L’area intorno alle cascate dell’Iguazú, al confine tra Argentina e Brasile, un tempo era abitata da numerose tribù, tra cui quella Guaraní. Secondo una delle sue leggende il mondo era governato da Mboi, un dio-serpente a cui era stata destinata in sacrificio una giovane donna di nome Naipi, innamorata di Tarobá, un guerriero appartenente al suo popolo. La ragazza era così bella, si racconta, che poteva fermare il corso delle acque semplicemente con il suo sguardo. In un disperato tentativo di sottrarla al suo destino, approfittando della calma della notte, Tarobá cerca di portarla via con sé, su una canoa spinta dalla corrente del fiume. Quando Mboi scopre della fuga, si infuria a tal punto da squarciare la terra: il suo corpo serpentino causa un’enorme frattura da cui scaturiscono le cascate; lei viene trasformata in una roccia, continuamente battuta dalle acque; lui diventa una palma piantata sul ciglio del precipizio, la cui radice si piega nel profondo del burrone, sotto l’occhio vigile del dio. È stato un amore irraggiungibile, si dice, a dare forma al salto d’acqua dell’Iguazú. Quando si perdono lungo il ciglio di una strada, è proprio in questo luogo che sono diretti Lai e il suo amante, Ho, protagonisti di Happy Together del regista e sceneggiatore Wong Kar Wai, tra le voci più influenti del cinema asiatico contemporaneo, disponibile su MUBI all’interno della rassegna cinematografica queer Questo non è un coming out.
Lai (Tony Leung) e Ho (Leslie Cheung) hanno appena lasciato Hong Kong per trasferirsi insieme in Argentina, alla ricerca di una vita migliore. Ho è il più instabile dei due: entra ed esce dalla vita dell’altro ogni volta che ha bisogno delle sue attenzioni. Lai, invece, è un tipo silenzioso, leale, premuroso. È il punto d’atterraggio di Ho: il suo cuoco, il suo fattorino, il suo compagno di ballo – tutto ciò di cui ha bisogno. Stanno per lasciarsi, ma è inevitabile, come tutte le altre volte precedenti, come lo saranno le successive. Ritrovarsi emotivamente, culturalmente e finanziariamente isolati in una terra straniera non è facile, e poi tra loro due è sempre un tira e molla, sentimentale e a tratti fisico. Un ciclo continuo di rotture e riconciliazioni. Nessuno dei due vuole andarsene o lasciare l’altro, ma allo stesso tempo non sono nemmeno abbastanza innamorati da imparare a far funzionare davvero la relazione. “Ho diceva sempre ‘Ricominciamo’, e ogni volta ci ricascavo. Stavamo insieme da un po’ e ci lasciavamo spesso”, ammette Lai, nelle prime scene del film. “Ogni volta che diceva: ‘Ricominciamo’, finivo per tornare con lui. Per ricominciare abbiamo lasciato Hong Kong”. Questa volta Ho non glielo ha ancora detto, ma Lai è consapevole che è questione di tempo mentre racconta la loro ultima rottura. Sa perfettamente che la separazione non durerà e, quasi rassegnato, sembra già pronto a tornare insieme ancora prima che gli venga chiesto. Sono lontani da casa, non sanno che fare delle loro vite, come riuscire a far funzionare di nuovo il loro rapporto.
A Buenos Aires, Ho si prostituisce, spendendo la maggior parte dei soldi in una serie di ubriacature con vari incontri occasionali, mentre Lai trova lavoro come portiere in un locale di tango e affitta un appartamento angusto nel cuore della città. Quando il ragazzo si presenta alla sua porta malconcio e pieno di lividi, brutalmente picchiato, basta una parola: “Ricominciamo”. Inizia così un breve periodo di riconciliazione, fatto di controllo e desiderio, in cui Lai si prende cura di Ho, provvedendo al cibo, alle medicine, alla casa, mentre lui si riprende dalle ferite. Intrappolati in una rete di gelosia, inganni e co-dipendenza emotiva, li vediamo vorticare in un ciclo vizioso in cui a turno si distruggono a vicenda. L’idea che la colpa ricada solo sul comportamento autodistruttivo di Ho viene subito smentita: anche Lai è manipolatore e possessivo, avendo segretamente rubato il passaporto del ragazzo, un gesto che nella loro situazione attuale comporta un esilio indefinito. È impossibile parteggiare per l’uno o per l’altro: entrambi, in qualche modo, sono responsabili della costante tensione nella loro relazione, ma, allo stesso tempo, entrambi sono ugualmente capaci di tenerezza. Sta tutto qui: le urla inutili, i pugni contro il muro, i vetri rotti, persino le spinte; ma poi anche una testa che si appoggia con dolcezza su una spalla, un abbraccio su un tetto, un uomo che singhiozza nell’audio di un registratore perché incapace di esprimere dal vivo il proprio dolore.
Uscito mentre il movimento del New Queer Cinema stava per dissolversi, lasciando spazio alla produzione cinematografica LGBTQ+ mainstream degli anni Duemila, Happy Together racconta una storia d’amore e un sentimento di smarrimento che riescono a raggiungere un livello universale. Nel cercare di non replicare i cliché del genere, il regista asiatico ha infatti finito per creare una narrazione lontana dagli stereotipi, abituati come siamo a rappresentazioni, soprattutto in quegli anni, in cui le esperienze queer sono raccontate principalmente attraverso la violenza, il rifiuto, l’odio per se stessi e il dolore. Sebbene Lai e Ho attraversino queste emozioni, la fonte del conflitto e il fulcro della storia non è la loro sessualità, che non viene mai messa in discussione. Nel paradosso, godono del lusso di avere un rapporto disfunzionale senza per questo avere la pressione di dover rappresentare qualcuno o essere da esempio.
La loro relazione, infatti, è qualcosa di più intenso di due persone che non riescono a stare insieme. Una vera intimità tra loro, che non sia solo sesso, è impossibile perché impossibile è ritagliarsi un posto nel mondo, né a Buenos Aires né a Hong Kong. La nuova città non è accogliente, e nemmeno il loro Paese d’origine lo è. Gli stessi problemi da cui erano fuggiti li seguono ovunque. La Buenos Aires che abitano è allo stesso tempo reale e irreale, a tratti ruvida e disillusa, altre volte così onirica da sembrare immaginaria, un luogo che brulica vivido di infinite possibili altre storie. Happy Together, così, è prima di tutto un racconto di sradicamento e, come spesso accade con le pellicole di Wong Kar-wai, come In the Mood for Love, di profonda solitudine. Il film cattura perfettamente la sensazione di non appartenere a nessun luogo e di non avere un posto da chiamare casa. In più di un’occasione, loro due sono tutto ciò che resta all’altro. Sconosciuti si incrociano e si sfiorano, alla continua ricerca di un senso di appartenenza, mentre restano intrappolati in routine monotone e lavori senza via d’uscita. Ed è proprio il desiderio che nasce dalla vulnerabilità di scoprirsi soli che muove la narrazione: che si tratti di Lai e Ho che si cercano ancora – pur sapendo di dover stare lontani – o del loro bisogno di tornare finalmente a casa, è la promessa di un altro giorno, un’altra possibilità, a mantenere tutto in movimento; ma anche la sua fragilità.
Vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 1997, Happy Together è stato anche una sorta di tentativo di esorcizzare l’ansia e l’insicurezza che circondavano il futuro di Hong Kong in uno degli anni più simbolici della sua storia. Il 1997, infatti, è un momento cruciale, alla vigilia dell’imminente restituzione della città dalla Gran Bretagna alla Cina, dopo un secolo di dominio coloniale. Un passaggio di sovranità che ha segnato l’inizio di una nuova era sotto la Repubblica Popolare Cinese, secondo il principio “un paese, due sistemi”, e che ha avuto un forte impatto sulla sua identità politica, sociale e culturale. L’“handover” ha portato non solo a un periodo di agitazione civile, ma anche a uno stato costante di incertezza per un luogo impegnato a ridefinire la propria identità culturale – sospeso a un bivio tra le sue radici orientali e le influenze occidentali, dopo essere fiorito quasi da un giorno all’altro in una metropoli internazionale in piena espansione. C’era il timore che i diritti civili, la libertà di stampa, l’indipendenza giudiziaria e le libertà individuali potessero essere compromesse sotto la nuova amministrazione cinese, e l’idea che la vita non solo potesse ma dovesse essere altrove, che era tempo di partire. Così, nel film, Hong Kong appare quasi come un ricordo irraggiungibile e già in via di dissolvimento. “Non ho potuto girare a Hong Kong nel 1997”, ricorda Wong Kar-wai nel documentario Buenos Aires Zero Degree, “così ho fatto un film sul rifuggirla”
“Il discorso amoroso è oggi di una estrema solitudine”, scriveva Roland Barthes nel 1977 in Frammenti di un discorso amoroso, perché prima che parlare all’altro, parlare d’amore, dirlo, sembra essere un monologo che facciamo con noi stessi; anche – se non soprattutto – adesso, che il confronto in molti casi si è ridotto a uno scontro evitabile. Non solo per l’incomprensione e l’incapacità di ascolto che spesso emergono, ma anche perché amare a volte è come entrare in un vuoto: tutto scompare, resta solo il nostro sentimento, corrisposto o meno che sia, felice o infelice, che arriva a prevaricare ogni altra cosa Eppure, capita anche di amare ed essere amati e comunque ritrovarsi in una relazione infelice. Una constatazione banale, ma contraria all’idea dell’amore con cui siamo educati, con cui cresciamo. È una promessa parziale, proprio come quella del titolo: Happy Together, felici insieme. Possiamo cadere in dinamiche che non avremmo mai immaginato per noi, intrappolati in gesti che si ripetono, incapaci di uscirne. E a volte perfino i nostri ricordi finiscono per confonderci. La memoria delle relazioni passate si deforma per proteggerci dal dolore o forse – seppur sia difficile da ammettere – contiene verità che si contraddicono, che ci contraddicono. A volte sembra come se, nell’amore, non trovassimo mai le parole giuste: o straripa, o si consuma nel silenzio. O forse, semplicemente, l’amore ha più a che fare con il titolo originale scelto da Wong Kar-wai: 春光乍洩, dal punto di vista idiomatico un fugace scorcio di qualcosa di intimo, ma che tradotto significa “la prima comparsa della luce primaverile”. Che assomiglia molto all’amore: di colpo, accade.
“Happy Together” è disponibile in streaming su MUBI, all’interno della rassegna “Questo non è un coming out”. Iscriviti qui per guardarlo gratis e ottieni 30 giorni di prova.
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