Finalmente la stampa e i politici italiani hanno trovato il nemico comune contro cui scagliarsi, tutti per uno e uno per tutti. Non ha le sembianze di un terrorista che tenta di commettere una strage, né quella di un amministratore accusato di corruzione (così tanti, questi ultimi, da diventare nessuno). Non è chi giura sul Vangelo contro l’ipotetica islamizzazione del suolo italico, né chi promette (o minaccia) di abolire i pochi diritti civili approvati durante l’ultima legislazione. Non è chi si candida pur essendo ineleggibile. Il nemico comune, il mostro da combattere, il male dell’Italia claudicante in mezzo ai tumulti è una maestra precaria di Torino.
Lunedì 26 febbraio, durante la puntata di Matrix su Canale 5, è andato in onda un servizio sugli scontri tra la polizia e i manifestanti antifascisti, circa cinquecento, che hanno tentato di raggiungere l’Nh Hotel tra corso Bolzano e corso Vinzaglio, dove stava parlando il leader di CasaPound Simone Di Stefano.
Nel filmato si nota una donna in prima linea negli scontri di piazza tra antifascisti e CasaPound. Urla contro Forze dell’ordine schierate in strada: “Vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire”. Intervistata, ha poi ribadito “Sì, ho detto quelle parole perché loro stanno proteggendo i fascisti e perché un giorno potrei trovarmi, fucile in mano, a combattere contro questi individui”. Da quel momento la maestra è diventata ufficialmente la personificazione della tensione sociale, mandante ed esecutrice degli scontri che hanno costellato questi lunghi, vacui, inutili e dannosi mesi di campagna elettorale. Il suo nome è stato messo bene in evidenza da tutti i media, e la sua vita analizzata sotto l’intransigente lente dell’opinione pubblica, e della politica.
Matteo Renzi, ospite della trasmissione di Canale5 ha subito commentato così: “Che schifo, un’insegnante che augura la morte ai poliziotti andrebbe licenziata su due piedi”. Ma “La cattiva maestra” è riuscita anche ad avvicinare gli estremi: così Matteo Salvini, in versione investigatore, ha rivelato di aver subito individuato la maestra torinese, raccontando che tempo fa la signora lo avrebbe attaccato su Facebook: “Mi ha scritto: sei incompatibile con la Costituzione, vattene affanculo,” ha raccontato il leader della Lega. Poi – per non lasciare campo aperto all’avversario politico – ha aggiunto che “La maestra che urla ai poliziotti dovete morire non metta più piede a scuola finché campa.”
La ministra Fedeli si è subito mossa per mettere in moto un bel procedimento disciplinare nei confronti dell’insegnante, che è stata prima sospesa e ora ovviamente rischia il licenziamento. Anche perché è indagata per istigazione a delinquere, oltraggio a pubblico ufficiale e minacce.
Che le immagini trasmesse da Matrix mostrino un’incompatibilità della maestra con il suo ruolo di educatrice credo che sia innegabile, per il solo fatto che anche quello dell’insegnante di Torino è un ruolo pubblico, e per quanto la libertà d’espressione debba sempre essere garantita, se ti fai riprendere dalle telecamere mentre auguri la morte di un altro impiegato pubblico, devi anche accollartene le conseguenze professionali e giuridiche. Personalmente, però, l’unica cosa che rimprovero alla maestra è l’ingenuità che l’ha portata a offrire un bel primo piano a tutti i reporter che le stavano attorno.
Ciò che è al limite dell’imbarazzante è come e quanto il caso sia stato strumentalizzato. Ancor di più perché la strumentalizzazione è stata univoca e trasversale, unisce partiti e società civile come neanche la vittoria dei mondiali di calcio.
L’insegnante è diventata un’untrice così nociva da poter contagiare chiunque le stia accanto. O lo sia stato in passato, anche solo per un attimo, come nel caso della consigliera comunale torinese Maura Paoli. Sempre all’interno dello studio di Matrix, mercoledì sera il conduttore Nicola Porro ha mostrato al leader M5S Luigi Di Maio una fotografia che ritrae la consigliera insieme alla maestra. “Credo che quella consigliera,” ha detto subito Di Maio, “non sia più nel Movimento”. E l’ha pure ripetuto. In realtà Paoli fa ancora parte del M5S e del suo gruppo consiliare a Torino e non ci sono notizie riguardanti un suo avvenuto o prossimo allontanamento dal Movimento. “Dev’essersi trattato di un lapsus,” pare abbiano detto quelli in risposta.
Ma la maestra è diventata una micidiale arma attraverso cui screditare l’avversario. Il senatore del Pd Stefano Esposito ha infatti attaccato su Twitter: “La maestra elementare che augura la morte ai poliziotti immortalata a una manifestazione #notav con la consigliera #M5s Maura Paoli nota sostenitrice dei centri sociali. Come ho sempre detto m5s e centri sociali a #Torino sono quasi la stessa cosa.” Eh sì, perché il Mostro di Torino è pure una di quelle inquietanti creature che vivono nell’ombra dei centri sociali, crogiolo di idee pericolose e sovversive, vedi i NoTav o NoMuos. Le immagini trasmesse da Matrix sono state immediatamente acquisite dalla Digos – sarebbe folle anche solo pensare che un’aizzatrice del genere possa restare a piede libero. E niente sfugge alla Digos di Torino: il mostro è stato subito identificato. Sì è vero, non è una leader dei movimenti antagonisti, neanche una portavoce. Ma pare, dice la Digos, che al centro sociale torinese “Gabrio” la conoscano più che bene. È una militante dei comitati NoTav che da anni si battono contro l’Alta Velocità in Val Susa – quella che è stata definita un’opera inutile, dopo vent’anni. Ma il suo nome compare anche nei rapporti sulle attività in Sicilia dei NoMuos, i gruppi che tentano di impedire l’istallazione dei sistemi radar della Nato a Niscemi. Insomma, si tratta di un pericoloso criminale che potrebbe destabilizzare un intero Paese, per di più alle soglie di elezioni nazionali.
E c’è di più. Come una spia russa, il mostro era riuscito a insinuarsi all’interno del tessuto sociale italiano, in uno dei ruoli cruciali per il suo prosperare: qualificata come maestra, o meglio una maestra non di ruolo. La donna compare da anni nelle graduatorie, anche come maestra di sostegno. È questo particolare legato alla sua professione che sembra aver turbato più di ogni altra cosa l’intera società italiana. Che un partito nazionale candidato alle elezioni dia pieno sostegno a una persona che tenta di fare strage di migranti, rivendicando politicamente il gesto, non sembra essere recepito come “pericolo”. Ma una maestra alla testa di un corteo antifascista che urla contro i poliziotti è inaccettabile.
Il mostro sembra aver scosso l’intera società civile. Il Corriere della Sera, grazie a un impareggiabile e imprescindibile lavoro di inchiesta, ha scovato “Claudia”, la mamma di un alunno dell’Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Torino, la stessa scuola della maestra che al corteo antifascista contro CasaPound urlava ai poliziotti “vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire”. “Mio figlio è alle medie,” racconta Claudia, “e sentiva le urla arrivare dal piano delle elementari, di sotto, dove c’era lei. Gridava sempre e i bambini erano terrorizzati, finché un papà si è arrabbiato e allora finalmente l’hanno tolta dalla seconda B e adesso non so bene che cosa faccia…”. Insomma, il mostro aveva da tempo mostrato il suo lato più oscuro. Peccato che non essendo noto il nome della mamma preoccupata, e non registrandosi lamentele da parte di colleghi o dirigenti della scuola, questo scoop sembra essere nient’altro che gossip.
Immancabile la lettera di una “figlia di poliziotto” – le categorizzazione dei personaggi in casi come questi è sempre fondamentale per identificare i Buoni e i Cattivi. Sempre dalle pagine del primo quotidiano d’Italia, l’irreprensibile Gramellini ha descritto la maestra come una più fascista dei fascisti: “Arrogante, violenta, fanatica. Con gli occhi strabuzzati e la bocca sguaiata che bestemmia il buon senso e il senso dello Stato, farneticando di fucili partigiani come se fossimo ancora nella Repubblica di Salò anziché in quella di Gentiloni. La penso come Renzi (ogni tanto succede): quell’insegnante andrebbe licenziata in tronco. Per i danni che potrebbe fare ai bambini e per quelli che ha già sicuramente inferto alla sua categoria.” Perché nessuno pensa ai bambini?
A chiedere l’immediato intervento contro il mostro sono stati soprattutto i sindacati di polizia: Serve «una ferma e corale condanna morale e anche concreta,” ha affermato Felice Romano, segretario del Siulp (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia), che ha pure ringraziato Renzi per aver “tempestivamente censurato questo tipo di condotta esprimendo solidarietà nei confronti dei poliziotti ed auspicando l’immediato sospensione dell’insegnante”.
Il segretario generale del Sap (Sindacato Autonomo di Polizia) Gianni Tonelli si è subito associato al collega: “Abbiamo assistito alla sospensione di un poliziotto per molto meno. Adesso ci chiediamo: cosa ne sarà di questa insegnante? Cosa avrà mai potuto insegnare ai suoi alunni? È possibile che un’istituzione come la scuola, deputata alla formazione e all’inclusione nella società, si avvalga di insegnanti che incitano all’odio e non rispettano le istituzioni? Da cittadino, ancora prima che poliziotto, mi aspetto che questa persona sia immediatamente sospesa dall’insegnamento”.
Questi commenti assumono un tono del tutto diverso – quasi divertente – se si considera che, solo qualche giorno prima della deflagrazione del caso della malefica maestra, la Polizia di Stato era balzata agli onori della cronaca per un tweet sarcastico. Vittime della frecciata contro gli osservatori di Amnesty International Italia, presenti alla manifestazione antifascista organizzata sabato a Roma dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) per monitorare il comportamento delle forze di polizia ed eventuali usi sproporzionati della violenza.
Perché, nonostante il nostro sia un Paese la cui memoria è sempre troppo corta, il tema delle violenze e delle torture perpetrate dalle forze dell’ordine è ancora un problema, e anche grosso, che l’approvazione della legge contro il reato di tortura – dopo un iter lungo appena trent’anni– non ha risolto, anzi.
Mentre l’Italia intera è indignata e spaventata dalle urla – probabilmente inopportune – di una maestra durante una manifestazione antifascista, non ha destato la stessa preoccupazione il fatto che a fine dicembre 2017, Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per aver partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi venne pestato senza pietà alla Diaz da agenti rimasti impuniti, è oggi il numero 2 – Vice direttore tecnico operativo – della Direzione Investigativa Antimafia, ai vertici delle forze investigative italiane. E la nomina è stata decisa dal ministro dell’Interno Marco Minniti. Così come quella di Pietro Troiani, il vicequestore di Genova passato alla storia come “l’uomo delle false molotov”. Un altro dei condannati eccellenti per la “macelleria messicana” del G8, cui è stato affidato uno degli incarichi più prestigiosi della polizia italiana: Troiani il 21 dicembre è stato nominato dirigente del Coa, il Centro operativo autostrade di Roma e del Lazio, il più grande d’Italia. Come per Caldarozzi, tecnicamente non si è trattato di una promozione. Inoltre Calderozzi, insieme ad altri protagonisti dello scempio della Diaz, è stato spesso in cattedra alla Scuola Superiore di Polizia. Franco Gratteri, che all’epoca del G8 era un grado superiore a Caldarozzi, oltre a tenere anche lui cattedra alla Scuola di Polizia, negli anni ha stipulato accordi con le università. Anche Gratteri è stato condannato in via definitiva per la “macelleria” di Genova.
È già passata anche l’indignazione per i cinque minuti di applausi e standing ovation tributati dal Congresso nazionale del Sap ai tre agenti condannati in via definitiva per la morte del 18enne Federico Aldrovandi, durante un controllo il 25 settembre del 2005 a Ferrara – Paolo Forlani, Luca Pollastri e Enzo Pontani. In quel caso il segretario nazionale Gianni Tonelli – che ora chiede preoccupato cosa ne sarà della mostruosa insegnante di Torino – aveva lanciato la campagna #vialamenzogna, una risposta alla manifestazione nazionale #vialadivisa con la quale pochi giorni prima la famiglia di Federico chiedeva la destituzione dei colpevoli della sua morte.
In quell’occasione proprio Tonelli parlò di “accanimento contro gli operatori delle forze di Polizia”, di “una pelosa macchina del fango che mistifica la realtà dei fatti trasformando, spesso, i violenti in eroi e i poliziotti in delinquenti.” D’altronde il caso della morte di Aldrovandi è evidentemente un nervo scoperto, tanto che a dicembre, il giudice sportivo Pasquale Marino ha multato alcune squadre di calcio perché i loro tifosi avrebbero esposto “uno striscione di contenuto provocatorio nei confronti delle forze dell’ordine.” Gli striscioni erano delle fotografie di Federico Aldrovandi.
E per quanto riguarda Stefano Cucchi, sembra si sia persa memoria del fatto che ancora non è stato condannato nessuno, a quasi nove anni di distanza dalla sua morte.
Insomma, la maestra di Torino non aveva un incarico di ruolo e probabilmente non l’avrà mai. Anche se, personalmente, non dispererei. Dato l’andazzo di questo Paese, fra qualche anno potrebbe ricevere una promozione.