Questi, secondo noi, i migliori film di marzo 2025 - THE VISION
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Da “Le assaggiatrici” a “A Different Man”, passando per la satira audace del nuovo film del regista di “Parasite”, Bong Joon Ho, i cui temi esplicitati sono la stupidità umana e il modo in cui rovina il mondo, molte delle pellicole di questo periodo ci mettono in guardia sulle derive dell’autoritarismo. Ecco secondo noi i migliori film usciti questo mese.

Mickey 17, di Bong Joon-ho

Sembra distopia, ma in seguito all’elezione di Donald Trump anche “Hollywood”, come metafora dell’industria dell’intrattenimento cinematografico, televisivo, musicale, ha smesso di rappresentare la roccaforte dell’élite liberale statunitense che è stata storicamente, dalla controcultura degli anni Sessanta al #MeToo. Sorprende quindi che, nel posticiparne la data di uscita addirittura di quasi un anno, si sia scelto proprio questo periodo per portare al cinema Mickey 17, l’ultima opera del regista sudcoreano Bong Joon Ho, vincitore dell’Oscar per Parasite, il cui tema, come esplicitamente dichiarato, è: la stupidità umana e il modo in cui sta portando il mondo al collasso. Non tanto perché la storia parla di Mickey, appunto, un uomo qualunque della working class che rientra tra i cosiddetti “extendable”, cioè persone destinate a compiti ingrati che ogni volta che muoiono vengono clonate con una stampante 3D che ne conserva i ricordi; ma perché a fargli da contraltare è un leader politico dittatoriale, fatuo e vanesio, che senza nascondersi dietro un dito sembra richiamare direttamente l’attuale presidente degli Stati Uniti. 

Mickey, spedito sul pianeta ghiacciato Niflheim per valutarne la futura colonizzazione, muore ancora e ancora e ancora e ancora, in modi spesso grotteschi e altrettanto banali. Finché una volta la sua copia numero 17 non viene creduta morta – pur non essendolo –, e allora si procede a stamparne la diciottesima. L’esistenza di due versioni di uno stesso individuo è contraria al regolamento e resta da capire come – ma soprattutto se – sia possibile farle convivere. Sono anche molto diverse tra loro: Mickey 17 è un people pleaser, Mickey 18 arrogante e aggressivo. A dargli corpo – e a reggere la pellicola – è Robert Pattinson, che dopo aver recentemente lavorato con David Cronenberg, Brady Corbet e Robert Eggers, conferma di nuovo di essersi smarcato dal personaggio del vampiro di Twilight in cui rischiava di restare intrappolato, con un’evoluzione della sua carriera d’attore interessante e degna di nota. Proprio come lo è la pellicola, che affrontando disparità economiche abissali, la distruzione del pianeta da parte dell’umanità e i pericoli dell’autoritarismo, si fa satira feroce dell’avanzare dell’ideologia conservatrice in tutto il mondo. 

A Different Man, di Aaron Schimberg

Scritto e diretto da Aaron Schimberg, con protagonista Sebastian Stan nel ruolo di Edward, un aspirante attore affetto da neurofibromatosi, A different man esplora temi profondi come l’identità personale, la percezione di sé e il modo in cui la società giudica l’apparenza fisica. Edward decide infatti di sottoporsi a un intervento medico radicale per trasformare il suo aspetto, sperando che una nuova immagine possano migliorare anche la sua vita e la sua carriera. Tuttavia, questa metamorfosi lo conduce a una serie di eventi imprevisti che mettono in discussione la sua nuova identità e il rapporto con gli altri.

Il film è stato presentato in concorso al Festival di Berlino 2024, dove Sebastian Stan ha ricevuto l’Orso d’argento per la miglior interpretazione da protagonista. Successivamente, ha ottenuto anche il Golden Globe come miglior attore protagonista in un film commedia o musical. La sua performance è stata lodata per la capacità di rappresentare con sensibilità e profondità le complessità del personaggio di Edward. Accanto a Stan, il cast include Renate Reinsve nel ruolo di Ingrid, una vicina di casa di Edward, e Adam Pearson nei panni di Oswald, un altro individuo con neurofibromatosi che entra nella vita di Stan . La presenza di Pearson, attivista e attore britannico affetto dalla stessa condizione, aggiunge autenticità e spessore alla narrazione, offrendo una prospettiva reale sulle sfide affrontate dalle persone con disabilità visibili.

La regia di Schimberg mescola elementi di commedia nera e thriller, creando un’atmosfera che oscilla tra il surreale e il provocatorio. Il film invita così lo spettatore a riflettere sulla superficialità dei giudizi basati sull’apparenza e sull’importanza dell’accettazione di sé, tematiche intime e universali al tempo stesso, offrendo un’esperienza intensa e coinvolgente, grazie a una sceneggiatura ben costruita e a interpretazioni di alto livello.

Le assaggiatrici, di Silvio Soldini

È il 2012 quando una donna tedesca di quasi 95 anni, Margot Wölk, poco prima di morire rivela al mondo un segreto. Insieme ad altre donne, Wölk faceva parte di un gruppo cosiddetto delle assaggiatrici, costrette dalle SS e dagli ordini di Adolf Hitler ad assaggiare ogni pasto che gli veniva servito, per assicurarsi che non fosse avvelenato. Due pasti al giorno e un’ora da attendere insieme dopo aver mangiato. È quello il tempo necessario per dare la certezza al cuoco personale del Führer e agli ufficiali che il cibo servito non è contaminato. È un dettaglio sulla Seconda guerra mondiale di cui nessuno fino ad allora era stato a conoscenza e che la scrittrice Rosella Postorino scopre leggendo un trafiletto di giornale, senza la possibilità di intervistare Wölk, che nel frattempo era venuta a mancare. Dal suo documentarsi e mescolare realtà e finzione, nasce il romanzo Le assaggiatrici, vincitore del Premio Campiello nel 2018 e ora adattato per il cinema da Silvio Soldini, che ne porta sul grande schermo la forza del racconto.

“Il vero cuore del film è il gruppo di donne costrette in una stanza intorno a una tavola apparecchiata. Lì, nella sala assaggi e nel cortile durante l’attesa tra due pasti, Rosa e le altre vivono emozioni e sentimenti di ogni genere, iniziando dalla paura, dalla rabbia, per arrivare a stringere amicizie, complicità, o a tradirsi”, ha raccontato Soldini, che qui torna a girare in una lingua straniera – dopo l’esperienza di Brucio nel vento, pellicola in ceco tratta dallo splendido romando Ieri di Agita Kristof – e che si cimenta per la prima volta con un film d’epoca. Nonostante il rischio, come spesso accade negli adattamenti storici, che il risultato avesse un che di costruito, di finto, Le assaggiatrici riesce invece a farci credere alla vita e alla verità delle donne che durante il nazismo hanno vissuto quel dramma. Nonostante la guerra sia quasi lasciata sullo sfondo, il film ci porta a riflettere sui suoi effetti devastanti, passati e attuali, ma ci permette anche di indagare gli istinti, le pulsioni umane e la tensione tra i bisogni primari di ognuno di noi e quelli secondari, e come questi siano inevitabilmente condizionati dall’ambiente, dalla cultura e dal potere che ci circonda. 

Dreams, Dag Johan Haugerud 

La relazione tra studenti e insegnanti può essere intensa e carica di significati. Sin dai primi anni di vita, quando il mondo è ancora un mistero da decifrare, passiamo le nostre giornate sotto lo sguardo dei nostri maestri, sospesi tra la sete della loro guida e il bisogno della loro approvazione. È un legame che si incide nella memoria, con una forza che supera il ricordo di formule o lezioni. Johanne, una diciassettenne di Oslo, si ritrova catturata da un’attrazione inaspettata: la sua insegnante di francese, Johanna, diventa il centro di un universo che lei cerca di conquistare con l’audacia di un’adolescente. Per dare forma al caos dei suoi sentimenti, Johanne affida i suoi pensieri a un diario, che finisce sotto gli occhi della madre e della nonna, una scrittrice inquieta. Da quel momento, la scoperta accende un fuoco di tensioni in famiglia, ma anche un ponte di empatia: tre generazioni si specchiano l’una nell’altra, scavando nei propri desideri nascosti, come se il diario fosse una chiave per aprire degli scrigni a lungo dimenticati.

In Dreams, premiato con l’Orso d’Oro all’ultimo Festival del cinema di Berlino, il regista norvegese Dag Johan Haugerud tesse un arazzo dove i fili dell’amore e della scoperta di sé si intrecciano con una sensibilità toccante. Ultimo tassello di una trilogia – dopo Sex e Love – questo film è un viaggio che ci riporta a quel primo innamoramento che esplode, improvviso e indimenticabile. Haugerud, con la sua mano leggera e sapiente, dipinge sentimenti complessi senza mai appesantirli. Anche Sex e Love brillavano per quella sincerità che abbraccia gli impulsi umani senza mai giudicarli, lontana dai clamori del sensazionalismo. Ma in Dreams questa finezza si fa più luminosa: unico racconto di formazione della trilogia, è anche un canto al desiderio femminile, che pulsa al centro della scena. Gli uomini, qui, sono presenze sfocate, quasi fantasmi. 

Berlino, Estate ‘42, di Andreas Dresen

Diretto da Andreas Dresen, Berlino, Esatate ‘42 racconta la vera storia di Hilde e Hans Coppi, giovani membri della resistenza antinazista durante la seconda guerra mondiale. Ambientato appunto nell’estate del 1942, il film segue Hilde (interpretata da Liv Lisa Fries) e Hans (da Johannes Hegemann) mentre si innamorano, si sposano e aspettano un figlio, tutto mentre partecipano attivamente a operazioni clandestine contro il regime nazista. La loro attività segreta li porta all’arresto da parte della Gestapo; Hilde, incinta, partorisce in carcere e trova nella maternità la forza per affrontare le avversità. Dresen presenta la vicenda in maniera estremamente sobria e autentica, evitando facile retorica. La performance di Liv Lisa Fries, in particolare, offre una rappresentazione potente e commovente di Hilde, evidenziando la sua determinazione e umanità.

Il film esplora temi come l’importanza di difendere i propri ideali e la resistenza di fronte all’oppressione. Presentato in concorso al 74º Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel febbraio 2024, Berlino, Estate ‘42 è uscito nelle sale italiane il 20 marzo. Il modo in cui rappresenta con intensità e realismo – anche grazie a una fotografia ineccepibile – la resistenza giovanile al nazismo, con particolare attenzione alla figura di Hilde Coppi, è estremamente notevole. Attraverso una narrazione coinvolgente e interpretazioni di alto livello, Berlino, Estate ‘42 offre uno sguardo toccante su una storia intima d’amore e coraggio in tempi di guerra, che si mescola a una storia collettiva e modiale molto più grande, mettendo in luce il contributo spesso trascurato di giovani eroi tedeschi nella lotta contro l’oppressione nazista.

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