Quando Werner Herzog pensò di uccidere Klaus Kinski, il suo miglior nemico

Per quanto possiamo aver viaggiato, esplorato e approfondito la cultura di un Paese diverso dal nostro, è difficile estirpare preconcetti e stereotipi assorbiti in precedenza. E per quanto avere la testa inquinata da luoghi comuni non sia mai un bene, credo che alcune convinzioni possano essere invece interessanti e stimolanti. La Germania, per esempio, grazie alla sua produzione culturale ha dato un’immagine di sé articolata e oscura, tanto forte e distante da un modo “mediterraneo” di concepire il mondo da risultare spesso inquietante e incomprensibile. Non so dire se si tratti di uno stereotipo, ma so quante ore ho trascorso a cercare di memorizzare e interiorizzare – spesso a vuoto – il pensiero di Kant e Hegel. Questo basta per convincermi del fatto che se la più importante filosofia occidentale dall’Ottocento in poi è per la maggior parte tedesca, qualcosa di particolarmente complesso in Germania deve esserci. Al di là delle ore trascorse sulla Storia della Filosofia di Nicola Abbagnano a formarsi idee bizzarre sull’essenza del popolo tedesco, c’è un’altra forma di espressione culturale molto più immediata e comprensibile che torna utile in questi casi, ovvero il cinema. Basta farsi una domanda banale, come: “Quand’è l’ultima volta che ho visto una commedia tedesca?”. La risposta potrebbe anche essere “Mai”. Se invece ci domandiamo qual è il film teutonico più forte, intenso e sconvolgente che conosciamo, ci sono ottime possibilità che a venirci in mente sia il titolo di un film di Werner Herzog interpretato da Klaus Kinski. 

Che il cinema tedesco sia un concentrato di oscurità e inquietudine è innegabile. La coppia formata dal regista bavarese e dall’attore famoso per le sue sfuriate sul set è sicuramente una delle ragioni dell’associazione tra questo tipo di atmosfere e la produzione culturale tedesca. Il duo Herzog/Kinski è ricordato  nella storia del cinema europeo proprio in virtù dell’ambiguità che il loro sodalizio artistico ha saputo generare, nutrendosi di leggende e dettagli che ne hanno determinato la diffusione. Da un lato Herzog, regista acclamato in tutto il mondo a cui tutt’oggi si riconosce il merito di essere parte fondamentale del movimento Neuer Deutscher Film; dall’altro Kinski, attore controverso e circondato da un’aura maledetta, geniale e disturbante. Questa collaborazione non resta confinata alla produzione di film cult ma va oltre, sfociando in una serie di elementi che la rendono materiale per un racconto a sé stante, diventando a sua volta materiale per un film o un documentario, come Kinski, il mio nemico più caro, girato dallo stesso Herzog, che ben racconta come entrambi passassero dal meditare l’omicidio l’uno dell’altro a uno stato di sinergia creativa e artistica insostituibile. 

Il regista, dopo essere stato abbandonato dal padre, si trasferisce con la madre in un piccolo villaggio in Baviera, dove cresce in uno stato di contatto profondo con la natura, elemento che si manifesta in seguito nel suo modo di fare cinema. Herzog trascorre l’infanzia e l’adolescenza in un luogo quasi del tutto isolato dalla modernità, lontano da tecnologia e realtà metropolitane, sviluppando un fortissimo legame con l’ambiente circostante. Per una strana coincidenza, o per un segno del destino, Herzog conosce Kinski da adolescente, al rientro da Monaco dove sta terminando gli studi. Questo incontro non è ancora determinante per la loro collaborazione: i due si rivedranno per lavorare insieme solo molti anni dopo. Eppure, la conoscenza con l’attore stralunato che passava per caso dalla stessa pensione dove viveva il futuro regista con la madre e i fratelli in ristrettezze economiche porta Herzog all’epifania della sua vita. Da questa breve convivenza, infatti, Herzog trae la certezza di voler lavorare nel cinema e collaborare con Kinski, un personaggio eccentrico, bizzarro, immerso in una performance senza fine che manifesta con gesti assurdi come chiudersi in un bagno per 48 ore senza mai uscire o urlare monologhi in giro per la pensione, indifferente al rischio di esser preso per matto.

Capito di voler diventare un regista, negli anni Sessanta Herzog apre la sua prima casa di produzione cinematografica e vive una serie di esperienze singolari in giro per il mondo con la sua telecamera, come quando tra gli Stati Uniti e il Messico si trova a trasportare merci illegali al confine dei due Stati. Questa tendenza all’esplorazione e all’avventura non rimane un’inclinazione privata, ma diventa una delle cifre stilistiche del regista, che associa alla produzione cinematografica dei suoi film ambientazioni ai confini della civiltà, come nel caso di Fata Morgana e Anche i nani hanno cominciato da piccoli, realizzati con materiale raccolto durante un suo viaggio in Africa. Isole ai confini del mondo, luoghi incontaminati e desolati, scenari naturali apocalittici – Francis Ford Coppola si ispira a lui per girare Apocalypse Now – diventano l’essenza del suo stile a metà tra film e documentario. Herzog la chiama “verità estatica”, ed è un punto di incontro tra realtà e finzione, dal momento che per lui i fatti riportati nella freddezza del distacco documentaristico classico vengono in qualche modo sbiaditi dalla banalità di un racconto limpido e privo di equivoci. La sua tendenza all’esplorazione dei confini del mondo civilizzato, come quello in cui era cresciuto, si combina con una forma cinematografica che rimane sospesa nell’ambiguità tra fatti riportati con fedeltà e una loro versione “aumentata” e rivisitata da un linguaggio filmico surreale: Herzog trova una via inedita per il cinema, una dimensione inesplorata come i luoghi in cui ama immergersi. E come arricchire questa realtà ambivalente se non con un attore che vive la sua esistenza come una sorta di performance recitativa perenne, tanto in scena quanto nella quotidianità? 

Aguirre, furore di Dio (1972)

Negli anni Settanta Kinski ritorna nella vita di Herzog, che gli offre di collaborare con lui nelle vesti del protagonista di Aguirre, furore di Dio, uscito nel 1972. L’attore è un autodidatta che ha dedicato praticamente tutta la sua vita alla recitazione, unica vera vocazione, rendendola talmente parte della sua esistenza da non essere quasi più distinguibile dalla propria personalità. Questo genio, oltre alle indubbie doti recitative, esaltate da una tecnica sopraffina, aveva oggettivamente in sé un germe di follia, vista la quantità di scenate cui dava luogo sul set, tra colpi di spada in testa alle comparse – salve grazie ai costumi di scena – urla, sbalzi d’umore schizofrenici, assurde pretese, mancanza di empatia e di ogni comprensione nei confronti di chi lavorava con lui. Il confine tra ciò che era voluto e “inscenato” dall’attore e ciò che invece veniva fuori senza controllo non era facile da individuare. 

Fitzcarraldo (1982)

Herzog ripropone in suo amore per la natura in film come Fitzcarraldo o Encounters at the end of the world, dando spazio alla sua componente più conflittuale, incontrollata e pericolosa, ma anche di potente creatrice. Kinski sostiene spesso di essere in contatto con i suoi aspetti più selvaggi, ma il regista sa bene che si tratta di una posa, come racconta nel documentario che ha girato sul suo rapporto con l’attore. Il fatto che la natura abbia un ruolo così importante per entrambi, ma in modo quasi opposto, è emblematica della loro relazione professionale e umana. È come se Herzog si fosse servito di una finzione generata da Kinski per mettere in pratica la propria pulsione reale, che lo ha sempre spinto verso questi mondi estremi e selvaggi, senza altre regole che quelle spietate della giungla, dei ghiacciai ostili, delle foreste inospitali e letali. 

Ma Kinski ha anche altro da offrire a Herzog: il regista si serve proprio della tendenza eccentrica e incontrollabile del suo attore preferito per creare protagonisti che sembrano venire da un altro mondo, vista la loro concezione della realtà falsata da idee megalomani e ossessive – così come succede in Woyzeck o in Nosferatu, entrambi interpretati di Kinski. La prima è la storia tratta dal famoso dramma teatrale ottocentesco di Büchner in cui il ruolo del protagonista, il soldato colpevole di aver ucciso la sua amante per gelosia, viene cucito dal regista su Kinski, che incarna alla perfezione lo stato delirante e schizofrenico del personaggio. Anche Nosferatu si articola su questa combinazione di caratteristiche innate di Kinski ed esigenze recitative che rendano l’idea di vampiro pensata da Herzog: la pellicola è un remake della versione del 1922 di Murnau e crea un legame tra il vecchio cinema storico tedesco e la nuova ondata di cui Herzog è protagonista indiscusso, anche grazie alla recitazione di Kinski.  

Nosferatu, il principe della notte (1979)

La tensione tra i due artisti non si allenta mai: durante le riprese di Fitzcarraldo, il film che racconta la storia di un visionario che vuole costruire un teatro dell’opera in un villaggio amazzonico, Herzog è talmente sfinito da arrivare a minacciare Kinski di ucciderlo se questo se ne fosse andato dal set. Puntando contro di lui una pistola carica con otto colpi, Herzog racconta di avergli detto chiaramente che quei colpi sarebbero stati tutti per lui, tranne l’ultimo, che avrebbe usato per suicidarsi. Herzog tuttavia, ammette di avere lui stesso spesso provocato volontariamente alcune di queste crisi tra loro, punzecchiando Kinski con provocazioni e insulti affinché il litigio degenerasse in attacco di follia: solo quando l’attore era in balia di una sfuriata, con la bava alla bocca e gli occhi fuori dalle orbite, per il regista era davvero nel personaggio. Kinski, dal canto suo, credeva a sua volta che Herzog fosse pazzo. Per il regista questo attrito schizofrenico, spesso ricercato, è il frutto inevitabile dell’incontro di due “masse critiche”, che unite generano una miscela altamente esplosiva. Tanto esplosiva che Herzog tentò perfino di appiccare il fuoco nella casa di Kinski, gesto  fermato solo grazie ai suoi cani da guardia. Un attrito in grado di risolversi solo nel momento in cui i due tornano a cercarsi per lavorare insieme, consapevoli entrambi di avere qualcosa di prezioso l’uno per l’altro.

Herzog ha detto di aver chiamato “Kinski” ogni nuovo capello bianco che gli è spuntato in testa. Kinski, dall’altro lato, quando viene raccontato dalle attrici con cui ha lavorato – Claudia Cardinale, ad esempio – viene descritto come una persona totalmente diversa da quella che invece dipinge il regista, a dimostrazione del fatto che era in grado anche di saper pilotare i tratti più schizofrenici della sua personalità, tenendoli a bada quando necessario. Cosa che non si premurava quasi mai di fare con Herzog, probabilmente per mantenere a sua volta quello stato di angoscia e disordine perenne su cui si basava il loro rapporto.

Klaus Kinski, Claudia Cardinale e Werner Herzog alla 35esima edizione del festival di Cannes, 1982

Kinski descrive Herzog come un nemico, un uomo che lo disgusta, ma nella realtà nessuno dei due disprezzava l’altro. Proprio questa finzione reale, così come i cinque film che hanno girato insieme, tutti basati su un principio comune, si concretizza anche nella narrazione del loro rapporto. Se da un lato è vero che entrambi si sono dati a vicenda del filo da torcere su quasi ogni cosa che hanno fatto insieme, dall’altro erano uniti da un senso profondo del racconto, della trasposizione della realtà sotto una nuova forma meno banale, molto più angosciante e affascinante. Herzog ha saputo mettere a frutto la follia di Kinski per dare vita a opere che sono entrate nella storia del cinema: insieme hanno contribuito a creare un’immagine ancora più vivida dello spirito tedesco, aggiungendo un tassello di stravaganza al racconto di questo popolo e nutrendo i luoghi comuni positivi e affascinanti che vale la pena mantenere.

Lo stereotipo dei tedeschi che indossano i sandali con i calzini trova la sua conferma ogni volta che li vediamo in gita in qualche nostra città alle prese con un Italianische Reise, ma la convinzione che sappiano anche fare un cinema al contempo intrigante e inquietante è merito soprattutto della coppia Herzog e Kinski.


Non è facile scendere a compromessi quando a esprimersi è il genio creativo, ma ci sono capolavori del mondo dell’arte, della musica, del cinema e della cultura rimasti immortali che non sarebbero mai nati senza la collaborazione, più o meno controversa, tra due personaggi il cui incontro sembrava inevitabile e necessario. Il racconto della storia di questa coppia rientra nel progetto sviluppato da THE VISION in collaborazione con Volkswagen per 2 Share, la nuova iniziativa di noleggio condiviso che ti permette di condividere un’automobile con chi vuoi.

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