Radical, ribelle, poeta. Cool. Ecco l’apparente legacy internazionale di Ettore Sottsass. Architetto, designer, marito di Fernanda Pivano. Ma anche artista poliedrico, viaggiatore, viveur, amico di leggende – da Hemingway a Picasso ad Allen Ginsberg; coinvolto nella creazione dei primi computer, da Ivrea alla Silicon Valley, ma in progetti legati alla moda (Fiorucci), fino agli shaker per cocktail di Alessi.
Scomparso nella sua casa di Milano nel 2007, poco dopo aver compiuto novant’anni, Sottsass ha ricevuto – e sta continuando a ricevere – vari omaggi nell’emisfero occidentale. Due mostre lo hanno ricordato a dieci anni dalla morte: la prima al MET Breuer di New York, intitolata Ettore Sottsass: Design Radical, dove l’obiettivo è stato quello di “rivalutarne la carriera presentando suoi lavori chiave realizzati con diversi mezzi espressivi, inclusi disegni architettonici, interni, mobili, macchine, ceramiche, vetri, gioielli, tessuti e fantasie, dipinti e fotografie”. Questo perché, soprattutto oltreoceano, il nome del designer è legato al suo periodo più “pop”, ai colori e al tocco estroso italiano applicato alle nuove tecnologie dell’epoca, quando la Olivetti era la Apple di oggi. Per questo, nella collezione permanente del Moma, da anni ci sono il suo “Summa 19 calculator” verde del 1970 e la celeberrima macchina da scrivere Valentine rosso lipstick del 1968. Il Met Breuer ha voluto esplorare gli altri ambiti creativi dell’architetto milanese, tra piatti di ceramica e schizzi autobiografici, e ha sistemato i suoi mobili accanto a fonti di presunta ispirazione o in continuità – la sua sedia “Synthesis 45” tutta sintetica è stata posizionata accanto alla “Revolving armchair” di Frank Lloyd Wright, in legno e ferro, mentre la “Superbox” è finita accanto al “Cabinet” di Moser e a una scatola egizia del regno di Ramses II. Eppure, come simbolo per la mostra americana è stata scelta la sua iconica Valentine: un po’ come mettere in locandina per una mostra su Andy Wharol una lattina di zuppa Campbell.
La seconda mostra è stata ospitata al Vitra Design Museum e titolata Ettore Sottsass: Rebel and Poet. I pezzi di design sono stati accompagnati da suoi testi letterari e poetici, oltre che dalle fotografie della serie Metafore, scatti seppia realizzati in un periodo in cui era ossessionato dai deserti e dalle prospettive fatte di spago e legnetti trovati tra i Pirenei. Sottsass spiegava di sentire “Una grande necessità di visitare luoghi deserti, montagne, di ristabilire un rapporto fisico con il cosmo, unico ambiente reale, proprio perché non è misurabile, né prevedibile, né controllabile, né conoscibile… mi pareva che se si voleva riconquistare qualche cosa bisognasse cominciare a riconquistare i gesti microscopici, le azioni elementari, il senso della propria posizione.”
Una terza mostra, poi, lo ha ricordato a cent’anni dalla nascita. “Ten years of italian cool”, così il sito Designboom ha descritto l’atto di reverenza proposto dalla Triennale di Milano: un’esposizione di pezzi di design, progetti, ma anche di fotografie, da titolo Ettore Sottsass: there is a planet. La curatrice Barbara Radice, vedova dell’architetto, l’ha definita “intima”, e la mostra si apre infatti con la ceramica del 1964, “Offerta a Shiva”, che il designer realizzò per ringraziare gli dei della propria guarigione dalla nefrite.
Ma la sua eredità non è fatta solo di ricordi conservati ed esposti nei musei: alla Biennale d’Architecture d’Orléans, che resterà aperta fino ad aprile, il duo italiano di architetti dello studio 2A+P/A ha deciso di portare la realizzazione fisica di un quadro di Ettore Sottsass, una proiezione assonometrica titolata “Architettura Monumentale”. Un edificio scuro, che appare come una porzione di tunnel interrotta da finestre disposte apparentemente a caso e poggiata su un pavimento a quadri giallo. Non si tratta di un disegno architettonico: non ci sono dati, misure o calcoli e manca un vero prospetto. È un disegno nato probabilmente come fantasia da appendere al muro, senza committenti, senza alcun desiderio di renderlo tangibile. Così i due architetti hanno dovuto immaginare il retro e gli interni, continuando, di fatto, l’opera di Sottsass.
È una delle prime volte in cui ci si sente di spendere il termine poliedrico senza il timore di esagerare. Come ha scritto The Guardian in un articolo titolato “The godfather of italian cool”, “La sua grandezza esisteva non tanto nelle creazioni individuali, quanto nello spazio tra tutto ciò che ha realizzato”. Come la fondazione del gruppo Memphis che, mettendo insieme designer italiani, giapponesi, francesi, inglesi, americani, ha dato il via a una materializzazione del pop nell’arredamento, sovversivo ma alla moda: un’esaltazione del postmoderno e del colore che qualcuno ha definito un matrimonio riparatore tra la Bauhaus e la Fisher-Price.
L’obiettivo era allontanarsi dalle forme speculative e concettuali della decade precedente, da quel minimalismo scuro e distaccato la novità del look e dell’approccio Memphis fece parlare fin da subito di sé, inaugurando un decennio di energia. L’anticonformismo subito diventò stile, e il laminato plastico venne accolto come si trattasse del legno più pregiato. Mentre nel settembre 1981 raggiungeva la prima mostra alla galleria d’arte Arc’74 a Milano, Sottsass, vista la quantità di gente accalcata davanti all’ingresso, pensò che fosse esplosa una bomba. E invece erano tutti lì a stupirsi di come fosse possibile essere circondati di forme e accostamenti cromatici tanto audaci: la libreria “Casablanca” e l’armadio “Beverly”, entrambi di Sottsass, totemici e divertenti; la “Super Lamp” di Martine Bedin e la sedia “Oberoi” di George Sowden.
“È stato un fenomeno gigantesco, lo si è visto espandersi molto, molto velocemente come il look degli anni ‘80,” ha detto in proposito Glenn Adamson, dello Yale Center of British Art, che tra l’altro individua una connessione tra la scelta dei colori, dei pattern e delle fantasie di Mtv ai pezzi disegnati dal gruppo Memphis. Non è un caso – dice – che siano nati entrambi nello stesso anno.
Questo revival nei confronti di Sottsass – decennali e centenari sono sempre una scusa – sembra risiedere proprio in un generale recupero di una tonalità decorativa che negli anni Duemila era scomparsa e che ora ha ritrovato dei fedeli adepti: la cosiddetta estetica anni ‘80. Se la giocosità colorata e sprezzante di quegli anni era un riflesso del benessere economico, adesso potrebbe essere spiegata come necessaria distrazione dalla crisi e dall’instabilità ideologica ed economica, oppure è semplice nostalgia, se non noia di fronte alla sobrietà. Se in America c’erano gli Yuppies fedeli all’edonismo figlio di Reagan, a Milano c’erano i Paninari appannati davanti al magna magna del Pentapartito, ma c’erano anche le fòrmiche, le plastiche e le fantasie del gruppo Memphis che cercavano di superare il grigiore modernista – e che vennero collezionate da David Bowie (online è disponibile il catalogo dell’asta di Sotheby’s tenutasi dopo la sua morte), dai personaggi dei romanzi di Bret Easton Ellis e da Karl Lagerfeld, che arredò un intero appartamento “tutto Memphis” a Monaco.
Come ha dimostrato anche Stranger Things, è evidente la generale, ritrovata passione nei confronti degli anni ’80: i remake di Dallas e di Ghostbusters; le feste, nei locali oppure in casa, accompagnate da inviti e locandine costellate di triangoli, ghirigori, pixel e grafica in stile Pac-Man; il sottofondo redivivo dei Duran Duran e i karaoke a base di “Wake me up before you go go” e “Take on me”; meme su internet che celebrano “Africa” dei Toto e presidenti americani che si credono Gordon Gekko. Ma è difficile distillare una decade così complessa – è nato internet, è crollata l’Unione Sovietica – in un’estetica. E poi “l’esperienza estetica è sempre più che estetica”, diceva John Dewey. Ma a quanto pare Ettore Sottsass non solo l’ha rappresentata, è stato anche uno dei suoi inventori.