Sono alla fermata del tram. Non manca molto a Natale. Piove, apro l’ombrello. Ci siamo appena salutati. Lui è tornato a casa, nostra: viviamo insieme. Ci rivediamo più tardi, per cena. È un lampo, una scossa: e se non lo amo? Arriva di colpo e deflagra nella mia testa a mo’ di molotov riempita d’angoscia. Se non lo amo più, lo devo lasciare. Per forza. Ma come glielo dico? Sarà il dolore più grande di sempre. Un pensiero accende l’altro. Pensavo di amarlo, ma come si fa a stabilire quanto forte deve essere l’amore? Come si decide, in assoluto, che quella è la Persona Giusta?
È iniziato tutto così, una sera di dicembre di qualche anno fa. Da lì in poi, settimane e mesi di lotta tra me e la mia testa. Erano anni che aspettavo di trovare qualcuno che mi piacesse sul serio e a cui io piacessi senza le solite fughe, le strategie, i tentennamenti. Quando l’ho trovato, il sogno più ambito s’è riempito di mostri. Sono quasi impazzito per amore, letteralmente, e non c’è stato niente di romantico. Mi svegliavo le prime notti in preda agli attacchi di panico, il petto schiacciato dal peso di un sentimento che avevo paura di perdere. O che forse avevo già perso. Per settimane non ne ho parlato con nessuno. Mi vergognavo. Come si può cambiare idea così, all’improvviso? Fino al giorno prima inondavo le conversazioni con le mie smancerie, postavo le nostre foto a destra e a manca, mi raffiguravo a mo’ di amante shakespeariano, incorniciato da vortici di cuori e cherubini. Dopo quel click nella testa, invece, ogni film, libro o articolo sull’amore mi paralizzava. L’entusiasmo si era convertito in qualcosa a cui non ero preparato e che non sapevo come gestire.
In cerca di un confronto, ho fatto quello che non si dovrebbe mai fare per sedare l’ansia: mi sono affidato alla rete. Un corpo a corpo tra me e la barra di Google. Al mattino, subito, appena sveglio, iniziavo a cercare: “Come capire se lo ami ancora”, “Come capire se si è innamorati”. Ho trovato, giorno dopo giorno, una marea di gente che riferiva cose simili a quelle che vivevo io, ma i racconti in cui mi imbattevo mi hanno fatto più male che altro: nei vari forum e nelle discussioni online, le domande venivano liquidate dai commenti col massimo del pessimismo e con una superficialità spietata. “Hai dubbi? Allora chiaramente non lo ami”. “Ti attrae un’altra persona? Semplice, è finita”.
All’epoca – ovvero quattro, cinque anni fa – non si trovavano riferimenti precisi sul tema: quello che poi ho capito essere un vero disturbo non aveva ancora un riconoscimento scientifico. È solo di recente, dal 2014, che gli si è dato un nome specifico e che gli esperti hanno preso a studiarlo davvero. L’hanno definito Relationship Obsessive–Compulsive Disorder, un sottotipo del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). I DOC sono disturbi d’ansia piuttosto diffusi, caratterizzati da due elementi: pensieri ossessivi e compulsioni, appunto. I pensieri ossessivi possono riguardare tematiche di ordine e controllo, timore di contaminazione e pulizia, aspetti religiosi e sessuali; le compulsioni invece sono messe in atto per reagire e controllare proprio quei pensieri percepiti come inaccettabili e angoscianti. Nel DOC da relazione, in particolare, la persona si tormenta sul proprio rapporto amoroso, cercando di “capire” se ha motivo di continuare oppure no. I ricercatori israeliani Doron e Derby hanno creato di recente un programma e addirittura un’app per gestire i sintomi di questo disturbo di cui finalmente si inizia a parlare di più. E anche su YouTube sono molto prolifici.
Il DOC da relazione si ribella alla fisiologica incertezza dei sentimenti: porta a scansionare di continuo il partner e le sue caratteristiche alla ricerca di difetti e mancanze, con tutta una serie di ripetizioni e abitudini che hanno soprattutto lo scopo mettere a tacere l’ansia, e che invece finiscono per alimentarla. Il taglio dei capelli, gli occhi che ti piacevano tanto, il suo modo di sorridere o il suo senso dell’umorismo: i dettagli fisici ma anche caratteriali della persona con cui si sta vengono zoomati, alla ricerca ogni volta dell’elemento definitivo che ti porti a concludere in un senso oppure nell’altro. La fregatura è che non si arriva mai a nessuna conclusione. Le congetture continuano all’infinito, mentre la tua vita si blocca.
Spesso si aggiunge anche la fobia del tradimento. Una specie di malsano perfezionismo mi faceva pensare che, se uno è davvero innamorato, non è possibile che provi attrazione nei confronti di altre persone (e questo è ovviamente falso). Avevo paura del mio desiderio, di poter finire all’improvviso a scopare in giro. E i social certo non mi hanno aiutato. Ero diventato il nemico di me stesso e per difendermi ho iniziato ad abbassare i miei livelli vitali. Insieme ai dubbi sono arrivati infatti i vissuti depressivi: al posto che uscire e fare cose, restavo in casa a guardare video e documentari per tenere occupata la testa. Ho iniziato a posticipare o annullare impegni e scadenze, nella speranza di concentrarmi sulla sulla mia relazione e metterla in salvo.
Questo disturbo si basa su un circolo vizioso: più hai ansia, meno hai modo di sentire le altre emozioni. Lo stress, la tensione, o addirittura il panico, coprono qualsiasi altra attivazione affettiva spontanea: l’amore nel mio caso c’era eccome, ma era soffocato dal bisogno di capire se era lo stesso di prima. Il DOC da relazione ti chiede prove continue, ma come si fa a “provare” l’amore? Mica lo puoi esibire, misurare, fotografare. E poi l’unico che, in quella situazione, potrebbe fare qualcosa del genere – tu stesso – è fuori gioco. Sia chiaro: è più che normale farsi delle domande sul proprio rapporto, come pure è normale che l’amore finisca e che magari si fatichi a lasciare la persona con cui si sta. Ma il disturbo ossessivo-compulsivo da relazione è un’altra cosa: è un bisogno di risposte impazzito che finisce per prendere tutta la scena. Non lascia più spazio per la relazione, ma neanche per se stessi.
A poco a poco, ho poi scoperto che le fasi dell’innamoramento possono favorire questo tipo di dubbi patologici. In ogni coppia dopo qualche mese l’infatuazione finisce, e non solo in senso retorico. L’innamoramento iniziale provoca un sacco di alterazioni biochimiche, molto piacevoli ma che non durano in eterno. Dopo i picchi di euforia (e serotonina) ogni relazione deve trovare un suo equilibrio, fatto di ritmi più soft e di un graduale ritorno alla normalità. E se non ci si riesce, se si cerca di sigillare le farfalle nello stomaco per non farle scappar via, il cortocircuito è dietro l’angolo: quante coppie finiscono perché si reagisce in modo brusco a queste variazioni naturali della relazione?
Io ho scelto di chiedere aiuto. Stavo ancora studiando e facevo al massimo piccoli lavori, così ho cercato una psicologa che offrisse tariffe agevolate. L’ho trovata, ma non è andata bene. Era una a indirizzo sistemico-familiare, l’ha presa troppo alla larga: voleva fare l’albero genealogico della mia famiglia e ricostruire le dinamiche e i deficit assimilati nell’infanzia. Un lavoro anche interessante, potendoselo permettere, ma per me ogni giorno in più da passare coi miei pensieri era uno stillicidio. Dopo tre-quattro incontri, ho cambiato terapeuta. Mi serviva qualcosa di più mirato. Mi hanno consigliato uno psicologo esperto di EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ovvero Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), una tecnica molto interessante (ed efficace) di superamento dei traumi, molto usata con sopravvissuti a catastrofi e calamità naturali e con le vittime di abusi. Dopo le sedute di EMDR il paziente ricorda l’evento – non c’è rimozione – ma il contenuto è emotivamente più scarico e può essere metabolizzato più facilmente (anche grazie alla psicoterapia tradizionale).
A poco a poco i miei dubbi e le mie angosce si sono sgonfiati: è stata soprattutto la sospensione della domanda ad aiutarmi a stare meglio. Non sono arrivato a nessuna conclusione, ho solo smesso di avvinghiarmi al bisogno di capire. “La vostra storia continuerà o no, ma non lo deciderai ora, ti porrai il problema quando sarai più sereno”, mi ripeteva il mio psicologo. Il tempo e lo spazio messi tra me e il bisogno di trovare una risposta hanno fatto riemergere naturalmente la voglia di rimanere nella relazione. Quella che a me sembrava diminuzione dell’amore era solo paura di non amare abbastanza, il tentativo di non perdere gli effetti speciali dell’infatuazione.