevale il rumore assordante delle discoteche, della musica house ed elettronica con cassa dritta e bassi incessanti, e delle urla dei vocalist che incitano i presenti a fare sempre di più, tra giochi alcolici ed erotici, dall’altro c’è il silenzio, il rumore del mare che proviene dalla spiaggia, che fanno da vero sottofondo ai pensieri della protagonista. In spiaggia, infatti, allontanata da tutto il resto del gruppo, Tara ha per la prima volta esperienza del sesso, non con il ragazzo che le piace ma con un altro componente della comitiva che si dimostra più intraprendente nei suoi confronti. Fin troppo intraprendente, bisognerebbe dire, dal momento che, per quanto lei stesse cercando di poter vivere quel momento, togliendosi di dosso l’incombenza della verginità, la costringe più di una volta a fare sesso con lui, approfittando del clima di festa e dell’alcol a fiumi che scorre tra le strade di Malia.

L’impatto di Tara con la sessualità, come succede per tante ragazze, è violento. Non sempre sei preparata al dolore fisico che puoi provare, alle conseguenze emotive che ti lascia addosso, al fatto che perdere la verginità, spesso, non significa nulla. Un po’ come compiere diciotto anni, quando credi di svegliarti nel corpo di un’altra persona, e invece sei la stessa di prima: è il tempo, e l’esperienza che accumuli dopo aver sbloccato un processo di novità, a cambiare davvero il corso degli eventi, esattamente come con il sesso. Il carico di aspettative e di emozioni che si riversa in un momento simbolico di passaggio, che nel caso della donna è legato anche a un bagaglio di stereotipi  e pregiudizi vecchi di millenni – la purezza, l’innocenza – può anche ribaltarsi, diventando solo una grande delusione o un brutto ricordo. Ciò non vuol dire che la sessualità per Tara – né per qualsiasi altra ragazza che come lei vive la sua prima volta in modo tutt’altro che piacevole – sarà sempre così, al contrario, è solo l’inizio di una fase esistenziale che, non a caso, coincide anche con una formazione individuale e con l’ingresso nella società. Sono infatti i giorni in cui le tre amiche aspettano i risultati degli esami di maturità per sapere in che università potranno accedere.

Il piano del racconto che vediamo sull’isola si mescola così bruscamente con quello che non vediamo, ossia la città che le amiche hanno lasciato prendendo un aereo per Malia. Per quanto si possa sospendere la realtà accodandosi a un rito collettivo di spensieratezza e giovinezza, si tratta comunque di un tempo limitato. Finisce l’estate, finiscono le vacanze, e finisce anche l’idea che si possa evadere dalle proprie responsabilità, trovandosi faccia a faccia con il dovere. Per Tara, il viaggio alla scoperta della sua sessualità e della sua libertà diventa così anche un viaggio a ritroso verso ciò che ha messo da parte prima del viaggio, i conti in sospeso con la sua crescita e con il suo diventare adulta. Sono due elementi fondamentali in un certo periodo breve e intenso della vita che, visti da lontano, risultano talmente relativi da apparire teneri, eppure hanno un impatto totalizzante: la scuola e il sesso, da un lato le regole, le prove, i doveri, dall’altro uno strumento di scoperta, il piacere, il proibito; entrambi ti formano per sempre.

Il tema scelto da Molly Manny Walker per il suo esordio cinematografico è tutt’altro che inedito, eppure la storia di Tara ha qualcosa di inconsueto e originale nel modo in cui racconta una fase di passaggio, il cosiddetto coming-of-age. Non solo per la vicinanza con cui entriamo nella dinamica sociale che coinvolge queste ragazze apparentemente sfacciate, esplicite, che si presentano con il chiaro intento di sembrare più grandi di quello che sono, tramite i loro abiti, il trucco, ma anche mentendo sull’età. C’è una grande cura nei dettagli estetici della classe di appartenenza dei protagonisti di questo film, nella rappresentazione dei cosiddetti “chav”, i tamarri inglesi che invadono le discoteche con atteggiamenti violenti. Non è un caso, infatti, che esistano diversi format televisivi basati esattamente sullo stesso principio narrativo di How to Have Sex: pensiamo a Geordie Shore, Ex on the Beach, Temptation Island. Tutti programmi comunemente detti “trash”,  in cui concorrenti provenienti da un’estrazione sociale piuttosto bassa si raccolgono su un’isola o in una località di mare per bere, accoppiarsi, fare festa. Ragazzi e ragazze muscolosi, pieni di tatuaggi, con le ciglia finte, le unghie lunghe, le labbra gonfie di acido ialuronico, la rissa facile. È come se Walker avesse preso questo stereotipo e lo avesse ribaltato, portando a galla i suoi aspetti silenziosi, intimi e riflessivi, in pieno contrasto con il rumore della baldoria perpetua in cui si identificano.

Il personaggio di Tara riesce a essere al contempo un elemento integrato in questo scenario, desiderosa di trovarsi in quel posto, abbracciandone i principi di spensieratezza e leggerezza, ma anche di rottura. L’universalità del suo racconto, e la particolarità dell’estetica e dell’ambientazione, si fondono in una storia che ci riguarda perché pesca nella memoria condivisa di un’esperienza che per quanto soggettiva, viene accompagnata da una carica di premesse e aspettative che ci riguardano tutte. La forza di Tara, che nella realtà della violenza subita e nella delusione per ciò che ha vissuto riesce comunque a proiettarsi nel futuro, è il modo in cui Walker conclude How to Have Sex senza giudizio né morale. Non c’è un bilancio didascalico né una condanna, siamo noi che, guardando Tara tornare a casa con le sue amiche, possiamo trarre le conclusioni di ciò che l’aspetta una volta tornata a casa. E sappiamo che ciò che l’aspetta, finita la gita e la vacanza, è una vita davanti che deve ancora iniziare, per quanto sembri già in piena corsa.


“How To Have Sex” è disponibile in streaming su MUBI. Iscriviti qui per guardarlo gratis e ottieni 30 giorni di prova. 

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