La terapia elettroconvulsivante (Tec), comunemente conosciuta come elettroshock, paga ancora i preconcetti che la vedono come un atto barbaro e repressivo, anche per l’uso eccessivo che ne è stato fatto nel corso del secolo scorso. Questa immagine si è rafforzata nel sentire comune grazie al cinema, dove è analizzato soltanto l’aspetto inumano dello strumento e non quello terapeutico. L’interpretazione di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo, uno dei più celebri film che trattano l’argomento, riesce perfettamente nell’intento di far capire allo spettatore la brutalità dei trattamenti a cui erano sottoposti i malati mentali nei manicomi, mostrando il volto di una psichiatria che spesso era più un mezzo per ghettizzare il disagio psichico in luoghi precisi che un modo per prevenirlo e curarlo.
Rispetto a oggi, gli psichiatri avevano strumenti molto più scarsi per curare i pazienti. Tra quelli disponibili c’era la Tec, testata in Italia nel 1938 e poi utilizzata in tutto il mondo, spesso in quantità eccessiva. In passato, la somministrazione quotidiana con macchinari antiquati puntava a “riorganizzare” la malattia del paziente, inibendo le sue facoltà mentali superiori, fino a vere e proprie forme di contenzione. Questo era aggravato dal fatto che si ricorreva a questa terapia in modo indiscriminato per diverse patologie. Il risultato è che le moderne pratiche della Tec, completamente rinnovate per tecnologia e protocollo, pagano ancora il pregiudizio dell’opinione pubblica e degli stessi medici.
L’idea comune sulla Tec è ancora fondata in gran parte sulla cinematografia, come dimostra un sondaggio del 2004 che mette in relazione l’aver visto Qualcuno volò sul nido del cuculo e l’opinione negativa sulla Tec. In un altro studio, pubblicato su Psychiatric Times, un terzo degli studenti di medicina presi in esame aveva cambiato giudizio su questa terapia dopo la visione del film, negandone la legittimità. Quest’ultimo dato non solo dimostra la potenza dell’iconografia hollywoodiana nell’influenzare l’opinione dello spettatore su tematiche complesse, ma anche quanto le scuole di medicina abbiano un gap formativo su argomenti considerati socialmente scomodi.
Eppure la tecnologia della moderna Tec non ha più nulla a che vedere con l’interpretazione di Jack Nicholson, così come la psichiatria ha fatto enormi passi avanti rispetto ai pionieri dei primi del Novecento. Innanzitutto, gli apparecchi producono una corrente a impulsi di tipo diverso rispetto alle onde sinusoidali del passato, limitando gli effetti collaterali del trattamento. Viene somministrata da un’equipe formata da uno psichiatra, un anestesista e un infermiere di entrambe le specialità. Prevede un’anestesia breve assistita con maschera di ossigeno e farmaci per rilassare i muscoli, sempre sotto costante monitoraggio dei parametri vitali. La Tec non viene più praticata su pazienti coscienti, senza anestesia e senza rilassamento muscolare, evitando le crisi epilettiche che in passato causavano fratture ossee, stiramenti muscolari e mettevano a rischio tanto il paziente quando lo staff medico.
Le principali patologie per cui può essere utilizzata la Tec sono la depressione resistente ad altre terapie, la schizofrenia resistente ai farmaci, la schizofrenia catatonica e l’episodio maniacale non trattabile in altro modo. I livelli di successo registrati sono elevati, arrivando al 70-90% dei casi depressivi gravi, tanto monopolari quanto bipolari. Secondo le linee guida italiane sulla Tec, “in presenza di deliri, allucinazioni o di stupore depressivo, la Tec ha una probabilità di successo dell’82%. In paragone, gli antipsicotici inducono un miglioramento clinico solo nella metà dei casi, gli antidepressivi solo in un terzo dei casi. Soltanto la combinazione di antidepressivi e antipsicotici porta approssimativamente alla probabilità di successo ottenuta con la Tec”. In Europa, Stati Uniti e Oceania, la maggior parte degli elettroshock viene fatta per intervenire sulle gravi depressioni refrattarie, mentre in Russia, Sud America, Asia e Africa prevale il trattamento della schizofrenia.
I diversi approcci sono dovuti all’assenza di una definizione univoca della depressione con resistenza terapeutica, che cambia a seconda delle diverse associazioni psichiatriche. Volendo generalizzare, viene definita tale quando “gli approcci terapeutici ottengono un effetto parziale, ma non soddisfacente e abbisognano, perciò, di un ulteriore miglioramento”. Uno dei vantaggi della Tec sta nella sua rapidità di azione rispetto agli antidepressivi, la cui classe più utilizzata è quella degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri), con una latenza temporale d’azione dell’effetto terapeutico di circa 20 giorni. In alcuni casi questo è un lasso di tempo insostenibile, dato che la depressione può portare a degli stati catatonici veri e propri, in cui i pazienti non riescono a muoversi, a parlare o a mangiare: una situazione clinica di pericolo di vita che richiede ospedalizzazione, alimentazione con sondino nasogastrico e, data l’immobilità forzata dei pazienti, terapia antitrombotica per evitare patologie potenzialmente gravi o, addirittura, mortali. Anche usando terapie farmacologiche che possono avere effetto in minor tempo rispetto agli Ssri, come quelle a base di antipsicotici, la rapidità di azione della Tec non ha paragoni: si sono registrati casi di pazienti in stato catatonico che sono tornati a parlare e camminare dopo un paio di sedute.
L’effetto benefico della Tec per i malati è così grande che legittimazione e accettazione sociale di questa terapia non possono più essere rimandati, in modo da evitare che vecchi preconcetti impediscano il consenso informato necessario per procedere al trattamento. Il consenso deve essere dato dallo stesso paziente, dai suoi rappresentanti legali o da un tutore temporaneo assegnato da un tribunale, se questo si trova in stato confusionale. In tutti questi casi, la decisione potrebbe essere presa da una persona, con un’idea negativa della Tec basata su preconcetti superati da anni.
In caso di rifiuto della terapia, i medici potrebbero comunque ricorrere al Tso (trattamento sanitario obbligatorio), che prevede il ricovero e la cura del paziente psichiatrico contro la sua volontà. Spesso, però, questo non è reso possibile per il numero limitato di centri dove si pratica la terapia (16 in Italia) e per il timore degli psichiatri di scatenare la reazione indignata dei familiari e dell’opinione pubblica. Il fatto che un malato grave non possa accedere a una terapia dalle alte potenzialità porta al perpetrarsi delle sofferenze non solo del paziente, ma anche di chi gli sta vicino. Tutto a causa di un pregiudizio che ignora i cambiamenti sociali e le innovazioni mediche e scientifiche seguite alla messa a punto del primo macchinario per la Tec negli anni Trenta. La disinformazione è così radicata che è stato dimostrato come molte persone, venendo a conoscenza del fatto che questa terapia viene ancora praticata, reagiscono con stupore, pensando sia stata dichiarata illegale.
Secondo lo studio Electroconvulsive Therapy: a biopsychosocial perspective, la disinformazione sul tema sarebbe alimentata, oltre che dal cinema, anche dai media, dalle lobby contro una legislazione sulla Tec e da internet. Con il lobbismo anti-elettroshock in particolare ci troviamo di fronte a una di quelle tematiche dove la politica assume un ruolo prevalente sulla questione, che invece dovrebbe essere una prerogativa del mondo accademico. Tutto questo si traduce in un sistema che ignora gli aspetti legali della questione come la competenza dei clinici, delle strutture e il consenso del paziente.
L’opposizione all’introduzione di una legislazione riveduta sulla Tec è dovuta anche allo stesso mondo scientifico, che sul tema si è spaccato. Infatti, come qualsiasi tipo di terapia, sia farmacologica che chirurgica, anche la Tec ha degli effetti collaterali documentati: nel breve termine può causare confusione, sonnolenza, mal di testa, inappetenza e dolori muscolari, mentre nel lungo periodo può ridurre le capacità mnesiche dei pazienti, sia in senso retrogrado, ovvero nel ricordare informazioni antecedenti al trattamento, sia in senso anterogrado, cioè nel memorizzarne di nuove. Tuttavia, le conseguenze più gravi sono state documentate solo in una percentuale ridotta di casi che tendono a mitigarsi dopo un periodo di tempo dalla conclusione della terapia. È anche importante sottolineare come la depressione stessa determini un rallentamento delle capacità cognitive e di memoria. Quindi, con il miglioramento del tono dell’umore, soprattutto nei casi molto gravi per cui si ricorre alla Tec, si può avere un contemporaneo ritorno delle capacità cognitive.
Il paziente che sceglie la Tec deve ancora subire il doppio stigma del disturbo mentale e del pregiudizio sull’elettroshock. Non solo è considerato “matto”, ma la sua condizione viene ulteriormente enfatizzata per la decisione di ricorrere a una tecnica terapeutica che paga ancora decenni di preconcetti e disinformazione. Non possiamo più accettare che un pregiudizio ormai superato porti a negare uno strumento efficace nel trattamento di una patologia che solo in Italia riguarda 2,8 milioni di persone. È ora di lasciare il Nido del cuculo e la demonizzazione di alcuni strumenti della psichiatria per lasciare il campo a opinioni che si basino sulla realtà scientifica dei fatti.