Il mondo del documentario sta diventando sempre più importante per comprendere le innumerevoli realtà che ci circondano, dai grandi fenomeni sociali ed economici al dramma del riscaldamento globale, dalle guerre fino ai racconti di piccoli territori e tradizioni in pericolo. Il 2020 è stato un anno duro per il cinema, ma ha anche rappresentato un’occasione di maggiore visibilità per film a basso budget, utili proprio per scoprire nuovi autori e riempire il vuoto lasciato dai vari Dune e No Time to Die. In questo articolo, senza distinzioni tra lungometraggi e “docuserie”, vi consigliamo sia documentari già molto popolari tra il pubblico, sia film per ora poco conosciuti, anche italiani, che secondo noi meritano di essere scoperti.
I Am Greta, di Nathan Grossman
La vita di Greta Thunberg non è molto diversa da quella di un leader mondiale: conferenze, discorsi, trasferte internazionali, incontri di politica estera, impegni ufficiali e telefonate a tutte le ore. I Am Greta è il viaggio dietro le quinte di un personaggio pubblico al cui volto siamo ormai abituati, ma di cui sappiamo ben poco al di là di ciò che mostrano i media tradizionali. Dall’indagine di Nathan Grossman emerge il ritratto di un’attivista preparatissima e assolutamente decisa a non perdersi d’animo. Il carisma di Greta Thunberg sta infatti proprio nelle sue convinzioni incrollabili, nei suoi scioperi a oltranza e nella totale razionalità dei suoi argomenti. Così dalla Svezia si diffonde il passaparola, nascono i Fridays for Future, si moltiplicano gli scioperi e un esercito pacifico di giovani riempie le piazze per sensibilizzare i palazzi del potere di tutto il mondo. È infatti quando Greta incontra i politici mondiali – perlopiù grigi burocrati over sessanta – che la macchina da presa rivela l’abisso tra due generazioni e due modi di pensare. Ma la battaglia per il clima continua e a guidarla è una ragazza quasi diciottenne che non ha paura di mostrare le sue fragilità e dire al mondo che tutto è possibile, se lo vogliamo davvero.
Welcome to Chechnya, di David France
È solo nel 2017 che l’opinione pubblica internazionale sente parlare per la prima volta di campi di concentramento organizzati dalle autorità cecene per detenere illegalmente persone gay, lesbiche o bisessuali. Poco a poco si aggiungono sempre più segnalazioni: rapimenti, sparizioni, torture e decessi. Welcome to Chechnya è un documentario che non fa sconti, mostra le violenze registrate di nascosto e ci mette di fronte alle ferite reali sui corpi martoriati di tanti innocenti. Al centro del film stanno le imprese di un gruppo di attivisti che si impegna ad assicurare un futuro per le vittime della purga LGBTQ+, portandole in luoghi segreti e poi da lì, con un po’ di fortuna, in un nuovo Paese che le accolga. Usando tecniche all’avanguardia, David France riesce a mascherare i volti delle vittime senza perdere le emozioni che provano, ricordandoci una volta di più che questa terribile storia è reale, sta accadendo adesso e non ci si può girare dall’altra parte.
Beastie Boys Story, di Spike Jonze
Spike Jonze racconta la storia dei Beastie Boys dalla fondazione ai giorni nostri in un documentario che piacerà ai fan storici della band Newyorkese ma non solo. Sarebbe impossibile, infatti, non diventare sostenitori sfegatati di questi geni della musica hip hop dopo le quasi due ore passate in compagnia di Ad-Rock e Mike D, purtroppo rimasti senza il mitico Adam “MCA” Yauch, cofondatore della band e mente creativa per eccellenza. Da gruppo hardcore punk a punto di riferimento dell’old school hip hop, i Beastie Boys hanno sempre rappresentato uno dei gruppi più innovativi non solo sulla scena musicale, ma artistica in senso lato. La loro estetica ha fatto la storia del videoclip negli anni Ottanta e Novanta, il loro modo di vestire ed esibirsi ha influenzato intere generazioni. Se volete vedere dove possono arrivare tre ragazzi newyorkesi con un talento fuori dal comune, questo è il film giusto per voi.
Time, di Garrett Bradley
Sibil Fox Richardson, detta Fox Rich, lotta da vent’anni per la scarcerazione del marito, Rob, che sta scontando una condanna a sessant’anni di reclusione forzata per una rapina in banca cui aveva partecipato anche lei. La donna però era rimasta in carcere per soli tre anni, mentre al marito è stata inflitta una pena non commisurata al reato, cui si aggiungono tempi della giustizia così lunghi da far pensare che i continui rinvii della libertà condizionale siano frutto di puro ostruzionismo ideologico. Time è uno dei documentari più emozionanti e acclamati di quest’anno, una storia di perseveranza il cui centro nevralgico è l’amore di Sibil per il marito, rimasto dietro le sbarre mentre lei cresceva da sola i sei figli. Time è anche un documentario dedicato alla comunità afroamericana e alla sua lotta per i pari diritti di trattamento di fronte alla giustizia. I temi, già di per sé forti, sono valorizzati all’ennesima potenza da una regia che mette sempre al centro i volti di una famiglia che non si è mai data per vinta. I filmati registrati da Sibil nell’arco di due decenni, uniti al girato contemporaneo, sono messi tutti sullo stesso piano da un bianco e nero fortemente contrastato che appiattisce il tempo (“time”, appunto) e rende questa storia un esempio universale di lotta alle ingiustizie.
The Last Dance, creata da Michael Tollin
La docuserie evento per eccellenza in questo 2020 è senza dubbio The Last Dance, avvincente racconto in 10 episodi della franchigia NBA più forte di tutti i tempi, i Chicago Bulls guidati da sua maestà Michael Jordan. Se vi aspettate un racconto obiettivo e multilaterale dei fatti, questo documentario non vi può soddisfare, perché The Last Dance è puro intrattenimento con al centro Air Jordan ed è proprio attorno a lui che si sviluppa una narrazione fatta di partite storiche, retroscena caldissimi e grandi avversari da prendere di mira. Un salto indietro nel tempo per rivivere gli anni Novanta fino alla stagione 1997-1998, che vide Jordan, Pippen e Rodman trionfare insieme per l’ultima volta. Se cercate l’epica sportiva, The Last Dance fa al caso vostro.
Tiger King, creata da Eric Goode
Al centro di Tiger King c’è il traffico dei grandi felini che vengono esposti come attrazioni in zoo dalla dubbia legalità in giro per tutti gli Stati Uniti. Protagonista indiscusso della docuserie Netflix è Joe Exotic, prodotto di quella white trash America che nel profondo del Paese vive una realtà parallela fatta di bassa scolarizzazione, cultura delle armi e sprezzo delle leggi. A sfidarlo è Carol Baskin, che questi felini cerca di salvarli. Da queste premesse si sviluppa una narrazione piena di colpi di scena, reati gravi, incarcerazioni e animali maltrattati. Ma non basta, perché Tiger King è in grado di mettere in scacco la moralità stessa degli spettatori, tanto da creare dibattito attorno a chi tra Joe e Carol sia il vero “buono” della situazione. Visto il successo della serie, Tiger King è importante anche per domandarci chi siamo e fino a che punto siamo disposti a spingerci per un po’ di intrattenimento.
Dick Johnson Is Dead, di Kirsten Johnson
Dick Johnson è un anziano psichiatra in pensione che soffre di demenza, sua figlia Kirsten, regista con base a Manhattan, decide di esorcizzare l’inevitabile futura morte del padre coinvolgendolo in un documentario. Dick Johnson Is Dead è una vera e propria terapia familiare in cui Dick Johnson inscena la propria morte più e più volte, nei modi più fantasiosi che la figlia riesca a immaginare. Cade dalle scale, viene colpito da un condizionatore in caduta libera e così via, fino a ritrovarsi in paradiso attorniato da personaggi della sua vita e, addirittura, fianco a fianco con Gesù. Il documentario diventa commedia ed elaborazione del trauma, rivelandosi simile a un piccolo trattato sulla paura della morte. Lo strano mix tra ricordi del passato, estetica a tratti kitsch e avventismo del settimo giorno dà forma a un prodotto innovativo che, come direbbe qualcuno, “fa ridere ma fa anche riflettere”.
Spaceship Earth, di Matt Wolf
Si può riprodurre l’ecosistema terrestre su altri pianeti e rendere possibile la vita lontano dalla Terra? Nel 1991 il progetto Biosphere 2 provò a rispondere a questa domanda chiudendo per 2 anni 8 volontari in un enorme complesso autosufficiente costruito ad Oracle, in Arizona. Protagonista del documentario è proprio il gruppo di persone che si cimentò in questa impresa sotto la guida del carismatico John Allen, tra le altre cose ecologista, ingegnere e avventuriero. Il regista Matt Wolf si muove con grande scioltezza tra filmati di repertorio, interviste d’epoca e contemporanee per delineare il ritratto di questi sognatori che spesero 2 anni della propria esistenza rinchiusi in una specie di gigantesca gabbia per uccelli dotata di orti, campi coltivabili e un piccolo mare artificiale. L’esperimento attirò naturalmente grande interesse da parte dei media e della comunità scientifica internazionale, pronta ora a sostenerlo ora a sconfessarne l’attendibilità scientifica. Spaceship Earth ha il merito di far riflettere sul tema della cooperazione tra membri della comunità scientifica, finanziatori e individui mossi da pura passione: la scienza, sembra dirci Matt Wolf, è anch’essa un ecosistema e tutte le sue parti dovrebbero sempre cooperare per raggiungere un obiettivo comune.
West of Babylonia, di Emanuele Mengotti
Slab City è una città-accampamento in cui centinaia di persone vivono senza elettricità e acqua corrente. Situata nel versante californiano del Deserto di Sonora, là dove sorgeva una base militare attiva fino ai tempi della seconda guerra mondiale, Slab City è diventata negli anni la terra promessa per tutti coloro che cercano la libertà allontanandosi dalla corrotta società americana contemporanea, la “Babylonia” che dà il titolo a questo documentario. Per realizzare West of Babylonia, il regista Emanuele Mengotti e il direttore della fotografia Marco Tomaselli hanno vissuto per mesi fianco a fianco con gli “slabbers”, scoprendo una comunità molto vicina a certe idee dell’America trumpiana: dalle armi viste come oggetti familiari alle leggi percepite come un fastidio. Un documentario italiano che racconta gli Stati Uniti più nascosti, un’opera fatta di immagini mozzafiato e di personaggi underground che attraverso le loro vite ci mostrano i mille volti di Stati mai realmente “uniti”.
Omelia Contadina, di Alice Rohrwacher e JR
La regista Alice Rohrwacher e l’artista francese JR si uniscono ai contadini dell’Altopiano dell’Alfina per celebrare il funerale dell’agricoltura contadina. Il documentario, in forma di azione cinematografica, dura meno di 10 minuti ed è una denuncia all’industria delle colture intensive, rea di aver sconvolto il fertile legame che intercorreva tra natura ed essere umano, instaurando la monocoltura di nocciole nell’altopiano tra Umbria, Lazio e Toscana. A essere seppelliti sono proprio i contadini stessi, trasformati in giganteschi foto-simulacri da JR, sempre più legato al cinema dopo la bellissima esperienza artistica di Visages Villages, realizzato al fianco della scomparsa Agnès Varda.