Tempi duri per i no-vax. Mentre in Italia dallo scorso 10 marzo è scattato il divieto di ingresso in classe per i bambini del nido e della scuola dell’infanzia non vaccinati e negli Stati Uniti, colpiti di recente da numerose epidemie di morbillo, molti adolescenti chiedono di poter essere vaccinati anche senza il consenso dei propri genitori, è arrivata un’ulteriore prova a favore dei vaccini: il vaccino trivalente Mpr, contro morbillo, parotite e rosolia, non ha alcun legame con l’autismo. A dimostrarlo una volta per tutte è uno studio svolto in team dai ricercatori dell’Università di Copenhagen, dello Statens Serum Institut di Copenhagen e della Scuola di medicina dell’Università di Stanford. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Annals of Internal Medicine dell’American College of Physicians, l’associazione dei medici internisti statunitensi.
Nel 2002 gli stessi ricercatori avevano pubblicato i risultati di un altro studio in cui avevano preso in considerazione tutti i bambini danesi nati tra il 1991 e il 1998, e il riscontro era stato lo stesso. La nuova ricerca si basa su un numero ancora più ampio di casi, ovvero 657.461 bambini nati in Danimarca tra il 1999 e il 2010. Il team di ricerca li ha monitorati fino al 2013 a intervalli regolari, per ottenere tutte le informazioni relative alla vaccinazione e ai tassi di diagnosi di un qualsiasi disturbo dello spettro autistico. Il 95% dei bimbi monitorati è stato vaccinato nel corso degli anni di durata della ricerca.
I sospetti sull’esistenza di un legame tra il vaccino Mpr e l’autismo risalgono a uno studio, del 1998, del medico inglese Andrew Wakefield. La ricerca, pubblicata sulla rivista The Lancet, prendeva in esame dodici pazienti che, secondo Wakefield, avevano avuto una diagnosi di autismo conseguente alla somministrazione del vaccino. Qualche anno dopo, un’inchiesta del New York Times, ha scoperto che il medico era stato pagato dalle famiglie dei piccoli pazienti per falsificare i risultati. I genitori stavano portando avanti una class action contro la casa farmaceutica produttrice del vaccino. The Lancet ha quindi ritirato l’articolo e Wakefield è stato radiato dall’ordine dei medici per frode scientifica e condotta professionale scorretta. Questo non ha impedito che l’ex medico continuasse a venire considerato come una sorta di eroe da molti antivaccinisti, tanto che altri ricercatori hanno seguito le sue orme: nel 2017 è stato pubblicato un articolo sul Journal of inorganic biochemistry, che metteva in relazione gli adiuvanti a base di alluminio, presenti in alcuni vaccini, con l’autismo. Anche questo articolo è stato poi ritirato per frode scientifica dato che i ricercatori avevano volontariamente manipolato i risultati per dare credito alle proprie teorie.
Lo studio dei ricercatori danesi ha invece dimostrato con dati inconfutabili che non esiste alcuna correlazione, neanche in quei bambini considerati più “a rischio”: i bambini con un fratello autistico, infatti, hanno sette volte più probabilità di ricevere una diagnosi di autismo rispetto a bambini che non hanno altri casi in famiglia. I maschi, inoltre, hanno quattro volte più probabilità di ricevere diagnosi di autismo rispetto alle femmine. Negli anni in cui è stata svolta la ricerca a 6.517 bambini è stata diagnosticata una malattia dello spettro autistico e i ricercatori hanno osservato che i bambini vaccinati, anche nei gruppi a rischio, presentavano il 7% in meno di probabilità di sviluppare l’autismo rispetto ai bambini non vaccinati. I bambini non vaccinati avevano in generale il 17% in più di probabilità di ricevere una diagnosi di autismo rispetto ai bambini che avevano effettuato le vaccinazioni raccomandate.
“Lo studio è un’ulteriore conferma del fatto che il vaccino Mpr non aumenta il rischio di autismo, non lo scatena in bambini con predisposizione familiare e non è associato in alcun modo a casi di autismo dovuti alla sua somministrazione”, hanno concluso i ricercatori. “I genitori non dovrebbero evitare di vaccinare i figli per paura dell’autismo,” ha dichiarato alla Reuters Anders Hviid, primo autore dell’articolo. “Il pericolo di non vaccinare include anche, come stiamo osservando in questo periodo, il riacutizzarsi di alcune malattie come il morbillo, fino a scatenare vere e proprie epidemie.”
Epidemie che, negli Stati Uniti, stanno diventando un’emergenza nazionale: dall’inizio del 2019 se ne sono già verificate sei in diversi Stati, tra cui il Texas, la California e l’Illinois. Una delle cause è proprio la mancata vaccinazione. In Italia si sono contati 163 casi di morbillo solo nel mese di gennaio, ma la legge del 2017 sull’obbligo vaccinale sta iniziando a dare i risultati sperati: le coperture vaccinali sono aumentate nel 2018, anche se in molte regioni non è ancora stata raggiunta la soglia raccomandata del 95%. E mentre nel mondo occidentale ci sono persone che scelgono volontariamente di evitare i vaccini, in Madagascar – un Paese alle prese con la più grave epidemia di morbillo degli ultimi anni, che ha già provocato la morte di oltre 900 bambini – i genitori cercano disperatamente di vaccinare i propri figli. Le dosi disponibili, però, sono poche e spesso troppo costose per chi è costretto a vivere con meno di due dollari al giorno.
Ma perché c’è ancora tutta questa resistenza a vaccinare? Probabilmente è dovuta al fatto che il primo ciclo di vaccinazioni e le diagnosi di autismo dei bambini coincidono a livello temporale: la dose iniziale della profilassi Mpr si somministra tra i 12 e i 15 mesi e la seconda tra i cinque e i sei anni. Normalmente una diagnosi di autismo viene formalizzata non prima dei tre o quattro anni di età, con i primi sintomi già presenti intorno ai 18 mesi. È facile per molte famiglie mettere in correlazione i due eventi. A complicare le cose c’è anche il fatto che i disturbi dello spettro autistico non hanno una sola causa, ma un insieme di fattori genetici e ambientali che agirebbero nell’utero materno durante lo sviluppo del feto.
Probabilmente neanche questa nuova ricerca danese metterà fine alla disinformazione portata avanti dal movimento antivaccinista. Lo conferma anche uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Psychology: Applied. I ricercatori dell’Università di Padova e della New York University Abu Dhabi hanno messo in relazione le coperture vaccinali dei bambini italiani dagli zero ai due anni tra il 2000 e il 2015 con le attività di ricerca su Google, arrivando alla conclusione che più le persone fanno ricerche online in materia e meno decidono di vaccinare i loro figli. Questa scelta è dovuta prima di tutto alla difficoltà degli utenti di distinguere le fonti affidabili, basate su dati scientifici, dalle opinioni personali dei sedicenti esperti. Anche il pregiudizio del genitore può fare la differenza: digitare chiavi di ricerca come “rischi dei vaccini” o “vaccini e autismo” indirizza i risultati verso contenuti non sempre attendibili, spesso condivisi sui social network dove i movimenti no-vax amplificano quotidianamente paure infondate e senza nessuna base scientifica. Nel 2018 il 20% dei 13mila casi di morbillo registrati in Europa si trovava in Italia, come conseguenza diretta del clima di psicosi alimentato negli ultimi anni. I numeri parlano chiaro: nel nostro Paese abbiamo sempre più bisogno di una legge che ci imponga la vaccinazione.