Ci sono personalità artistiche che attraverso le proprie opere e ancor più attraverso la propria vita, riescono a oltrepassare limiti e confini, tanto fisici quanto spirituali. Luis Buñuel è uno di questi: spagnolo per nascita, esiliato per necessità, francese per scelta, messicano per passaporto; rivoluzionario per vocazione e universale per spirito artistico. Buñuel è uno dei pochi registi che è riuscito, lungo tutta la sua carriera, a rinnovarsi costantemente, sorprendendo sempre per il suo genio, ma prima ancora per la capacità di raccontare per immagini le contraddizioni tra cui si annidano le insicurezze e le angosce dell’uomo. Per questo viene considerato uno dei più influenti registi della storia del cinema.
Luis Buñuel nasce il 22 febbraio del 1900 nel piccolo Paese di Calanda in Aragona. Pochi anni dopo la nascita di Luis, la famiglia Buñuel si trasferisce a Saragozza. Fin da giovane, Luis manifesta un carattere ribelle nei confronti dell’autorità, che emerge soprattutto durante il periodo degli studi nel collegio gesuita in cui viene mandato. Per le sue idee anticlericali e per il comportamento disordinato, nel 1915 viene espulso: termina gli studi nella scuola pubblica e si trasferisce poi a Madrid, dove frequenta i circoli intellettuali più stimolanti della capitale e diventa amico di personaggi come Salvador Dalì, Federico Garcia Lorca o Ramón Gomez De La Serna.
Nel 1925, come molti artisti e intellettuali spagnoli, decide di andare a Parigi, considerata la mecca delle avanguardie artistiche dell’epoca. La ville lumière per Buñuel rappresenta l’ennesimo contrasto da indagare: da una parte la nostalgia della Spagna, dall’altro il fascino irresistibile della nuova capitale del mondo. Qui si concretizza la sua vocazione cinematografica, che lo porta a diventare assistente dei registi Jean Epstein e Mario Napals. La capitale francese in quegli anni è animata dai circoli surrealisti: André Breton è l’instancabile catalizzatore attorno al quale si raccolgono artisti e scrittori come Magritte, Dalì, Aragon o Artaud. Buñuel decide di aderire al movimento surrealista, nel quale vede realizzarsi in chiave estetica la sua poetica: vita e sogno che si fondono, come il percettibile e l’impercettibile; la possibilità di una guerra totale alla cultura tradizionale e al conformismo che governano la vita sociale. Nel surrealismo Buñuel trova i mezzi per una piena libertà d’espressione.
Nel 1929, insieme all’amico Dalì, anch’egli profondamente influenzato dal dibattito surrealista, Luis Buñuel produce un cortometraggio di 16 minuti, Un chien andalou (Un cane andaluso), considerato una pietra miliare nel campo del cinema di avanguardia. Il film si svolge come in un sogno, con sequenze di immagini che sembrano non seguire un percorso logico, diventando scioccanti, o erotiche. La scena – diventata iconica – in cui un uomo (lo stesso regista) taglia con un rasoio l’occhio di una donna è talmente forte da far scoppiare tumulti e risse nelle sale dove si proietta. Dato il grande successo, Luis Buñuel produce rapidamente un’altra pellicola simile, questa volta più lunga, “L’età dell’oro” (1930), ricca di immagini fortemente anti-cattoliche e di numerosi riferimenti alle opere di De Sade, che i surrealisti considerano il liberatore dell’inconscio dalle convenzioni borghesi. Uscito in un clima di scandalo annunciato e ferocemente attaccato dalla stampa di destra, finisce per essere sequestrato dalla polizia. Buñuel entra così nel ristretto gruppo di nomi considerati grandi provocatori.
Contestualmente, in Spagna i tumulti sociali provocano la fuga del re e la proclamazione della Repubblica. Il regista decide dunque di tornare in patria e lavorare a una nuova pellicola, Las Hurdes – Tierra sin pan, un documentario sulla vita dei contadini. Per l’ennesima volta le immagini sono forti, volutamente grottesche: il governo lo censura e decide di non distribuirlo. La capacità di sconcertare e scandalizzare l’opinione comune, anche ciò che viene catalogato come buon gusto, la vocazione a mettere in discussione tutto ciò che si riferisca allo status quo: è questa la cifra di tutti i grandi innovatori che hanno compreso quando e come imprimere una nuova forza all’arte. La Spagna però precipita ben presto verso una tragica guerra civile che, dopo il 1936, porta alla dittatura fascista di Francisco Franco.
Luis Buñuel si rifugia prima negli Stati Uniti poi in Messico, dove arriva nel 1946 e per molto tempo si occupa soprattutto di commedie. Poi nel 1950, dopo numerosi successi di cassetta, riesce a convincere il produttore Oscar Dancigers a lasciargli mano libera. Bunuel dà così vita al drammatico Los olvidados, che racconta le vite disperate dei ragazzi di strada messicani, in uno stile quasi onirico. Si tratta di un successo internazionale: il film è acclamato dalla critica, vince la Palma per la Miglior Regia a Cannes e riporta in auge in Europa, dopo vent’anni, il nome del regista. Da quel momento Buñuel diventa uno dei più importanti autori cinematografici di lingua spagnola, una guida e un riferimento per chiunque si accosti alla settima arte. La Nouvelle Vague, generazione di cineasti che proprio in quegli anni esplode, porta i giovani registi a esprimere una sensibilità fortemente ispirata a quella del maturo Buñuel, il che aumenta la sua influenza in Europa. Nel 1959, realizza Nazarìn, storia di un prete che si spinge a imitare Gesù fino alle estreme conseguenze, con cui ottiene un premio a Cannes.
La sua fama e la sua influenza in Europa sono all’apice, per questo il governo franchista gli propone di tornare a lavorare in Spagna: il dittatore pensava di poter soggiogare l’artista ai propri voleri. Ma l’irruenza creativa del regista non sono mai state condizionabili, come dimostra tutta la sua vita. Buñuel è un rivoluzionario e tale resterà sempre. Eppure, nonostante le polemiche e le accuse di tradimento, Buñuel accetta l’invito del regime, almeno in apparenza. Anzi, solo in apparenza: dirige così Viridiana, storia di una giovane novizia che decide di privarsi dei suoi beni per darli ai poveri. Il film è talmente blasfemo, scandaloso e corrosivo nei confronti della società spagnola che viene subito censurato, e Buñuel deve abbandonare il Paese, di nuovo. Si rifugia ancora Francia, dove invece Viridiana ha un enorme successo, tanto da portargli Palma d’Oro a Cannes.
La Francia è l’habitat perfetto per lo spirito di Buñuel. I film che produce ne sono una testimonianza: come Bella di giorno, suo maggior successo di pubblico, nel quale indaga spietatamente le fantasie erotiche di Catherine Deneuve, e che gli vale il Leone d’Oro al Festival di Venezia; o Il fascino discreto della borghesia, che vince l’Oscar come Miglior Film Straniero. Dopo l’uscita di Quell’oscuro oggetto del desiderio nel 1977, Buñuel si ritira dal cinema. Nel 1982 – un anno prima di morire – decide di scrivere la sua autobiografia Dei miei sospiri estremi, un resoconto della sua vita, un’analisi dei rapporti familiari, dei sentimenti che hanno caratterizzato le sue amicizie. Ma una rappresentazione della sua personalità eccentrica: Buñuel racconta i suoi sogni, gli incontri con scrittori, attori e artisti, tutti accomunati dalla volontà di stupire, anzi scioccare la morale comune, il pensiero diffuso. Anche giocando a vestirsi da suora e camminare per la città.
La grandezza di Luis Buñuel risiede anche, se non soprattutto, nella sua capacità di lasciarsi guidare dai sui sospiri estremi, per esplorarli, analizzarli e comprenderli, riuscendo come nessuno prima a raccontarli con delle immagini diventate eterne.
Avere il coraggio e la forza di uscire al gregge non è scontato, così come non lo è rompere schemi già decisi e imposti come irreversibili. Quando la fiducia in se stessi prevale sul timore della sconfitta, essere voci fuori dal coro diventa a volte un’occasione per lasciare un segno nella storia. Il racconto della vita di questo personaggio rientra nel progetto “Born Confident” sviluppato da THE VISION in collaborazione con Volkswagen, per T-Roc.
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