Tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 c’è stato il varo di due architetture notevoli, a Roma e ad Amburgo: The Floating Space dello Studio Fuksas, meglio conosciuta come “la Nuvola”, e la Elbphilharmonie del duo Herzog & DeMeuron.
Nonostante siano molto diverse per linguaggio, articolazione spaziale e processo realizzativo, le due opere hanno tanti punti in comune. Innanzitutto sono entrate nell’immaginario collettivo anche al di fuori delle città che le ospitano, tanto da acquisire un nomignolo popolare (Nuvola ed Elphi). Entrambe sono fondate su un programma complesso, in equilibrio tra pubblico e privato. Entrambe sono giocate sul rapporto dialettico tra una forma scatolare, definita, e una più libera. Ed entrambe sono arrivate fuori tempo massimo rispetto al programma, oltre che decisamente overbudget. Nessuno, pare, si è ancora preso la briga di mettere i due progetti in parallelo.
Potato in a box
Siamo a Roma, nel cuore dell’EUR, all’incrocio tra la dorsale di Via Cristoforo Colombo e Viale Europa che ne rappresentano idealmente il cardo e il decumano: l’edificio di Massimiliano e Doriana Fuksas occupa uno degli spazi urbani più interessanti della Capitale, ed è perfettamente integrato per dimensioni e orientamento nell’impianto razionale dell’area, progettato per la sontuosa esposizione universale prevista nel 1942. Esposizione che non si svolse – pur lasciando in eredità un’intrigante collezione di spazi pubblici ed edifici – perché nel frattempo si era entrati nel vivo del secondo conflitto mondiale.
Ho già definito la nuvola nella teca un gesto, almeno nelle intenzioni, immediato e naturale, una narrazione convinta e convincente che ha decretato il successo di quest’opera già in fase di concept, al suo stadio di semplice render. Nel sito ufficiale di Fuksas la sua Nuvola è oggi descritta senza mezzi termini, come “un’opera dallo straordinario valore artistico, caratterizzata da soluzioni logistiche innovative e dalla scelta di materiali tecnologicamente avanzati”. Oltre che per lo straordinario valore artistico attribuito dagli stessi autori, la Nuvola si contraddistingue anche per una storia finanziaria e costruttiva complessa, che provo a ripercorrere dall’inizio, affidandomi alle uniche fonti autorevoli in circolazione su questo tema: quelle ufficiali degli atti pubblici.
Nel 1998, il progetto della Nuvola è il vincitore di un concorso internazionale per la progettazione preliminare del Nuovo Centro Congressi di Roma, organizzato dal Comune di Roma e dall’allora Ente EUR. Il 16 febbraio del 2000, dopo circa un anno e mezzo dal termine di gara (ma perché tanto tempo?), la commissione di giuria presieduta da Norman Foster aggiudica la vittoria al gruppo capeggiato da Massimiliano Fuksas perché “Il progetto si inserisce in maniera convincente nella struttura urbana dell’EUR, creando un sistema di spazi pubblici di scala adeguata e ben connessi con l’intorno urbano”. Vengono messe in luce “La forte immagine architettonica” e “La chiarezza e la flessibilità dello schema”, che fanno del progetto “un evento civico”.
Dettaglio non casuale, nel marzo del 2000 l’Ente EUR diventa EUR Spa, una società per azioni controllata al 90% dal MEF e al 10% dal Comune di Roma – traduzione: capitalismo relazionale all’italiana coi soldi dei contribuenti – e mantiene lo scopo di occuparsi della gestione e della valorizzazione del patrimonio finanziario e immobiliare di sua proprietà all’interno del quartiere EUR. Il 22 gennaio 2001 viene approvata la convenzione per la realizzazione e la gestione trentennale del CCI — Centro Congressi Italia tra Comune di Roma ed EUR Spa, sulla base del progetto preliminare di Fuksas. L’opera dovrebbe essere finanziata con fondi della Legge per Roma Capitale, con il contributo del Comune di Roma per la parte pubblica e con un retorico e non meglio precisato “50% di finanziamento privato” (come riportato nelle motivazioni della giuria sopra citate) a chiudere un quadro economico di fatto inesistente.
Nel luglio 2001 EUR Spa bandisce un appalto-concorso per la progettazione, realizzazione e futura gestione del nuovo CCI, aggiudicato dopo altri due anni (2003) all’ATI “Centro Congressi Italia Spa”, costituita dalle imprese Dec spa di Bari, Nicotel Roma spa e S.a.c.a.i.m. di Venezia: siamo già passati alla moneta unica, e l’importo previsto è lievitato dagli iniziali 240 miliardi di lire (124 milioni di Euro) a circa 200 milioni di euro. Il progetto definitivo, firmato sempre da Fuksas e finanziato dalla CCI Spa, viene approvato dal Comune di Roma nel 2004. Ma tra il 2003 ed il 2004 il concessionario privato rivaluta l’investimento a 250 milioni di euro. Dopo altri tre anni di trattative andate a vuoto, si arriva nel 2006 a un compromesso anomalo: una gattopardesca risoluzione consensuale del contratto tra EUR Spa-Comune di Roma e l’ATI concessionaria, senza neppure iniziare il cantiere (la posa della prima pietra avverrà solo l’11 dicembre 2007) e senza l’ombra di una penale a carico di nessuna delle due parti [fonte: Corte dei Conti, Relazione sulla gestione EUR Spa 2011-2012, Appendice 1 pag. II].
Tornati al ground zero organizzativo e ancora senza una copertura finanziaria stabilita con chiarezza a ormai otto anni dal concorso, EUR Spa, con inaspettato spirito imprenditoriale (visto che le risorse impiegate non sono le proprie) e d’accordo con il Comune di Roma, si prende la responsabilità di realizzare direttamente l’opera, bypassando la modalità di concessione con costruzione e gestione: acquisisce il progetto definitivo del concessionario – firmato Fuksas – e bandisce nel 2007 una gara di appalto per la mera realizzazione del centro congressi e dell’albergo/Lama con un importo lavori a base d’asta pari a 277.476.870 euro, su progetto esecutivo affidato sempre allo Studio Fuksas. L’appalto viene aggiudicato a Condotte d’Acqua Spa (fino al 1997 nel gruppo IRI, poi privatizzata) nel 2008, a 10 anni dal concorso, per un importo delle opere ribassato a 221.544.000 euro – quasi 56 milioni in meno rispetto alla base di gara. Il totale complessivo stanziato, comprensivo di IVA, spese tecniche e somme a disposizione, è di 323.280.053 euro.
Facciamo notare come Fuksas, in questa altalena di responsabilità e cambi di rotta finanziaria, resti sempre in sella e non venga mai messo in discussione, né dal Comune di Roma, né da EUR Spa, né dai privati ex concessionari, almeno – come vedremo – fino al novembre 2013. Infatti in questa fase lo studio romano autore del preliminare, del definitivo e dell’esecutivo della Nuvola, pur non incaricato della direzione lavori, avrebbe la responsabilità di supervisionare la realizzazione dell’opera nel ruolo di direzione artistica, competenza che è stata considerata esplicitamente nel compenso.
Il termine ultimo per la conclusione dei lavori viene finalmente stabilito, nero su bianco, per il 2 dicembre 2010. La durata dei lavori viene stabilita di 1035 giorni a decorrere dalla consegna del cantiere, avvenuta il primo di febbraio 2008, dieci anni dopo il concorso, ma il termine viene posticipato più volte e ampiamente doppiato. Nel frattempo avviene una riorganizzazione anche sotto il profilo gestionale: dopo l’uscita del concessionario CCI Spa dall’operazione, il nuovo piano economico finanziario di EUR Spa prevede la costituzione di una società mista per la futura gestione del centro congressi. Il 60% è in carico alla stessa EUR Spa, il restante 40% a partecipazione privata. Nell’aprile 2006 viene pubblicato il bando di gara per il soggetto gestore, ma la procedura non ha un esito utile. Evidentemente, pur in piena era pre-crisi, i “privati” non sono particolarmente interessati a questa operazione.
Nel dicembre 2006 EUR Spa, con ulteriore impeto imprenditoriale, costituisce una newco, EUR Congressi s.r.l., operativa dal 2008 e interamente controllata dalla stessa EUR Spa, con lo scopo di gestire il futuro Centro Congressi in house. Si sancisce che l’investimento sarà totalmente a carico dei soggetti pubblici. Avanti così. I lavori iniziano a febbraio, ma appena dopo aver impostato il cantiere – aprile 2008 – si rende necessaria una prima variante per la modifica dei sistemi di contenimento dei terreni di scavo. E non è l’ultima: successivamente di varianti in corso d’opera per aggiustare il tiro di un progetto sui generis se ne sono collezionate altre nove – tra adeguamenti strutturali, dorsali impiantistiche non previste, verniciatura delle scale della Teca anch’essa non contemplata in computo, ottimizzazione degli spazi del Forum e della Lama, opere complementari varie – per un importo lavori da contratto aumentato dai 221.544.010,50 iniziali ai 256.159.750,36 euro.
Il totale delle cifre da stanziare cresce di conseguenza, IVA e somme a disposizione comprese, assestandosi a 355.855.014 euro; i tempi di esecuzione conseguentemente raddoppiano, ma molti continuano a tifare per la Nuvola, a volte con conseguenze ai limiti del ridicolo. Nel luglio 2013, per fare un esempio, il Domenicale de Il Sole 24Ore dava già la Nuvola in via di completamento, con oltre tre anni di anticipo dall’inaugurazione ufficiale.
Il 25 novembre 2013, il sindaco Marino visita il cantiere con una delegazione della Giunta comunale e del CDA EUR, parlando di “inaugurazione entro la fine del 2014”, subito corretto dal più cauto assessore all’Urbanistica Giovanni Caudo che cita “18–24 mesi di lavori”, mentre il presidente Borghini media con un “se possiamo mettere 200 operai al lavoro, finiamo in un anno”. Non c’è molta coerenza nelle tre affermazioni (nessuno sa bene di cosa stia parlando), ma si respira aria di ottimismo. Elefante nella stanza, la mancanza di Fuksas al sopralluogo, nemmeno invitato dal Sindaco, neppure una telefonata secondo quanto riferisce l’architetto: il progettista, che l’8 dicembre 2013 sarebbe volato a Shenzen per l’inaugurazione del terminal aeroportuale da lui progettato per la metropoli cinese (direzione lavori e design parametrico curato da Knippers Helbig Engineering), realizzato in soli tre anni, in realtà aveva già ricevuto la comunicazione di EUR firmata dall’AD Gianluca Lo Presti sul suo licenziamento da direttore artistico. Infatti in quegli stessi mesi l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici e la Corte dei Conti stavano rivoltando l’appalto e i lavori della Nuvola come un calzino.
Nonostante fosse stato direttamente coinvolto in tutte le fasi di progettazione e nel ruolo di direttore artistico della realizzazione fino al novembre 2013, Fuksas si è sempre dichiarato indignato, intellettualmente ed umanamente offeso per i continui rinvii e blocchi delle opere, esprimendo questo suo sdegno generalizzato anche alla stampa nazionale e minacciando a più riprese di “togliere la firma all’opera”. Mentre, secondo l’Autorità di Vigilanza sui Contratti e gli appalti Pubblici (AVCP) , che fin dal 2008 ha seguito dall’esterno tutte le fasi del procedimento di approvazione del progetto e delle varianti e gli appalti dei lavori – così come descritto ed ampiamente argomentato nella Deliberazione n. 11 del 3/4/2014 – la madre di tutti i problemi è stata proprio quella delle “carenze nella redazione del progetto esecutivo, che si sarebbero potute evitare con un maggior approfondimento e la dovuta integrazione delle varie componenti della progettazione (architettonica, strutturale, impiantistica); tali carenze hanno determinato l’esigenza di una revisione progettuale in corso d’opera, che sicuramente ha penalizzato i tempi di esecuzione […] e determinato la necessità di opere diverse e aggiuntive, ponendo ostacoli al completamento delle opere”.
Dunque proprio le varianti, rese necessarie per la scarsa aderenza del progetto esecutivo a una lineare fase di cantiere, hanno determinato rilevanti aumenti dell’importo previsto in contratto, influendo sui tempi di realizzazione e causando contenziosi a cascata tra appaltatore e la committente EUR Spa. Responsabili? Alcune carenze nella progettazione originaria, troppo generica: sarebbero stati necessari un’accuratezza e un livello di approfondimento maggiore. E i giudizi perentori di AVCP e Corte dei Conti non possono essere bollati come inutili “lacci e lacciuoli” della politica e della burocrazia, di fisime – parole di Fuksas – da “immobilisti e disfattisti”: si tratta di parole di grande lucidità e buon senso, fin troppo garbate, che mostrano i devastanti effetti concreti del confondere un progetto di queste dimensioni con una mera espressione artistica su cui apporre una firma. Una firma il cui importo economico, almeno per chi ha il compito istituzionale di sorvegliare come vanno spesi i soldi della collettività, era ritenuto troppo alto, con una evidente “sproporzione tra costo delle opere e importo delle spese tecniche” (che hanno inciso per oltre 20 milioni di Euro, direzione artistica compresa).
Fuksas, ormai nell’imbarazzo generale delle istituzioni, di EUR Spa e di Condotte che fino a ieri lo avevano appoggiato, viene definitivamente esonerato dall’incarico, e nonostante tutto i lavori proseguono verso una conclusione. Una conclusione forse da parata, utile a mostrare il cambio di marcia delle istituzioni, ma che mette comunque a disposizione della città un nuovo, grandissimo spazio. L’inaugurazione della Nuvola – un’interessante scatola architettonica anni ’90 nello spirito e nell’esecuzione, terminata in parte, fuori tempo massimo e senza un programma vero di gestione – si tiene il 29 ottobre 2016, a 18 anni dal concorso, alla presenza delle istituzioni in forma scomposta, quasi schizofrenica: l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, secondo Fuksas l’uomo che ha “sbloccato la Nuvola” nel 2015, e una nuova prima cittadina che non esita, in diretta tv sulla prima rete nazionale, a disimpegnarsi da qualsiasi forma di endorsement.
Nel frattempo lo stesso progettista continua a non essere entusiasta della sua ipertrofica creatura. Tanto che qualche giorno prima dell’inaugurazione, in una passeggiata negli spazi appena completati, Fuksas si lamenta con Francesco Merlo che è arrivato per lui il momento peggiore: “Io che sono di Roma e conosco bene Roma vorrei che tutti si impegnassero, con sobrietà e temperanza, a farla funzionare davvero questa Nuvola di fiberglass cucita su misura da una ditta belga-tedesca, a riempirla di gente, di vita, di artisti, di tibetani e cinesi, di africani e russi, di tedeschi e americani. Senza la vita, in due anni tutto si degraderebbe. Ecco, temo che fra due anni possa iniziare il dibattito su dove trovare i soldi per restaurare la Nuvola di Fuksas”.
Trovare i soldi. Restaurare. Fuksas prevedeva già che la sua opera sarebbe stata trascurata e lasciata deteriorarsi. Seria preoccupazione? O excusatio non petita? Diciamo che probabilmente anche Fuksas – tutt’altro che sprovveduto, lo ha progettato da cima a fondo – sa bene che un oggetto di questo genere esige particolari attenzioni. E a differenza dei rendering da concorso e dei concetti astratti disegnati sui parabrezza, è probabile che tenderà a presentarsi non al suo meglio nel giro di pochi anni: soprattutto se si trascurano alcune cosucce tipo la facile manutenibilità dell’opera o la sua semplice pulizia di routine. O, proprio in quanto opera pubblica, il suo saper invecchiare con dignità, perché sia splendida anche tra 80 anni come il Colosseo quadrato.
E poi la disdetta di essere in pieno centro della Capitale, dove le grigie polveri sottili, notoriamente amanti delle superfici sintetiche, si aggrapperanno con spavalda tenacia non solo alle pareti vetrate esterne, ma anche a qualsiasi pelle elettrostaticamente interessante, stratificandosi beffarde e opache laddove non sono quotidianamente rimovibili, sempre che qualcuno se ne preoccupi. Ma direi che questa è quasi una cifra stilistica dell’autore: anche nell’ottima Fiera di Rho tante porzioni della copertura vetrata non sono manutenibili se non arruolando costosissimi e spassosissimi funamboli muniti di secchio e tiraacqua.
Qualcuno potrebbe dirmi: non è mica da questi particolari che si giudica un’architettura.
C’è di peggio, certo. Ad esempio quando qualcuno si è accorto, sei mesi dopo l’inaugurazione, che l’edificio è stato realizzato in posizione troppo avanzata rispetto a Viale Europa. Errori di questo genere, spazi senza contenuti che invecchiano male e sono realizzati senza cura, diventano ben visibili anche agli sprovveduti. E sebbene Fuksas si sia dichiarato immediatamente estraneo all’accaduto (in fondo chi era lui per definire dove doveva essere collocato l’edificio da lui stesso progettato?), coraggio, ottimismo e fantasia ne escono in qualche modo opacizzati.
Peccato. E peccato, come dice lo stesso Fuksas a Merlo, che non siamo in Germania. Perché, in Germania cosa succede? Succede che anche ad Amburgo qualcuno ha pensato di realizzare un edificio dalle dimensioni considerevoli e con un denso programma pubblico-privato a corredo: la Elbphilharmonie.
Burger King
Tutto comincia a metà degli anni 2000 come un sogno assurdo di un privato, il signor Alexander Gérard, immobiliarista e soprattutto compagno di classe degli architetti Jacques Herzog e Pierre de Meuron (è evidente che le partite a calcetto contano qualcosa): il vecchio e facoltoso amico d’infanzia decide di finanziare un complesso multifunzionale ai margini della Speicherstadt, la splendida “città dei magazzini” ottocentesca in klinker che rappresenta la principale attrattiva turistica ed economica del porto di Amburgo . Gérard immagina di tenere in piedi questa coraggiosa ipotesi immobiliare chiudendo il quadro economico dell’investimento – stimato in principio per la cifra ridicola di 77 milioni di Euro, “assurdamente bassa” secondo lo stesso Herzog, poi aggiustata al rialzo a 241 milioni nel 2007 – con il flusso di entrate previste per un albergo di 250 camere e 45 lussuosi appartamenti con vista sull’Elba, puntando sulla posizione strategica del lotto all’estremità della penisola del Grasbrook (spoiler: le cifre ipotizzate non basteranno, ovviamente.)
Sul sito dovrebbe sorgere l’ennesima anonima “media tower”, sfumata con la crisi della bolla tecnologica di inizio 2000, per cui il buon Gérard contatta gli amici di sempre H&deM per firmare una fiammeggiante alternativa. Ormai universalmente acclamati, anche per il successo del raffinato intervento della Tate Modern a Londra, i progettisti decidono di conservare sul lotto la massa del magazzino realizzato nel 1963 su progetto di Werner Kallmorgen, utilizzato fino alla fine degli anni ’80 per lo stoccaggio di cacao, tabacco e tè, e firmano con disinvoltura un ulteriore esemplare notevole della loro collezione di addenda a corpi di fabbrica preesistenti: le splendide immagini del concept – un cristallo vetrato, un iceberg luminoso che si estrude e si libra letteralmente sopra al volume di klinker del Kaispeicher A, un nuovo landmark sull’Elba con una sagoma di copertura che richiama neppure troppo velatamente la Philharmonie di Hans Scharoun per Berlino – convincono a tal punto al primo colpo investitori, amministrazione pubblica e cittadinanza che il progetto viene approvato a spron battuto nel febbraio 2007 dal Parlamento della Libera Città Anseatica di Amburgo, con posa della prima pietra il 2 aprile 2007. La Elbphilharmonie venne inserita tra le priorità di rilevanza nazionale col programma di completarla nel 2010 (spoiler: no, non faranno in tempo).
I lavori cominciano, ma nel frattempo molti nodi arrivano al pettine, tra cui quello di sostenere stabilmente una nuova, complessa e imponente massa sopra un edificio vecchio di 50 anni, con fondazioni – come per tutti gli ex magazzini nella zona intorno allo Speicherstadt – su palafitte infisse sul fondale del fiume. Il Kaispeicher A viene svuotato completamente al suo interno per permettere l’innesto di un nuovo nucleo strutturale, e ai 1.111 pilastri originali vengono aggiunti ulteriori 650 supporti e setti in cemento ad altissima resistenza, con lo scopo di sostenere i carichi aggiuntivi previsti. Mettiamoci anche che H&deM si sono accaniti in un overdesign faticosissimo, cui non ha certo giovato il maniacale perfezionismo frattale del partner in charge Ascan Mergenthaler, noto anche per essere stato il capo progetto per lavori di altissimo profilo come il de Young Museum a San Francisco, il Parrish Art Museum a Long Island (NY), lo stesso Tate Modern Project a Londra, la Blavatnik School of Government a Oxford. Diciamo che Mergenthaler non è uno che improvvisa, e ha portato a casa risultati eccezionali con un controllo del dettaglio ai limiti delle possibilità dei materiali.
Il progetto è complesso, i rapporti tra enti coinvolti, contractor e studio diventano sempre più tesi, i costi decollano, e le istituzioni cominciano a chiedere conto degli impegni economici presi. La municipalità di Amburgo si dota di una legge ad hoc per la trasparenza dei contratti pubblici e dei rapporti tra gli enti e i gruppi di potere economico privato, proprio sulla falsariga delle impennate clamorose dei costi della Elbphilharmonie, che anno dopo anno stava guadagnandosi l’ottavo posto tra i dieci grattacieli più costosi mai costruiti. Alla fine dei giochi, l’opera costerà ben 10 volte tanto l’importo previsto all’inizio dell’avventura, un record perfino se confrontato con la stessa Nuvola (3,7x), o il Mose (3,3x), per dire.
H&deM da bravi svizzeri non amano andare fuori controllo e anziché scaricare responsabilità cominciano realisticamente a temere che la Elbphilharmonie sia proprio il loro, personalissimo, salto dello squalo: “In alcuni momenti abbiamo pensato che questo edificio avrebbe distrutto la nostra intera carriera: in qualche modo eravamo responsabili di questo totale disastro, perché abbiamo sedotto le persone con il nostro design”, ammette ad un certo punto Herzog.
L’ overdesign non è mai a buon mercato: a piè di lista di un importo lavori che va gonfiandosi settimana dopo settimana troviamo una collezione di materiali, finiture e lavorazioni uniche nel loro genere che rendono l’esperienza all’interno della Elbphilarmonie qualcosa di nemmeno lontanamente assimilabile a quella che si ha abitualmente in altri edifici. Anzi, molte soluzioni tecniche, spaziali e di design sono state concepite per la prima volta proprio per quest’opera: la facciata di oltre 21.500 metri quadri del volume superiore, geometricamente deformata in punti precisi, in modo da creare riflessioni e impatti visuali diversi in base a punto di vista, tempo meteorologico, luce; spazi progettati per essere naturalmente ventilati; una scala mobile non lineare che introduce, in tre minuti di esperienza quasi mistica, all’ingresso e a una promenade di scale, gradonate e spazi piranesiani. I vetri curvi – che hanno il vantaggio di non riflettere linearmente le onde sonore, evitando qualsiasi eco nel grande spazio interno – che delimitano la “Plaza” intermedia, la pausa vuota tra il vecchio ed il nuovo, il cui perimetro panoramico è accessibile da inedite aperture a tutta altezza in cristallo curvato ad S, rotanti sull’asse centrale insieme con una porzione circolare del controsoffitto.
Questi e molti altri elementi hanno ricevuto – e restituiscono a chi sa osservare – un’attenzione quasi intima per ogni singolo dettaglio, e guidano il visitatore attraverso un paesaggio di soluzioni uniche tra cura artigianale ed esecuzione industriale ai massimi livelli di precisione tecnica e tecnologica, in cui perfino la luce ed il modo in cui essa flirta con gli spazi diventa nobile materiale da costruzione. È interessante come le cose che hanno maggiormente irritato gli esaminatori governativi siano state il portasalviette da bagno a 957€ o gli spazzoloni da wc a 292€, ritenuti un po’ eccessivi per un edificio parzialmente finanziato dalla pubblica amministrazione. Mentre perfino gli accigliati valutatori hanno riconosciuto la congruità economica dei pezzi di bravura del sistema di facciata e del raffinato rivestimento acustico parametrico della sala da concerti, elementi il cui costo sopra la media è giustificato dal livello di ricerca necessario alla loro esecuzione, peraltro eccellente e senza nessun difetto osservabile.
Tornando alla travagliata costruzione, nel giugno 2012 Herzog & deMeuron, con il cantiere della Elbphilharmonie bloccato e nel pieno della controversia sui costi lievitati, anziché lamentarsi genericamente contro le istituzioni si presentano a testa alta alla XIII Biennale di Architettura di Venezia, su invito del direttore artistico David Chipperfield, riempiendo un vasto spazio alle Corderie dell’Arsenale con bozzetti, disegni, grandi modelli di studio ed articoli e commenti stampa su questa grande opera. Le parole di presentazione della loro installazione – elveticamente misurate, che glissano con eleganza sulle motivazioni del mancato rispetto del budget ma senza mai far scivolare la responsabilità su altri – sono espresse con equilibrio.
Il lieto fine arriva in due tappe. Dapprima il 4 novembre 2016 viene inaugurata la piazza pubblica sopraelevata, con una grandissima affluenza di pubblico, mentre l’11 gennaio 2017 è il turno della grande sala da concerti da 2100 posti: a tagliare il nastro, oltre al sindaco di Amburgo Olaf Scholz (assolutamente fiero dell’opera, nessuna critica nemmeno allo champagne non proprio a temperatura), ci sono Jacques Herzog e il Direttore artistico della Filarmonica Christoph Lieben-Seutter. A seguire il primo concerto nella Gran Concert Hall eseguito dalla NDR Elbphilharmonie Orchester diretta da Thomas Hengelbrock, con standing ovation finale. La prima di una lunghissima serie di iniziative con artisti di calibro internazionale a cartellone. Un trionfo.
Dopo 10 anni di costruzione, la Elbphilharmonie è diventata cuore pulsante di Amburgo, ha riconquistato l’interesse dei cittadini della capitale anseatica, sempre attenti agli sviluppi della costruzione e non teneri nei confronti degli aggravi di costi, con spazi, finiture e materiali eccellenti, al di là di ogni aspettativa. Qualcuno potrebbe obiettare: certo, per realizzare la Elbphilarmonie sono stati investiti oltre 800 milioni di euro, è semplice fare gli splendidi con quelle cifre. Ma se vogliamo fare i ragionieri, si arriva ad una conclusione ben diversa, soprattutto se confrontiamo Elphi con la nostra Nuvola.
Cito due dati fondamentali, quasi da conto della serva: per la Nuvola sono stati spesi 467milioni di euro – superficie di 40.600mq e importo unitario medio, a opera completata, pari a 11.502,46€ al metro quadro. Per la Elbphilharmonie è stato speso un importo totale di 860milioni di euro – superficie di 120.383mq e importo unitario medio, a opera completata, pari a 7.143,87 di euro al metro quadro. Se utilizziamo come parametro la superficie, in proporzione la Elbphilharmonie – completata, perfettamente funzionante e con materiali allo stato dell’arte – ha impiegato le risorse a disposizione in modo più efficiente della Nuvola, ancora oggi da terminare e con finiture diciamo “un po’ così”. Una struttura non funzionante, inoltre, è un investimento che non sta rientrando in nessun modo, oltre a rappresentare una voce costante di spesa.
Ma la differenza più radicale è nella folla, nel calore umano che a ogni ora del giorno e della sera circola nell’Elbphilharmonie e riempie la Plaza panoramica. Lo Westin Hamburg Hotel da 244 camere tra il 9° e il 24° piano è sempre affollatissimo. Gli appartamenti sono stati tutti venduti. I concerti si tengono più volte alla settimana e sono spesso sold-out. La comunicazione è curatissima – perfino il logo è all’altezza del calibro internazionale del raggio d’azione di quest’opera. Elphi è una macchina culturale e turistica a pieno regime, un vero e proprio tempio della musica che sta producendo concreti frutti economici, oltre che sociali, a lungo termine; Elphi è diventata un’icona viva e vitale della città, gli amburghesi e i turisti hanno fatto proprio l’edificio, e lo percorrono e lo utilizzano come un vero e proprio salotto urbano, uno spazio pubblico nel senso più alto e nobile del termine.
Sarà capace, la Nuvola, di provare a diventare qualcosa di paragonabile? I discorsi inaugurali, che si sono sentiti echeggiare nell’auditorium sospeso in una scatola vetrata vuota al centro dell’Eur, hanno fatto riferimento ad altrettanto vacui mantra generici, tipo “rinascita della città”, “la Nuvola va fatta funzionare”, “interesse degli investitori”, l’imminente “riqualificazione in chiave sostenibile (sic) della “Beirut” a poche decine di metri, sconfessata solo qualche giorno dopo da chi aveva già deciso di non investirci centinaia di milioni di euro. Fino a oggi il programma degli eventi alla Nuvola è stato tutt’altro che “denso”, con sparute convention aziendali, congressi medici e qualche mostra temporanea. Un concerto del corpo bandistico dei Carabinieri. Tutto qui. Nessun affollamento, nessun interesse reale di fantomatici investitori. Parole e spazi vuoti che descrivono tragicamente lo spirito di chi attende il meglio sempre nel futuro, senza minimamente programmarlo. Come in una trasparente Fortezza Bastiani ad aspettare chissà quali Tartari all’orizzonte per cui valga la pena di combattere.
In conclusione, quello che emerge in maniera chiarissima è che in Germania si fanno errori di valutazione esattamente come in Italia, se non peggiori, per entità e per superficialità. Ma c’è una differenza fondamentale: almeno là c’è chi si prende la responsabilità di porre rimedio, e fare in modo di portare a casa il risultato con lungimiranza, competenza, accuratezza e grande passione. Spendendo il denaro pubblico, anche in maniera eccezionale, in modo che possa rappresentare un investimento a lungo termine per il bene della collettività.
Le differenze sostanziali tra Nuvola ed Elbphilharmonie dimostrano che su tutto questo abbiamo ancora molto da recuperare.