Vico Magistretti e la rivoluzione della semplicità - THE VISION

Vico Magistretti segna la via dell’Italian Design con semplicità ed eleganza. A permettergli di plasmare quel cammino e quegli oggetti diventati icone non è il grande studio brulicante di progettisti di cui si circondano i suoi colleghi: bastano le sue idee, talmente chiare nella testa dell’architetto e designer che i progetti prendono vita naturalmente dai suoi appunti e che persino gli riesce di trasmetterli al telefono. Questa rarissima chiarezza di pensiero, insieme alla sua semplicità, si accompagnano a una modestia con la quale Magistretti scansa i meriti: le buone idee, per lui, vengono da sole. E quelle buone davvero sono destinate a durare anche un secolo.

© Fondazione studio museo Vico Magistretti

Se non avesse abbracciato la carriera di architetto, forse, Ludovico Magistretti avrebbe potuto essere un grande direttore d’orchestra. Così lo apostrofano, divertiti e ammirati gli operai della Fritz Hansen, azienda danese con la quale collaborò negli anni ’90, progettando oggetti d’arredo. La musica, in particolare la classica di Mozart e di Bach, gli fa compagnia mentre è al lavoro sui concetti prima che si trasformino in schizzi, tratteggiati dietro a un fax, uno scontrino, o su un angolo di giornale – è sulla carta ingrigita di un quotidiano, durante un volo di ritorno da Londra a Milano, che nasce la lampada Atollo, prodotta da Oluce e valsagli un Compasso d’Oro nel 1977. Forse a segnarlo, fin da ragazzo, è la vicinanza con il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano: lo studio di suo padre, Pier Giulio Magistretti, si trova proprio dirimpetto alla scuola e le melodie filtrano dalle finestre aperte. Lo stesso studio che Vico eredita nel 1945 e che oggi conserva uno sterminato archivio, tra storia e progetti, alcuni prodotti in serie, altri mai concretizzatisi da quei fogli di carta.

Schizzi della lampada Atollo © Fondazione studio museo Vico Magistretti
Lampada Atollo, courtesy Oluce

Vico, nato nel 1920 e cresciuto tra gli usi e gli agi della borghesia milanese, sceglie di seguire le orme del nonno e del padre e di iscriversi al Politecnico di Milano, dove ha tra i suoi maestri Gio Ponti e Piero Portaluppi. A rendere più difficili le cose, però, c’è la guerra, che spinge molti a una temporanea fuga in Svizzera per evitare il servizio militare. Nei mesi che Magistretti trascorre a Losanna perfeziona le sue conoscenze e soprattutto conosce Ernesto Nathan Rogers, fondatore del gruppo BBPR, amico e maestro che lo segna nel suo modo di concepire la progettazione.

Al rientro a Milano, Vico e colleghi si trovano alle prese con una missione non da poco: ricostruire una città bombardata e ferita, risollevarla e proiettarla verso il futuro. Sono gli anni della grande edilizia popolare, tra cui spiccano i progetti delle case per i reduci d’Africa e della Chiesa di Santa Maria Nascente nel quartiere QT8, realizzati da Magistretti insieme a Mario Tedeschi. In breve tempo il tema dell’abitare diventa centrale nella sua produzione e il suo linguaggio, deciso e indipendente, comincia da un lato a procurargli aspre critiche, dall’altro gli permette di lasciare un segno e di diventare uno dei protagonisti della cultura architettonica lombarda. Nel 1959 al Congresso internazionale di architettura moderna di Otterlo, in Olanda, insieme alla mensa Olivetti di Gardella e alla torre Velasca dei BBPR viene presentata la casa Arosio ad Arenzano, progettata da Magistretti in quegli anni: queste architetture generano un tale scandalo da segnare la crisi irreversibile del congresso, mai più convocato, e la rottura con i sistemi precedenti.

Chiesa al QT8 © Fondazione studio museo Vico Magistretti
Chiesa al QT8
Torre al Parco © Fondazione studio museo Vico Magistretti
Torre al Parco

“Vico,” scrive lo storico dell’architettura Fulvio Irace, “non pretese mai di essere un rivoluzionario, nel senso almeno indicato dal massimalismo ideologico di quegli anni. Credette invece nell’animo riformista di una cultura cittadina impegnata nella trasformazione e vi riversò con intelligenza il suo punto di vista di operatore del progetto”. Nonostante la sua modestia, parte di quel generale understatement che sempre lo contrassegnò, Magistretti riesce davvero a essere un rivoluzionario, specialmente nel campo del design. Benché si sia sempre identificato nella figura dell’architetto, si ritrova infatti presto con la necessità di riflettere sull’oggetto di arredo: domande che nascono a partire dal proprio quotidiano. “Io ho cominciato a fare il design perché avevo bisogno di oggetti per la mia casa,” ammetterà. Domande che non sono in prima istanza estetiche, ma che discendono da una volontà innanzitutto pratica. Il criterio ultimo di Magistretti nel decretare l’effettiva bontà di un pezzo di design è onesto e soggettivo e risponde a una domanda: lo userei, quest’oggetto, per arredare casa mia?

Fondazione Vico Magistretti, sala riunioni e sala studio. Foto di Matteo Carassale.

L’esempio principe di questa necessità personale è la collezione Broomstick, ispirata alla banale forma di un manico di scopa e progettata per arredare la sua casa inglese, dove vive per tutto il periodo in cui insegna al Royal College of Art di Londra come visiting professor. Schietto ed elegante, nella vita come nel progetto, Magistretti è abile nel reinterpretare forme semplici e minimali, come tondi, triangoli, rettangoli, e nello sviluppare a partire da essi oggetti inaspettati per gusto e soprattutto per semplicità, la cosa che ritiene più difficile al mondo e che pure gli riesce così bene. Lascia da parte fronzoli e abbellimenti. “Disegnare per me è esprimere l’anima, l’essenza dell’oggetto”, racconta. Togliere, togliere, togliere, come uno scultore. La vera progettazione per lui avviene nella sua mente, a livello concettuale, e la sua vera ricerca è quella dell’essenziale. A plasmare questo metodo sono stati i lampi di bellezza del greco e in particolare del latino, la disciplina che al liceo gli ha insegnato a discernere proprio tra superfluo ed essenziale. Il latino, dice, “ti dà l’idea che nella vita ci sono cose estremamente importanti. Se hai sbagliato quelle importanti tu puoi fare benissimo quelle che seguono, ma non funzionerà”.

È Magistretti a cercare i nomi per i suoi oggetti: si tratta di scegliere la parola giusta, una parola evocata dalle stesse forme, come per la lampada Eclisse, progettata nel 1965 e prodotta nel 1967 da Artemide, ispiratagli dalle lanterne de I Miserabili di Victor Hugo e diventata uno dei più importanti simboli del design italiano nel mondo. Un’altra piccola rivoluzione in forme elementari, che prende spunto da una suggestione antica. “Mi interessa non dimenticare la storia,” spiega l’architetto, “ridisegnare eccellenti modelli tradizionali per non lasciarli morire come specie in via di estinzione. Modificati per le nostre esigenze riportano nel presente un ricordo che altrimenti si perderebbe.”

© Fondazione studio museo Vico Magistretti
Lampada Eclisse, courtesy Artemide

Il recupero della tradizione è una delle sue ossessioni. Il primo esperimento in questo senso è quello della sedia Carimate, pensata nel 1960 per arredare il Golf club da lui progettato, che rievoca la semplicità delle rustiche sedie di campagna, ma diventa incredibilmente moderna con la sua laccatura in rosso, il colore preferito di Magistretti, che lo sceglie per alcuni degli edifici che progetta – e, tutti lo ricordano, per i suoi calzini. Affascinato dalla riproducibilità, più che dal pezzo unico, è il primo, in quegli anni, ad avvicinarsi alla plastica e a intuirne le sue potenzialità: la mette alla prova con tavoli e sedie e porta a rivalutarne la qualità, mostrando che non è un materiale debole e povero come per anni si era pensato. Il fenomeno dell’Italian Design, da lui stesso definito “miracoloso” è figlio di due categorie a quell’epoca inscindibili: architetti e produttori. Magistretti, per cui il design si fa in due, ha un rapporto speciale con tutti, a partire da Cesare Cassina, ed è anche grazie a lui che diventa chiara la distinzione tra il ruolo ideativo del designer e quello tecnico-produttivo dell’azienda, così fondamentale per il rinnovamento del design italiano negli anni ’80.

Lampade, sedie, tavoli, letti, cucine, non importa. Fuggendo dalle mode e fidandosi del matrimonio tra classico e moderno riesce a progettare oggetti che si augura durino cent’anni. Il segreto sta tutto in quelle idee. “La cosa importante,” assicura Magistretti, “è che tu sappia quello che vuoi”.

Avere il coraggio e la forza di uscire al gregge non è scontato, così come non lo è rompere schemi già decisi e imposti come irreversibili. Quando la fiducia in se stessi prevale sul timore della sconfitta, essere voci fuori dal coro diventa a volte un’occasione per lasciare un segno nella storia. Il racconto della vita di questo personaggio rientra nel progetto “Born Confident” sviluppato da THE VISION in collaborazione con Volkswagen, per T-Roc.

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