Con “Bianca”, Nanni Moretti ci ricorda che tutti non smetteremo mai di farci del male - THE VISION

“Continuiamo così, facciamoci del male” dice Michele Apicella durante una scena di Bianca, film del 1984. È una delle citazioni di Nanni Moretti più famose, e forse anche tra le meno riconducibili a un suo lungometraggio, anche se, nel caso del regista romano famoso per i giri in Vespa e per la passione per i dolci, non è raro che succeda: pensiamo a “Faccio cose, vedo gente, giro” o a “D’Alema dì una cosa di sinistra”, due battute che sono diventate frasi di uso comune, più che riferimenti a Ecce Bombo o ad Aprile. Le commedie di Moretti sono sempre state una fonte inesauribile di citazioni, una forma di ironia che, come raccontano Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico a Saverio Raimondo nella seconda puntata del podcast di MUBI Voci italiane contemporanee, negli ultimi anni si è persa. “Le battute fulminanti sono sparite dal cinema”, spiegano gli autori – insieme a Mattia Torre – della serie televisiva comica più citata di sempre, ossia Boris

Per i due sceneggiatori, la commedia italiana dagli anni Novanta in poi, oltre ad aver abbandonato la scrittura di battute pungenti ed estraibili dai film, ha preso una direzione più leggera, per portare il pubblico a non pensare a nulla durante la visione, in particolare con la scuola toscana e l’exploit di Leonardo Pieraccioni – non a caso Stanis La Roschelle in Boris diceva proprio che “i toscani hanno devastato questo Paese”. Partendo da questa loro riflessione, è chiaro che la forza di un film come Bianca, ancora citato dopo quarant’anni dalla sua uscita, sta nel collocarsi al punto opposto rispetto alla tendenza di cui parlano Vendruscolo e Ciarrapico. Non solo il quarto lungometraggio di Moretti è una fonte inesauribile di battute fulminanti e scene diventate cult, come nella quasi totalità della sua filmografia, ma è anche una commedia che nella sua complessità e per i temi che tratta va oltre il confine di questo genere, intrecciando grottesco, drammatico, poliziesco. 

La storia del protagonista di Bianca, infatti, ossia quella di Michele Apicella, alter ego ricorrente nel cinema morettiano, è un giallo psicologico che coinvolge la vita privata di un insegnante di matematica incapace di gestire i propri sentimenti, e per questo ossessionato da quelli delle persone a lui vicine. Tutta la sua esistenza ruota attorno a uno schema preciso di profilazione dei rapporti altrui, una tecnica che lo tiene accuratamente lontano da qualsiasi forma di emozione vissuta in prima persona che turbi il suo stato freddo e distaccato di osservatore. Il suo arrivo alla scuola privata Marilyn Monroe contiene in sé al contempo la parte più comica e quella più tragica del film: da un lato la rappresentazione parodistica di un istituto privato che insegue un ipotetico modello americano di insegnamento, basato tutto sulla modernità e il gioco; dall’altro l’incontro con la collega Bianca, interpretata da Laura Morante, che lo mette di fronte per la prima volta in vita sua all’ipotesi di essere lui il soggetto in una relazione.

“Il Sessantotto è stato l’anno di prova della distruzione del mondo. Ma prima, prima c’è stata quest’epoca felice, incontaminata e pura in cui l’armonia, Claudia Cardinale, la bellezza, la Dino Ferrari, l’intelligenza collettiva, la Juventus di Omar Sivori, l’uomo nella sua sintesi più alta, James Bond, raggiunsero l’acme, il vertice irripetibile della cultura occidentale”, dice il preside della Marilyn Monroe, scuola in cui per insegnare la storia si passa dai testi di Gino Paoli e dove l’aula professori è una sorta di sala giochi dotata di palestra, flipper e bar. La caricatura di un istituto privato dove la conoscenza è affidata all’apparenza è un esempio lampante di come la comicità di Moretti sia stata fondamentale nella rappresentazione dei mutamenti sociali e antropologici degli anni in cui sono uscite le sue prime commedie.

Se già con Ecce Bombo e Io sono un autarchico aveva raccontato, sempre in termini ironici, uno spaccato giovanile che per quanto molto confinato alla sua cerchia di amici e al suo quartiere ha assunto un valore universale e generazionale per la fine degli anni Settanta, con Bianca ci troviamo in una fase storica successiva, all’interno della quale i miti e gli obiettivi giovanili si reimpostano su ben altri modelli. Il cinema, la musica pop, la leggerezza, una scuola che “informa e non forma”, come sottolinea il preside. La scuola Marilyn Monroe è una versione estremizzata e concentrata del reflusso giovanile di una decade impostata molto più sulla leggerezza che sull’impegno politico.

In questo ambiente paradossale, Michele trova nuove persone da seguire e da schedare per il suo enorme archivio fatto di persone e relazioni. Si fa invitare a cena dai suoi studenti, mettendo in scena la sequenza più famosa del film, quella in cui a tavola si rende conto che il patrigno dei ragazzi non sa cos’è la Sacher torte. Si impiccia con invadenza nelle storie tra gli alunni, dando consigli e imponendo le sue tecniche per mantenere le relazioni in vita, esattamente come fa con tutti i suoi amici coetanei, che chiama e convoca regolarmente per poter controllare lo stato dei loro sentimenti. “Hai troppo sole, poco sole, cos’è che vuoi?… Più acqua, meno acqua? Perché non parli? Rispondi!”, dice a una pianta sul suo balcone, rendendo problematico e ossessivo persino il rapporto con i vegetali. Tutto ciò però cambia nel momento in cui Bianca, con ingenuità, crede di poter intraprendere una relazione con lui, situazione che lo mette in una posizione inedita. Michele prova un desiderio per lei, ma il contatto, la vicinanza, l’invasione di campo che Bianca fa pensando di poter creare un legame lo rendono talmente angosciato da farlo svegliare nel pieno della notte per mangiare Nutella da un barattolo enorme in cucina. 

Dolci e scarpe, infatti, completano il quadro ossessivo di quest’uomo incapace di accettare non solo i propri sentimenti, tenuti a bada con freddezza calcolatrice, ma soprattutto quelli degli altri nel momento in cui finiscono o cambiano di intensità. È così che Michele, da soggetto problematico con la fissa per le calzature e con una tendenza a consumare dolci in ogni momento con voracia infantile, diventa un assassino. Ciò che non può controllare, il protagonista di Bianca decide di interromperlo, dando inizio a una catena di omicidi tutti legati a lui e che lo portano a essere identificato presto come il colpevole. “Mi avevano deluso. Gli amici ti deludono, la gente normale no. A me piacciono le coppie felici”, spiega Michele al commissario di polizia che da tempo lo pedina e che ha intuito da subito che ci fosse qualcosa di strano nel suo comportamento. “La felicità è una cosa seria. Ecco, allora se c’è, deve essere assoluta”, dice sempre Michele, parlando con Bianca delle ragioni per cui non può stare con lei, in un’altra delle tante citazioni del film che sono diventate modi di dire anche per chi non lo ha mai visto.

Come spiega l’attrice e comica Paola Minaccioni nella terza puntata di Voci italiane contemporanee, “I mostri servono nell’arte per combatterli nella realtà”: togliere i mostri dalle commedie, e quindi anche la parte più profonda e oscura dell’uomo, significa privarle di un aspetto fondamentale del racconto, quello che serve a compiere la catarsi oltre la risata. Nel cinema comico contemporaneo, la tendenza a eliminare la parte mostruosa dell’uomo, per film che servono a ridere senza pensare, è piuttosto frequente, nonostante nel passato abbiamo avuto esempi straordinari di come le due cose, la comicità e la profondità del racconto, non siano in contraddizione, e non solo nel caso di Moretti; basti pensare agli autori della commedia all’italiana, a Villaggio, a Troisi.

Un film come Bianca, in cui il protagonista è un mostro sotto tutti i punti di vista, verso cui è quasi impossibile provare empatia, è l’esempio perfetto di come la commedia possa raccontare aspetti spaventosi dell’animo umano e al contempo tenere viva una narrazione ironica e brillante, tanto brillante da rimanere in vita nelle battute del film anche a distanza di quarant’anni. Perché per parafrasare le parole di Michele Apicella di fronte a un mont blanc, noi tutti, spettatori e personaggi immaginari, non smetteremo mai di farci del male.


“Bianca” è disponibile in streaming su MUBI Italia nella rassegna “‘O famo strano: ridere con la commedia italiana”, dedicata alla seconda stagione del MUBI Podcast: Voci Italiane Contemporanee, sull’evoluzione della comicità italiana. Iscriviti qui per avere 30 giorni di prova gratuita.

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