I giovani sono sempre più ansiosi e depressi, e la situazione economica, le guerre, il terrorismo non c’entrano nulla. Questo, almeno, è ciò che appare da una serie di studi realizzati negli Stati Uniti. Negli ultimi 50-70 anni, a parità di test utilizzati, negli USA si è verificato un aumento nei tassi di ansia e depressione nelle fasce più giovani della popolazione: adolescenti dai 14 ai 19 anni e studenti universitari, infatti, hanno visto aumentare dalle 5 alle 8 volte i casi di disturbi mentali di tipo ansioso-depressivo.
Jean Twenge è una docente di psicologia alla San Diego State University, e da oltre 25 anni analizza i trend del benessere generazionale. In uno studio pubblicato nel 2010 su Clinical Psychological Review, Twenge ha analizzato i dati raccolti utilizzando due test: il MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) per gli studenti del college, e il MMPI-A (Minnesota Multiphasic Personality Inventory-Adolescent), per gli adolescenti dai 14 ai 19 anni.
Entrambi gli esperimenti sono stati ampiamente usati nel corso degli anni, quindi la ricercatrice è riuscita ad analizzare tutti i dati raccolti dal 1938 al 2007, scoprendo che il livello di benessere mentale è drasticamente calato, lasciando spazio a situazioni di disagio psicologico. Cosa è successo in questo periodo? Twenge non collega questi risultati a pericoli reali o incertezze legate al periodo storico: il vero problema non sembra tanto essere il mondo, ma il modo in cui questo viene percepito dai ragazzi.
Disturbi come l’ansia e la depressione, secondo la ricercatrice, dipendono principalmente dalla mancanza di controllo che le persone sentono di avere sulle proprie vite. Chi è convinto di avere maggior polso sulla propria esistenza ha meno possibilità di diventare ansioso o depresso rispetto a chi, invece, è convinto di essere vittima delle circostanze. Negli ultimi decenni, nonostante la qualità della vita sia aumentata grazie ai progressi in campo medico, alla diminuzione dei pregiudizi su razza e orientamento sessuale, e a un generale aumento della ricchezza, nei giovani americani è maturata la convinzione di non essere in grado, al pari delle generazioni precedenti, di indirizzare il proprio destino dove più preferirebbero.
Twenge ha misurato il livello di controllo basandosi su un altro test: quello sviluppato da Julien Rotter negli anni ’50. Durante la somministrazione, il paziente deve scegliere tra due affermazioni quella che sente più vicina al suo modo di essere. Una delle due frasi rappresenta il controllo personale e l’altra il controllo da parte di fattori esterni. Chi sceglie più affermazioni legate al controllo personale affronta meglio la vita: ha un lavoro migliore, si prende più cura della propria salute e ha meno possibilità di diventare ansioso o depresso. Twenge ha analizzato i risultati dell’esperimento di Rotter dal 1960 al 2003 per gli studenti universitari, mentre per gli adolescenti ne ha utilizzato uno simile, ma adatto a ragazzi più giovani (di Nowicki-Strickland). Per entrambe le fasce d’età analizzate, i risultati si sono spostati, nel tempo, verso una maggiore propensione verso la scelta delle frasi legate al controllo esterno, e questo appare strettamente legato all’aumento di stati ansioso-depressivi. L’aumento generazionale dell’ansia e della depressione appare correlato, quindi, a un generale spostamento delle proprie priorità verso fattori esterni, come il possesso di beni materiali e il giudizio degli altri; aspetti, questi, su cui per forza di cose si ha meno controllo.
Secondo i ricercatori, il cambiamento registrato nello studio è una conseguenza della cultura del materialismo promossa dalla tv e dai media, a cui i giovani sono maggiormente sensibili. Sin dalla nascita, infatti, i bambini sono bombardati da messaggi che fanno loro intendere che la felicità dipenda dall’avere un bell’aspetto, dall’essere popolari e dal possedere certi beni materiali. Secondo Peter Gray, professore di psicologia al Boston College e autore del libro Free to learn, però, il problema non è solo questo: la preoccupazione del giudizio altrui, l’ansia, la depressione, sono causate soprattutto dalla diminuzione di un aspetto che fino a pochi anni fa era prevalente nella vita dei ragazzi: il gioco. Il gioco e l’esplorazione sono stati, da sempre, il mezzo attraverso il quale i più giovani imparavano a risolvere i problemi, ad assumere il controllo sulla propria vita, a sviluppare i loro interessi e le loro competenze, a rafforzare i legami sociali con i coetanei.
Di recente la possibilità per i bambini di giocare e di esplorare liberamente il mondo che li circonda è drasticamente diminuita, perché negli ultimi 50 anni il gioco libero ha lasciato via via il posto a una serie di attività strutturate e supervisionate dagli adulti, non solo in orario scolastico ma anche in quello che dovrebbe essere il tempo libero. Lezioni, laboratori artistici o linguistici, corsi sportivi, fanno sì che i ragazzi siano costantemente seguiti, protetti, giudicati, consigliati o premiati dagli adulti. Privare i bambini dell’opportunità di stare da soli, anche annoiandosi, senza una costante supervisione da parte degli adulti, significa privarli dell’autostima, aumentando così il rischio che possano sviluppare disturbi ansiosi e depressivi anche in giovane età.
Uno studio più recente di Jean Twenge, invece, punta il dito contro l’utilizzo dello smartphone. Il cambiamento più grande avvenuto negli ultimi decenni è stato proprio l’utilizzo delle nuove tecnologie. Una ricerca del 2017 su più di 5mila adolescenti ha mostrato che tre su quattro di loro ne possiede uno. Il 56% dei tredicenni che trascorre più di 10 ore alla settimana sui social si considera infelice.
Se questa è la situazione degli adolescenti americani, anche in Europa non c’è molto da ridere: un rapporto pubblicato nel Regno Unito dalla Children’s Society ha analizzato il benessere degli adolescenti, mostrando come, tra il 2009 e il 2016, sia stata registrata una diminuzione significativa della felicità percepita dai ragazzi riguardo alla loro vita e alle relazioni con gli amici. Non solo: il 15% degli intervistati, soprattutto tra le ragazze, ha dichiarato di infliggersi autolesionismo. E un altro studio, svolto dalle Università di York e di Bath, ha mostrato che, soprattutto tra gli studenti universitari, si è verificato un aumento della tendenza al perfezionismo, cosa che a lungo andare peggiora la salute mentale, scatenando proprio ansia e depressione.
Nel nostro Paese non sono stati condotti studi su campioni ampi come quelli anglosassoni, ma esaminando i dati riportati dai diversi enti che si occupano di salute pubblica, la situazione non è poi tanto diversa. I dati Ocse, rilevati attraverso l’indagine PISA (Programme for International Student Assessment) rivolta agli studenti di 15 anni, mostrano che il 65% dei quindicenni italiani si ritiene soddisfatto della propria vita, una percentuale, però, inferiore rispetto alla media degli altri Paesi Ocse, che sfiora il 71%. Fonte di infelicità e ansia, per gli studenti italiani, è soprattutto la scuola: è scatenata dal timore di prendere brutti voti e di fallire un test, e questo vale anche per chi sa di aver studiato. L’utilizzo di internet è massiccio: il 23% degli studenti dichiara di utilizzarlo per più di sei ore al giorno. Ci sono poi i dati sulla salute mentale pubblicati dall’Istat, che mostrano come il benessere psicologico sia generalmente diminuito sia tra i giovani che tra gli adulti. Infine, il dato più allarmante è quello che arriva dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza: tra il 2015 e il 2017, i tentativi di suicidio da parte dei teenager sono quasi raddoppiati e proprio il suicidio è diventato la seconda causa di morte tra i giovani. Su un campione di 10.300 adolescenti intervistati dall’Osservatorio, circa la metà si definisce depressa: una sensazione, questa, che colpisce il 53% dei ragazzi e delle ragazze, mentre la percentuale nel 2015 era pari al 33%. Secondo Maura Manca, presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, l’unico modo per fermare questo trend è quello di fare prevenzione e informazione all’interno delle scuole, facendo sì che si crei una rete tra la scuola e la famiglia, per fare in modo che il disagio venga riconosciuto fin dai primi sintomi.
Che la causa sia l’utilizzo dello smartphone, la mancanza di socialità o il perfezionismo, il fatto che le malattie mentali colpiscano persone sempre più giovani dovrebbe far riflettere sulla piega che sta prendendo la nostra società.