Ieri sera non sei uscito, hai mangiato davanti alla tv guardando un talent o un talk show politico di cui avresti fatto volentieri anche a meno e bevuto una birra per compensare. Poi ti sei messo a letto a un orario decente, letto qualche pagina di un libro e spento la luce dopo poco. Di regola dovresti dormire, e invece aspetti che il sonno ti immobilizzi, ma c’è qualcosa che ti turba: senti il rubinetto gocciolare, le macchine che passano per strada, la tv del vicino sintonizzata sull’ennesima maratona di Mentana. Inizi a girarti da una parte all’altra, ti attorcigli nelle coperte per trovare la posizione giusta, ficchi la testa sotto il cuscino. La mente torna sempre alla giornata appena trascorsa: le mail a cui non hai risposto, il pomeriggio perso in coda alla posta; oppure monta l’ansia: stai pensando a domani, dovrai lavorare molto e non riesci a prendere sonno, sai quindi che arriverai in ufficio distrutto e ti viene ancora più ansia. Allora ti alzi, controlli il telefono, scrolli Facebook distribuendo like a caso, fai lo stesso con Instagram, vai in bagno, ti rimetti nel letto deciso a spegnere il telefono. Alla fine, riesci faticosamente ad addormentarti. Quando ti svegli però sei confuso, pensi che sia già mattina, controlli l’orario. Sono le tre di notte, hai dormito solo due ore. Provi di nuovo a prendere sonno ma non ci riesci, ti rassegni ad aspettare l’alba, vai a lavoro presto, hai le occhiaie di Bruno Vespa e quando un collega ti vedrà prendere il terzo caffè alle undici ti mattina e ti chiederà cosa non ti ha fatto dormire, tu risponderai che è colpa del cane del vicino che abbaia, del locale sotto casa che chiude troppo tardi, della cena pesante. Ma ti stai nascondendo un problema: tu soffri di insonnia.
L’insonnia è un disturbo talmente generalizzato che ormai viene percepito come una cosa normale, e per questo minimizzato, passato come nient’altro che un inconveniente della vita quotidiana. Secondo le statistiche, il 45% degli italiani soffre di insonnia transitoria, mentre 9 milioni soffrono di insonnia cronica. Se quattro italiani su dieci fanno fatica ad addormentarsi, sette su dieci accusano disturbi del sonno, e due su dieci si svegliano ben prima dell’ora stabilita. Numeri confermati dal consumo di sonniferi: secondo una ricerca del CNR circa il 10% degli italiani – sostanzialmente quattro milioni – dichiara di usare o di aver fatto uso di sonniferi. Un dato che si inserisce nelle statistiche sul consumo degli psicofarmaci: quasi il 13% sostiene di averne fatto uso e 2,2 milioni sostengono di aver preso antidepressivi.
D’altronde l’insonnia e la depressione sono strettamente correlate: secondo alcune ricerche, solo il 15% dei depressi dorme più del necessario, l’80% invece ha difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno. Nel 2006 la National Sleep Foundation ha rilevato, fra gli adolescenti che dichiaravano di avere un umore altalenante, che il 73% di loro riscontrava problemi nel dormire. L’insonnia giovanile è un disturbo costantemente in crescita. Il neurologo Raffaele Turini Strambi, direttore del Centro di medicina del sonno dell’Irccs San Raffaele Turro di Milano, pone l’accento sulla giovane età dei suoi pazienti: “Negli ultimi 4-5 anni i pazienti con meno di 20 anni afflitti dal disturbo sono quasi raddoppiati nei centri di medicina del sonno. Se dieci anni fa erano meno del 10%, oggi sono il 18-20%”.
I giovani sono i fruitori più assidui delle nuove tecnologie, per questo i più soggetti ai disturbi del sonno dovuti all’uso eccessivo di computer, smartphone e tablet. Secondo una ricerca del British Medical Journal, pubblicata nel 2015, rimanere almeno quattro ore davanti allo schermo di un computer o di uno smartphone aumenta del 49% il rischio di impiegare oltre un’ora per addormentarsi. Allo stesso modo l’uso di più piattaforme aumenta esponenzialmente il tempo in cui il cervello ci mette ad addormentarsi. Chi usa quattro o più dispositivi ha il 26% di possibilità in più di impiegare più di sessanta minuti per prendere sonno, rispetto a chi ne usa uno solo. Inoltre nel 75% dei casi dorme solo cinque ore a notte, un dato confermato – quello delle cinque ore – dal 50% di coloro che utilizzano due dispositivi prima di mettersi a letto. Per quanto riguarda un disturbo come l’insonnia, che è causato da una serie di fattori a volte difficilI da mappare, è evidente che influisce lo stile di vita frenetico a cui ci sottoponiamo. Si stima che negli ultimi 50 anni si sia registrata una diminuzione costante delle ore di sonno giornaliere, tanto che rispetto alla prima metà del secolo scorso dormiamo 1,5-2 ore in meno.
Per lo studioso Jonathan Crary, autore del libro 24/7, l’erosione della sfera del sonno è uno dei cambiamenti più traumatici del mondo accelerato in cui viviamo. Nella società occidentale – soggetta al flusso costante di informazione, dunque perennemente stimolata – la temporalità è stata azzerata a fronte di un tempo liquido, onnipresente, che non distingue fra giorno e notte. In ogni momento possiamo connetterci a Internet ed entrare in un realtà collettiva in costante movimento. A volte dormire ci dà la sensazione di “perderci qualcosa”, perché il giorno dopo accediamo a un flusso di dati che è cambiato in nostra assenza.
Allo stesso modo il ritmo della produzione non si arresta: non solo molte fabbriche semi-automatizzate sono sempre in funzione, ma anche i servizi 24/7 si stanno diffondendo nelle nostre città. A Roma, Milano, Torino, Bologna ormai sono normali i supermercati che fanno orario continuato anche notturno. Il tempo delle città è sfilacciato, non controllabile, contempla l’annullamento del ciclo circadiano. Crary afferma: “Un sistema in cui regna il 24/7 è un mondo disincantato nella sua eliminazione delle ombre e del buio, così come di ogni possibile temporalità alternativa. Si tratta di una realtà sempre uguale a se stessa.” Tutto ci sembra più facile, a portata di mano. “Il 24/7 istituisce una discutibile equivalenza tra quello che risulta immediatamente disponibile, accessibile o utilizzabile e ciò che esiste.” Ma la velocità gioca contro di noi, perché esige una risposta immediata da parte dell’uomo.
I ritmi accelerati della nostra società, in cui non esiste più il tempo del riposo, impediscono alla temporalità di stratificarsi, l’insonnia dell’uomo è anche l’insonnia del mondo che non vede la fine di un giorno e l’inizio di un altro, quindi si crede in un eterno presente. “Si tratta di una realtà sempre uguale a se stessa,” spiega Crary, “che non ha la densità di un passato stratificato alle sue spalle e quindi, in teoria, senza possibilità alcuna di ospitarne gli spettri.” Una realtà illuminata costantemente, che esorcizza i propri lati oscuri in maniera illusoria. “La completa omogeneità del presente dipende dal potere ingannevole di una luce così diffusa da ritenersi in grado di raggiungere ogni dove, tanto da contrastare ogni possibile mistero o realtà ignota”.
Come lo studente che ha chattato per tutta la notte e la mattina si deve alzare per andare a scuola, o l’impiegato roso dall’ansia che quotidianamente prende la metro per andare in ufficio, ognuno di noi – insonnia o meno – deve accordarsi al ritmo univoco della società in cui vive. Forse è per questo che tendiamo a minimizzare l’insonnia: perché ci sembra una nevrosi di massa, un disturbo con cui tutti convivono. Eppure il nostro corpo ci invia dei segnali, non basta prendere una pastiglia o spegnere la luce per riposarsi, dobbiamo ripensare i nostri ritmi di vita, sia individuali che collettivi. Altrimenti ci ritroveremo ogni notte con il viso incorniciato dalla luce blu del telefono, a scorrere la nostra bacheca, aprire un articolo come questo, e arrivare in fondo nella speranza di trovare una soluzione che non può che venire da noi stessi e da un cambiamento radicale delle nostre abitudini.