Ci vogliono un occhio e una sensibilità particolari per scovare l’eccezionalità all’interno degli oggetti della vita di tutti i giorni, i più banali e i più comuni. Ci vuole del genio per trasformare forme ordinarie in progetti di design dall’estetica notevole, inaspettati e insieme funzionali. Achille Castiglioni, forse, avrebbe detto che basta avere curiosità. “Se non siete curiosi, lasciate perdere. Se non vi interessano gli altri, ciò che fanno e come agiscono, allora quello del designer non è un mestiere per voi,” ripeteva spesso l’architetto e designer milanese ai suoi studenti, considerando quella qualità germe necessario per la creatività.
Parte di quella generazione preziosa di designer che contribuiscono alla rinascita italiana dopo la seconda guerra mondiale, sviluppando oggetti in grado di convincere i consumatori a investire sul prodotto italiano, in oltre 40 anni di attività Castiglioni dà vita a 190 progetti di architettura, 290 progetti di industrial design e 484 allestimenti; molti sono frutto della simbiosi creativa eccezionale con i fratelli maggiori Livio e Pier Giacomo, l’uno rigoroso e serio, l’altro assoluto sperimentatore; tanti altri vengono partoriti dalla sua mente instancabile ed entrano di diritto nella storia del design. Icone come la lampada Arco, o come la sua invenzione meno nota, eppure più diffusa, l’interruttore rompitratta, trasformano il loro artefice, a sua volta, in icona. Si lascia ispirare dagli “oggetti banali”, che raccoglie durante i suoi viaggi, oppure al mercato, o ai grandi magazzini, e custodisce nelle teche e nei cassetti del suo studio, per prenderli ogni tanto tra le mani, studiarli e tornare poi a disegnare.
Achille Castiglioni nasce nel 1918 e cresce a Milano, in zona Porta Nuova, terzo di tre fratelli e figlio dello scultore Giannino Castiglioni. Viene fortemente influenzato da Livio e da Pier Giacomo, che lo introducono al mondo del design già a partire dai primi anni ’40: condividono tutti lo stesso studio, ricavato da una stanza del laboratorio del padre. Il fondatore è Livio, il fratello maggiore, che comincia a progettare insieme al collega Luigi Caccia Dominioni. Poco dopo viene raggiunto dal fratello di mezzo, Pier Giacomo, e poi da Achille, che si laurea nel 1944 al Politecnico di Milano. “Stavano arrivando i bombardamenti e quindi in fretta e furia mi hanno anche laureato. Non ho preso la laurea per bravura, ma una laurea di guerra,” dirà.
Il rapporto creativo che fin da subito si instaura tra i tre Castiglioni è speciale, fatto di sperimentazione e ricerca, dalle tecniche, alle forme, ai materiali, in un processo di progettazione integrale. Il rapporto più solido e duraturo, però, è quello con Pier Giacomo: è con lui che Achille, appena ventenne, concepisce il primo progetto, collaborando all’ampliamento della scuola primaria del Comune di Lierna, a Lecco. Nei primi anni ’50, quando Livio lascia lo studio per avviare una propria attività, i fratelli minori continuano a lavorare in simbiosi, tanto che lo scrittore Dino Buzzati li definisce “due corpi, una testa sola” e che i progetti realizzati fino al 1968, anno della scomparsa di Pier Giacomo, vengono attribuiti a entrambi.
Achille Castiglioni, forse per merito di quest’esperienza familiare, non crede nello “splendido isolamento d’artista”. Innanzitutto al momento di concepire l’oggetto. “Un buon progetto,” dice, “nasce non dall’ambizione di lasciare un segno, ma dalla volontà di instaurare uno scambio, anche piccolo, con l’ignoto personaggio che userà l’oggetto da voi progettato.” E poi, ancora, al momento della sua realizzazione. “Un oggetto di design,” dice Castiglioni, “è il frutto dello sforzo comune di molte persone dalle diverse specifiche competenze (tecniche, industriali, commerciali, estetiche). Il lavoro del designer è la sintesi espressiva di questo lavoro collettivo.” Non stupisce che Castiglioni sia dunque tra i fondatori, a metà degli anni ’50, dell’ADI, l’Associazione per il disegno industriale, nata con l’obiettivo collettivo di promuovere, valorizzare e difendere in design italiano e internazionale.
La scomparsa dei fratelli di Achille inizialmente rallenta il suo lavoro, su cui però il designer si butta nuovamente a capofitto, tra le mura dello studio-officina trasferito nei primi anni ’60 in piazza Castello. In quel laboratorio, insieme ai suoi collaboratori, vengono creati e testati i prototipi, tra scaffali in legno e cassetti o teche erano raccolti quegli oggetti non famosi da cui farsi ispirare. “Erano tutti pezzi,” racconta oggi la figlia Giovanna, “che lui riteneva avessero un design o un meccanismo singolare. Da studiare. Il più delle volte li portava all’università e spingeva gli studenti a ragionarci su. Intere lezioni su un bicchiere portatile da caccia e pesca. Su pupazzi meccanici. O su bottiglie da gassosa con pallina di vetro incorporata.”
Se negli anni della ricostruzione i Castiglioni si dedicano soprattutto agli edifici – restaurando quelli vecchi e progettandone di nuovi, come il palazzo della Permanente o la sede della Camera di commercio – e agli allestimenti – “occasione,” per Achille, “per verificare a fondo le intenzioni progettuali” e studiare a fondo la relazione con il pubblico – a interessarli maggiormente sono gli oggetti, contraddistinti da grande libertà di progetto e soprattutto ironia. Reinventano la lampadina, dilatandone le dimensioni come nessuno aveva mai fatto prima; con un approccio che ricorda quello di correnti come il surrealismo e il dadaismo reinterpretano il sedile in plastica di un trattore: ecco che diventa lo sgabello Mezzadro, realizzato combinando materiali diversi. Oppure “rubano” il sellino alla bicicletta e lo trasformano nel sedile basculante Sella, o ancora il fanale di un’automobile, per inventare una lampada dalle forme semplici ma accattivanti, Toio.
È proprio con l’illuminazione che Castiglioni si diverte di più a sperimentare, inventando insieme a Pier Giacomo pezzi come le lampada Taccia o Arco, entrambe realizzate nel 1962 per Flos. Se la Taccia è dovuta passare attraverso alcuni difetti di progettazione, dovuti ai materiali, per diventare “la Mercedes delle lampade, un simbolo di successo”, Arco sarà tra i pezzi di design industriale più replicati e imitati, il primo a cui viene riconosciuta la tutela del diritto d’autore, come già accadeva per le opere d’arte: rivoluzionaria perché apporta illuminazione diretta svincolandosi dal soffitto e da un punto fisso, e pezzo d’arte, nonostante la sua estrema funzionalità. Eppure “nella Arco niente è decorativo: anche gli spigoli smussati della base hanno una funzione, cioè quella di non urtarci; anche il foro non è una fantasia ma c’è per permettere di sollevare la base con più facilità,” spiega Castiglioni quando presenta il suo pezzo più riuscito. E poi infila un manico di scopa in quel foro, per mostrare la semplicità del suo spostamento.
Achille Castiglioni, prima coi fratelli e poi da solo, non smette mai di fare ricerca sulle tecnologie, i materiali, o i processi produttivi. È estremamente abile nel conciliare le esigenze di marketing con un immaginario sempre fantastico, spesso assimilato al surrealismo, e con una buona dose di divertimento e ironia. La modernità, per Castiglioni, non sta nello stile, che è solo un effetto, ma nell’osservazione dell’uomo e nella scoperta della nuova realtà delle sue esigenze, che cambiano con il tempo. È proprio con questa filosofia che conquista nove compassi d’oro, di cui l’ultimo nel 1989, alla carriera e con menzione speciale, “per aver innalzato, attraverso la sua insostituibile esperienza, il design ai valori più alti della cultura”.
Avere il coraggio e la forza di uscire al gregge non è scontato, così come non lo è rompere schemi già decisi e imposti come irreversibili. Quando la fiducia in se stessi prevale sul timore della sconfitta, essere voci fuori dal coro diventa a volte un’occasione per lasciare un segno nella storia. Il racconto della vita di questo personaggio rientra nel progetto “Born Confident” sviluppato da THE VISION in collaborazione con Volkswagen, per T-Roc.
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