In Cosmopolis, Don DeLillo fa dire a uno dei suoi personaggi: “Ci serve una nuova teoria del tempo,” e tutto il libro sembra inseguire questa affermazione, cercare la sua soluzione, riflettere su quanto la nostra percezione del presente si sia ridotta all’istante, appiattita sui ritmi di un sistema economico che si riproduce a velocità costante. Il protagonista, Eric Packer, è un giovane miliardario che sullo schermo guadagna una fortuna e – dopo poche ore – sfiora la bancarotta. Ma il suo volto non tradisce nessuna emozione.
L’high-frequency trading è un modo di operare in borsa che prevede un volume esorbitante di operazioni sul mercato: si acquistano e si vendono titoli il più velocemente possibile, seguendo le fluttuazioni che fanno variare il valore delle azioni di pochi centesimi. Più la velocità delle operazioni si intensifica, più il guadagno si riduce: le azioni rimango nelle mani dei trader per pochi decimi di secondo prima di essere nuovamente vendute, così si guadagna in base a un minuscolo scarto di valore. Ma se il volume delle operazioni portate a termine aumenta, anche i centesimi guadagnati si accumulano, e aumenta anche il profitto.
A operare nell’high-frequency trading non sono uomini o donne, bensì i software sviluppati per agire secondo modelli di previsione, gli algoritmi che acquistano e vendono azioni in automatico e che – grazie alla loro potenza di calcolo – sono in grado di gestire una mole di lavoro impensabile per un essere umano. Alexandre Laumonier, analista finanziario e autore del saggio 6/5, spiega l’high-frequency trading così: ”Immaginate che le transazioni di borsa siano delle onde. La nostra compagnia è un surfista che cerca un’onda, la cavalca per un istante, e poi se ne va prima che si infranga. I nostri computer acquistano e vendono quotidianamente decine di migliaia di azioni, e le conservano per pochissimo tempo, spesso meno di un minuto.” Laumonier continua indicando un vero e proprio cambiamento di paradigma: “Nessun essere umano, da solo o in gruppo, è in grado di eseguire il volume di transazioni che attualmente realizzano i computer delle borse di tutto il mondo. Non è certo un compito che abbiamo sottratto agli umani per affidarlo ai computer – è qualcosa di totalmente nuovo.”
Per anni, nell’immaginario collettivo, la borsa è stata una bolgia di uomini in giacca e cravatta che urlano e si sbracciano seguendo le cifre scorrere su un tabellone, un mercato rionale trasformato nel tempio delle quotazioni, in cui i telefoni squillano di continuo e gli operatori si fanno di cocaina per aumentare le proprie prestazioni. Ci ricordiamo tutti il volto da caimano di Gordon Gekko in Wall street che recita il credo del broker, intimando che per lavorare in borsa occorre non avere sentimenti. Questa immagine ci è stata tramandata dagli anni Ottanta, e si è cristallizzata nell’archetipo dello yuppie rampante. La realtà odierna della borsa è ben diversa: a dominare i palazzi delle finanza sono lunghe file di computer. Le cosiddette “fosse” dei singoli mercati – i piccoli anfiteatri in cui venivano chiuse le contrattazioni – si chiamano ancora così, ma sono state soppiantate da totem di schermi che danno conto dei movimenti algoritmici. I nuovi broker sono esperti di informatica ancor prima che di finanza, e conoscono i linguaggi di programmazione più di quanto sappiano decifrare il fluttuare delle quotazioni. Non è più il tempo degli istrioni, e il Di Caprio che in Wolf of Wall Street vive la vita al massimo, navigando fra gli squali della borsa con carisma esagerato, è solo una figura mitologica. Oggi gli intermediari sono a metà strada tra gli oracoli e gli esperti, e somigliano più a Michael Blurry, il nerd monomaniaco interpretato da Christian Bale nel film La grande scommessa.
I veri protagonisti sono i software che operano nei mercati, gli algoritmi dai nomi fantasiosi come Guerrilla, Blast, Sniffer, Stealth, Iceberg, Shark, Daegger e Sumo. Ognuno di essi segue il proprio modello di previsione, la strategia per cui è stato programmato, nella speranza che si indirizzi verso le giuste fluttuazioni di mercato. Il 3 settembre 2012, Crédit Suisse First Boston, una delle più grandi banche d’investimento al mondo, tra le principali concorrenti di Goldman Sachs, ha annunciato il lancio di Guerrilla sui mercati asiatici. Il suo creatore è Daniel Mathisson, responsabile di Advanced execution services, la divisione tecnologica della banca che si occupa di ideare i software più competitivi sul mercato. Il compito dell’algoritmo è acquistare e vendere titoli con rapidità, nascondendo le proprie attività agli algoritmi avversari. Per fare tutto questo, Guerrilla opera su più mercati contemporaneamente.
Ogni algoritmo ha un livello di “aggressività”: gestisce in maniera diversa il proprio volume di operazioni, e si può rendere visibile o invisibile ai competitor a seconda della strategia.
Mathisson ha supervisionato anche la creazione di Blast, che opera in maniera più aggressiva di Guerrilla. Questo algoritmo è stato progettato per eseguire un volume considerevole di ordini, passati da investitori istituzionali – come i fondi pensione – e distribuirli simultaneamente su più piattaforme elettroniche. In questo modo, gli algoritmi avversari non fanno in tempo a reagire agli ordini così disseminati, divisi da Blast in segmenti quasi invisibili grazie a strategie diversificate e che confondono. Stealth, elaborato da Deutsche Bank nel 2011, opera come Blast, frazionando i grandi ordini in modo da risultare invisibile. Il suo obiettivo è creare più liquidità possibile per la banca, e per farlo nasconde la sua strategia di mercato agli algoritmi avversari. Così fa anche Icerberg, che acquisisce liquidità da grosse operazioni e scioglie il capitale nel mercato attraverso piccole transazioni, in modo che nessuno le noti.
Ma questi algoritmi devono affrontare avversari altrettanto agguerriti, come Sniffer, la cui funzione è quella di individuare la presenza di altri algoritmi. Quando rileva un valido avversario, l’algoritmo cerca di comprendere la sua strategia, poi gioca contro di lui o lo imita, con il fine di destabilizzarlo e poterne ricavare qualche guadagno. Anche il software Shark opera in maniera simile, specializzato nella ricerca di quegli algoritmi che giocano a nascondino. Indaga i mercati per smascherare i piccoli ordini che nascondono volumi più grandi, e quando individua un algoritmo all’opera ne anticipa le mosse, guadagnando al posto suo. Daegger è poi una versione avanzata di Shark: non solo utilizza gli stessi meccanismi, ma valuta anche il proprio impatto sui mercati, creando un modello di previsione più accurato.
Esistono poi software che fanno un altro lavoro. Daegger è l’algoritmo più usato da Citibank, che lo ha lanciato nel 2011. Alla fine arriva Sumo, dell’agenzia Knight Capital, che, come suggerisce il nome, è specializzato nel trattare ordini “floridi.” Piuttosto che ripartirli su diverse piattaforme come farebbe Guerrilla – con lo svantaggio di rendere visibili le sue attività e aumentare il rischio di farsi attaccare dagli squali – Sumo va dritto al punto, e cerca, su una sola piattaforma, il volume di transazioni che gli può dare profitto.
La capacità di calcolo delle macchine adoperate nell’high frequency trading, come detto, è infinitamente superiore a quella umana. È difficile, per chi opera nella finanza, seguire tutti i passaggi delle speculazioni basate sugli algoritmi. I fondi di investimento, costretti a rimanere competitivi, non possono fermare la “corsa agli armamenti”, e la complessità della finanza si muove giorno dopo giorno verso l’imperscrutabilità. Se i software sono programmati per competere fra loro, il compito degli analisti è quello di prevedere il loro comportamento nel mercato; ma il numero delle variabili aumenta, così come i possibili scenari originati dall’interazione fra diversi algoritmi. Allora è legittimo chiedersi chi governi i nostri soldi: audaci speculatori o macchine programmate per essere superiori all’uomo? Se la recente crisi economica è stata causata dalle scellerate speculazioni dei colossi bancari internazionali, la prossima – chissà – sarà opera di un algoritmo inafferrabile, che sfugge ai modelli dei suoi creatori e decide di portare alle estreme conseguenze la logica giornaliera dell’accumulazione.