Perché non c’è niente di salutare negli alimenti salutisti

Negli ultimi anni, da quando internet è diventato una delle principali fonti di informazione, sono nate diverse mode in ambito alimentare, promosse spesso dalle celebrità sui loro blog o profili social. Ecco quindi che questa o quella spezia diventa un toccasana contro i problemi di salute più disparati, mentre alimenti da sempre presenti nella nostra cultura alimentare vengono demonizzati, fino a diventare dei veri e propri nemici. Molto spesso, però, queste mode non solo non sono supportate da evidenze scientifiche, ma senza un’adeguata assistenza professionale possono anche rivelarsi dannose per la salute e l’ambiente, oltre che per il nostro conto in banca. A molti sarà capitato di leggere su alcuni blog, ad esempio, dei benefici della curcuma, diventata negli ultimi cinque anni un vero e proprio superfood, grazie alle sue proprietà antiossidanti, antiinfiammatorie e anticancro. La curcuma è la radice della Curcuma longa, pianta della stessa famiglia dello zenzero e del cardamomo, una spezia utilizzata da secoli nei paesi asiatici e arabi sia per l’alimentazione (è uno dei componenti del curry) che per la preparazione di cosmetici e tinture naturali. Secondo alcuni, le sue proprietà benefiche sarebbero dovute alla curcumina, una sostanza dal pigmento giallo-arancio che viene già usata nell’industria alimentare come colorante, e che però come integratore alimentare ancora non ha messo d’accordo gli scienziati. C’è chi, come Ajay Goel, direttore del Center for Gastrointestinal Research della Baylor University, in Texas, è convinto che, in un futuro non troppo lontano, la curcumina diventerà un farmaco a tutti gli effetti. Goel ne ha studiato le proprietà nel trattamento di varie malattie, dall’artrite reumatoide al cancro, e ha riscontrato, per quanto riportato nei suoi studi, benefici in entrambi i casi. In particolare, la curcumina potenzierebbe l’effetto dei farmaci chemioterapici nel trattamento del cancro colonrettale. Di tutt’altra opinione, però, è Kathryn M. Nelson, dell’Università del Minnesota. In una review pubblicata sul Journal of medical chemistry, Nelson ha dimostrato infatti che la curcumina è una sostanza instabile dal punto di vista chimico e poco biodisponibile.

Se davvero la curcuma ha proprietà benefiche, quindi, non sembrerebbero dovute alla curcumina. Nel 2016, inoltre, sette articoli scientifici sui benefici della curcumina, sono stati ritirati, a causa di procedure sbagliate negli esperimenti, manipolazione dei risultati e inesattezze scientifiche. Secondo il National Center for Complementary and Integrative Health, un istituto governativo che si occupa di studiare prodotti e pratiche non raccomandati dalla medicina ufficiale, gli studi condotti sulla curcumina possono essere considerati solo studi preliminari, al momento privi di una comprovata validità scientifica. Nonostante questo, nel 2015 la curcuma è risultata la spezia più venduta nei negozi specializzati in alimentazione naturale degli Stati Uniti. La curcuma spesso è tra gli ingredienti delle bevande definite detox, che dovrebbero aiutare l’organismo a espellere tossine e calorie in eccesso. Sennonché anche la reale efficacia di queste bevande è stata messa in discussione. Nello specifico, particolarmente critica è l’opinione di Edzard Ernst, professore emerito di medicina complementare all’Università di Exeter, il quale ha sostenuto, nel corso di una intervista rilasciata al Guardian, che un conto sarebbe “Parlare di detox nel trattamento delle dipendenze da stupefacenti, un altro è l’utilizzo di questa parola da parte di imprenditori e ciarlatani, per vendere un trattamento che dovrebbe eliminare dall’organismo tutte le tossine che in teoria si sarebbero accumulate nel tempo”. Secondo il prof. Ernst, quindi, i prodotti venduti a caro prezzo (il prezzo medio per un trattamento di 28 giorni è di circa 40 euro) rappresenterebbero dei rimedi inconsistenti venduti a prezzi speculativi grazie alla disinformazione dei consumatori in campo medico e scientifico.

Una controversia simile riguarda il sale rosa dell’Himalaya, estratto dalla miniera di Khewra, in Pakistan, a più di 300 km dalla catena montuosa che gli dà il nome. Per alcuni – come il naturopata Peter Ferreira, che è stato tra i primi a parlare dei suoi presunti effetti benefici – questo sale avrebbe proprietà quasi miracolose contro la ritenzione idrica e l’ipertensione, minimizzerebbe i segni dell’invecchiamento, rinforzerebbe le ossa, promuoverebbe il mantenimento del pH entro i valori normali e favorirebbe il sonno. Eppure, questo magico sale, commercializzato come il più puro al mondo ha praticamente la stessa composizione chimica del normale sale da cucina: è composto per il 98% da cloruro di sodio, e per il restante 2% da minerali in tracce che gli conferiscono la caratteristica e variabile colorazione rosa, soprattutto il ferro. Dovrebbero essere questi minerali a fare la differenza, peccato che siano, appunto, esclusivamente tracce, paragonabili alle diluizioni omeopatiche: le quantità che vengono ingerite con il normale utilizzo alimentare sono talmente trascurabili da risultare praticamente nulle. E il costo è altissimo: per un pacchetto di sale rosa dell’Himalaya si possono spendere fino a 30 volte in più rispetto al normale sale da cucina, e le differenze sono davvero minime, come spiega Simona Giampaoli, dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, a Il Fatto Alimentare: “È difficile far capire al consumatore che il sale è sale: poco importa se i grani sono bianchi, azzurri o rosa o se il costo sia molto diverso. Tutti i sali in commercio contengono quasi esclusivamente cloruro di sodio, l’unica eccezione riguarda il sale di potassio consigliato nei regimi alimentari a basso tenore di sodio”.

Ci sono alimenti che, al contrario, sono stati bollati come nemici della salute pubblica. Una delle prime “vittime” è stato il lievito di birra, ottenuto da microrganismi viventi, i funghi unicellulari Saccharomyces cerevisiae, che vengono coltivati e fatti fermentare. Dal momento che ogni cellula si riproduce per gemmazione ogni dieci minuti circa, il lievito di birra accelera i tempi di lievitazione, ed è per questo stato sempre utilizzato nella panificazione industriale. Vari blog di fitness hanno però iniziato a definirlo “un nemico giurato, perché distrugge la flora batterica e la salute”, senza ovviamente citare fonti valide per avvalorare questa tesi. Meglio utilizzare il lievito madre, cioè un composto di acqua e farina fatto fermentare a lungo. Questo composto contiene, oltre ai lieviti, anche batteri che, producendo acido lattico, avviano la fermentazione. La presenza di acido lattico dovrebbe abbassare l’indice glicemico, che misura la velocità con cui un cibo fa innalzare i valori di glucosio nel sangue. In realtà non è del tutto vero: uno studio condotto da un team israeliano afferma infatti che non ci sono differenze sostanziali tra il pane preparato con il lievito madre e quello preparato con il lievito di birra. Non solo: il picco glicemico nel sangue varia da persona a persona. Per alcuni l’indice glicemico si alza di più dopo aver mangiato il pane con il lievito di birra, per altri, invece, è più alto dopo l’assunzione di pane con lievito madre.

Tra gli alimenti demonizzati rientra anche il glutine, un composto proteico presente in alcuni cereali, come il grano, l’orzo e il farro. Nell’ultimo periodo vi sarà capitato di notare con sorpresa la dicitura “senza glutine” anche su confezioni di alimenti che dovrebbero già essere naturalmente privi di questa sostanza. Ciò accade per due ragioni: la prima è che è entrata in vigore una normativa che obbliga a specificare sempre se un determinato prodotto alimentare contiene glutine o contaminazioni, dato che spesso vengono usate farine come addensanti, e quindi il glutine può trovarsi anche nella salsa di soia, nelle caramelle gommose, nei salumi o nei polpettoni. Dunque molte aziende hanno cavalcato la possibilità di ammiccare al consumatore celiaco scrivendo bene in grande sul fronte dei pacchetti: gluten free. Anche perché, i celiaci lo sanno bene, fare la spesa fino a qualche anno fa era una croce e quindi spesso i consumatori affetti da questa malattia finivano per comprare sempre le stesse poche cose, solo per evitare di perdere le diottrie consultando con cura ogni etichetta scritta in corpo 2. Parallelamente si sta facendo strada una moda – anche se in Italia è ancora piuttosto contenuta dato che la nostra dieta è fortemente basata sul grano – secondo cui il glutine farebbe potenzialmente male a tutti. Di questo però non ci sono evidenze scientifiche. Vero è che molti, anche non essendo celiaci, sviluppano intolleranze a causa dell’abuso di prodotti contenenti questa sostanza. Gli istituti di statistica americani stimano che, negli Stati Uniti, il mercato dei cibi gluten free raggiungerà entro il 2020 un giro d’affari di oltre 7 miliardi di dollari. Secondo diversi testimonial famosi, la dieta priva di glutine fa dimagrire, aumenta l’energia, fa sentire meglio, addirittura può servire a curare l’autismo. Non la pensano così molti medici, tra cui Daniel Leffler, direttore del centro per la celiachia al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston. Leffler afferma infatti che “In assenza di celiachia grave, alcune persone sensibili al glutine potranno trarne dei benefici, mentre per altri non avrà alcun effetto. Butteranno solo via dei soldi, visto che i prodotti gluten free sono molto costosi”. Inoltre possono esserci dei danni per la salute: come dimostra uno studio della American Heart Association, eliminare completamente il glutine dalla dieta aumenta il rischio di contrarre il diabete di tipo 2 a causa della mancanza di fibre alimentari, considerate come protettori contro questa malattia.

E proprio la paura di sviluppare delle malattie, in questo caso il cancro, ha fatto sì che da qualche anno a questa parte i consumatori avviassero una vera e propria crociata contro l’olio di palma, costringendo le aziende a prendere provvedimenti e a eliminare questo ingrediente dai loro prodotti. L’olio di palma (e l’olio di palmisto, estratto dai semi) sono grassi di origine vegetale contenenti un’alta percentuale di grassi saturi. L’utilizzo di oli di palma nell’industria dolciaria è dovuto principalmente al fatto che sono economici e semisolidi, quindi perfetti sostituti del burro. Ma il problema dell’olio di palma è principalmente etico, dato che per produrlo si disbosca la foresta pluviale; per quanto riguarda il problema salutare bisognerebbe parlare più in generale di grassi vegetali idrogentati. Uno studio dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha dimostrato che a elevate temperature gli oli vegetali possono sviluppare sostanze (2-MCPD, 3-MCPD e glicidil esteri degli acidi grassi) potenzialmente cancerogene. A renderli effettivamente pericolosi comunque è la quantità: lo studio dimostra infatti che queste sostanze sono dannose solo ad alte concentrazioni. Il vero rischio, quindi, secondo il Contam, il gruppo dell’Efsa che si occupa di contaminanti nella catena alimentare, non è legato all’assunzione di olio di palma idrogenato, ma alla frequenza e alla quantità del suo consumo. Insomma, come per quanto riguarda molti altri alimenti, non bisogna esagerare. Se i danni sulla salute, però, sono arginabili con un consumo moderato, serve un po’ più di attenzione per i danni all’ambiente. Come già spiegava un articolo di Nature nel 2012, la sempre più massiccia richiesta mondiale di olio di palma ha fatto sì che molti Paesi dell’Asia introducessero coltivazioni intensive di palme da olio, a scapito delle foreste e della biodiversità ad esse associata. È diventata quindi di primaria importanza non tanto l’eliminazione dell’olio di palma da tutti i prodotti alimentari, quanto una sua produzione più sostenibile.

E per quanto riguarda ciò che mangiamo, non sempre una cosa è bianca o nera: prima di seguire una moda a occhi chiusi, solo perché viene consigliata da qualche personaggio più o meno noto sui social, sarebbe meglio sentire diversi pareri e pensare prima di tutto che la scelta più salutare per il nostro corpo è quella di seguire un’alimentazione variata e ricca di tutti i micronutrienti essenziali.

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