Quando Walt Disney e Salvador Dalì crearono in segreto la fiaba surrealista “Destino”

Il 22 settembre 2010 si inaugura a Palazzo Reale a Milano la mostra Salvador Dalí, Il sogno si avvicina. Sei giorni dopo, come succede sempre dal 1949, arriva nelle edicole il settimanale a fumetti Topolino. In copertina c’è un disegno di Giorgio Cavazzano che omaggia due diverse opere del maestro surrealista: Topolino e i suoi amici sono infatti immersi in un paesaggio dove abbondano gli orologi “sciolti”, chiaro rimando al quadro La persistenza della memoria, e le forme morbide e distorte di un altro capolavoro come Vestigia ataviche dopo la pioggia. L’omaggio a Dalí continua all’interno con la storia di apertura Topolino e il surreale viaggio nel destino. In questa avventura, Walt Disney si fa accompagnare dai suoi personaggi in un viaggio per incontrare l’artista spagnolo: vuole proporgli di realizzare un cortometraggio animato insieme ma, nel finale, i disegni preparatori fatti dai due artisti volano via. A quel punto, Topolino chiede a Walt se sia la fine del progetto. La risposta di Disney alla sua creatura non ammette repliche: “Non può finire così… se è destino”.

Questa storia creata interamente da artisti italiani, ed esportata poi in tutto il mondo, è in realtà la fantasiosa rilettura di un incontro realmente accaduto decenni prima tra Salvador Dalí e Walt Disney: un proficuo scambio che mise le basi per la creazione di un cortometraggio intitolato Destino. Quel breve cartone dal sapore surrealista avrebbe visto la luce solo nel 2003, quando tanti, ormai, non ci speravano più.

Salvador Dali e Walt Disney, 1961

Dalí e Disney si erano incontrati per la prima volta nell’agosto del 1944 a una festa organizzata da Jack Warner, il più piccolo dei fratelli che avevano fondato la Warner Bros. Quella sera Salvador Dalí non si presentò all’evento vestito da palombaro, come aveva fatto in altre occasioni, ma quell’accorgimento non gli evitò di avere tutti gli occhi della Hollywood che contava addosso. L’artista si trovava a Los Angeles per lavorare a una sequenza onirica che Alfred Hitchcock avrebbe inserito nel suo prossimo film, Io ti salverò, e la sua presenza incuriosiva anche chi di norma era più abituato a incuriosire gli altri, come Walt Disney. Disney stimava molto Dalí e sapeva per certo di essere altrettanto apprezzato dallo spagnolo: nel 1936 avevano condiviso una mostra al MoMa dal titolo Fantastic Art, Dada and Surrealism. In quell’occasione le opere del surrealista avevano fatto compagnia a stralci della “Silly Symphony” Three Little Wolves, uno dei cortometraggi Disney più amati di quel periodo. Dalí era rimasto estasiato da quell’esperienza, tanto da scrivere in una lettera al collega André Breton: “Sono venuto a Hollywood e ho incontrato tre grandi surrealisti americani: i fratelli Marx, Cecil B. De Mille e Walt Disney”. 

Quando finalmente si conobbero, Walt Disney e Salvador Dalí compresero immediatamente che tra loro esisteva quella che Goethe avrebbe definito un’affinità elettiva. “Apparentemente, erano abbastanza vicini”, dichiarò il nipote di Walt, Roy E. Disney, allo storico dell’animazione John Canemaker. “Mi è sempre sembrato che fossero entrambi auto-promotori inarrestabili e che devono averlo riscontrato l’uno nell’altro”. Uno dei biografi di Disney li dipinse come due persone che nutrivano ambizioni complementari: “Pur essendo considerato il portavoce di un’arte alta, Dalí desiderava essere riconosciuto come un’artista ‘popolare’. Allo stesso tempo, l’arte popolare di Disney era influenzata dall’arte alta e Walt sognava che le fosse riconosciuta la stessa dignità”.

Da questo feeling nacque l’idea di una collaborazione che sfociò nel 1946 in un regolare contratto tra Dalí e la Disney. L’idea iniziale era di creare un semplice corto d’animazione, ma l’impresa si rivelò subito estremamente difficile e costosa per la casa di Topolino: Dalí meritava un adeguato compenso e non si risparmiava nel fare richieste di ogni genere. A esaudirle spesso doveva pensarci John Hench, uno degli animatori preferiti di Walt, che era stato in America Latina per gli studi di film come Saludos amigos e I tre caballeros e quindi capiva a sufficienza lo spagnolo. Se Dalí chiedeva a Walt un cigno come modello, Hench arrivava nel suo studio con l’animale, dopo averlo portato come passeggero della sua decappottabile; se Dalì aggiungeva ogni giorno nuove idee alle bozze, era Hench a doverne assecondare l’estro, aiutandolo con il suo team nell’animazione. In una delle tante lettere del loro carteggio, Dalì scrive a Walt Disney che ha tanti nuovi spunti per Destino: “Ho elaborato un’idea duecento volte più spettacolare per il Tempio dell’Amore. Sto spedendo ora da New York un acquerello a John Hench per spiegargli la mia visione”. Hench sapeva che il lavoro era tanto faticoso quanto stimolante e non si lamentava troppo, anche perché era diventato un grande fan di Dalí. In più, il pittore si dimostrava, al netto delle stranezze, estremamente diligente: si presentava sul posto di lavoro alle nove del mattino come un qualsiasi impiegato e lavorava senza sosta al suo progetto fino a tarda sera.

L’idea del cartone ruotava attorno a una ragazza innamorata desiderosa di raggiungere un amante per sua natura sfuggevole: il tempo. Per coronare finalmente il suo sogno d’amore, la protagonista doveva passare indenne attraverso spazi onirici e surreali, partoriti dalla fantasia di Dalí. Nello spazio di pochi minuti, il cortometraggio sarebbe stato un compendio di tutto l’immaginario del pittore di Figueres: non sarebbero mancati gli orologi liquidi, le forme irreali, le conchiglie mutanti e le architetture abitate da ombre quasi inquietanti.

Sarebbe stata un’opera in grado di offrire molteplici chiavi di lettura e, come da tradizione Disney, questa possibilità avrebbe garantito un sicuro intrattenimento sia per i bambini che per un pubblico più adulto. La doppia anima del progetto appariva chiara ascoltando come i due presentavano Destino alla stampa: Disney puntava a non spaventare troppo il suo pubblico principale, rappresentato dai più giovani, e parlava del corto come di una “semplice storia di una ragazza alla ricerca del suo amore”. Dalí, dal canto suo, sembrava stesse lavorando a tutt’altra idea e presentava il frutto della sua collaborazione con la Disney come: “una magica esposizione della vita nel labirinto del tempo”. 

Nessuno contraddiceva apertamente l’altro perché era abbastanza palese che entrambe le definizioni fossero calzanti per Destino ma, nonostante l’impegno profuso, il lavoro procedeva a rilento. In una lettera a Gala, la compagna di Dalí, Disney faceva capire che il suo entusiasmo era rimasto intatto, nonostante i ritardi: “Sono felice di sapere che siate così elettrizzati per Destino. Non lasceremo che le scadenze possano pregiudicare la creazione di qualcosa che sia al livello del grande talento di Dalí”. Nonostante i buoni propositi, dopo otto mesi l’idea dovette essere a malincuore accantonata: in tutto quel tempo Dalí aveva creato solo ventidue dipinti e 135 storyboard che erano in gran parte solo schizzi abbozzati. Dalle sue suggestioni, gli animatori dello studio coordinati da Hench erano riusciti a cavare fuori a malapena venti costosissimi secondi di animazione e la Disney non era nelle condizioni di poter continuare l’esperimento: l’azienda non si era ancora ripresa dallo stop imposto dalla guerra e da un paio di flop al botteghino. A spaventare c’era soprattutto il precedente di Fantasia, un progetto che il pubblico non aveva capito e che aveva dei punti di contatto con quello a cui stava lavorando Dalí.

Con un debito pari a 4,3 milioni di dollari, alla Disney non restava che sopravvivere proponendo al pubblico film come Bongo e i Tre Avventurieri, che altro non erano che compilation di cartoni meno coraggiosi. Non era tempo per lanciarsi in scommesse tanto rischiose come Destino. Walt Disney chiarì a uno dei suoi biografi che dietro lo stop non c’erano le presunte incomprensioni con Dalì di cui qualcuno a Hollywood continuava a parlare: “Considero [Dalí] un amico, un ragazzo molto elegante e una persona con cui mi è piaciuto molto lavorare. La nostra associazione con lui è stata apprezzata da tutti gli interessati. Non è certo colpa di Dalí se il progetto su cui stavamo lavorando non è stato completato – si è trattato di un cambiamento di politica legato ai nostri piani di distribuzione”.

Per un po’ Dalí e Disney non si sentirono più: non avevano litigato ma sapevano che un nuovo incontro li avrebbe portati a parlare del progetto fallito e nessuno dei due voleva riaprire quella ferita. Dopo un po’ di anni fu Disney a fare il passo necessario a riallacciare i rapporti: spedì a Dalì una copia del Macbeth da lui illustrato, chiedendogli di autografarlo. Dalí esaudì la richiesta e non si limitò alla firma: come nel suo stile, aggiunse anche un Don Chisciotte che cavalcava a testa bassa. Quell’affinità elettiva che avevano sentito nel 1945 era tornata a emergere dopo un periodo di pausa. Nel 1951, Walt incontrò nuovamente dal vivo Dalí. L’artista, tornato in California come turista, approfittò del viaggio per portare all’amico ritrovato un po’ delle sue ultime opere: le pareti della villa di Disney a Palm Springs, tappezzate di esclusivi Dalí, testimoniano l’intesa tra i due creativi. Sei anni dopo fu Walt a far visita a Salvador: Disney passò alcuni giorni insieme alla moglie a Cadaqués, ospite di Dalí. Le cronache di quei giorni raccontano di due uomini sereni che, tra una battuta di pesca e l’altra, discutevano di nuove idee da realizzare insieme. Il progetto di un film sul Don Chisciotte di Cervantes non vedrà mai la luce ma, in compenso, molti anni dopo la scomparsa di entrambi, Destino troverà finalmente il modo di essere completato e mostrato al mondo. 

Salvador Dalì, Walt Disney e le loro mogli si incontrano a Cadaqués

Roy E. Disney passò praticamente tutti gli anni Novanta a realizzare un altro sogno abbandonato da suo zio: un sequel di Fantasia. Gli studios Disney avevano allora un seminterrato, chiamato dai dipendenti The Morgue (l’obitorio), dove giacevano tutti i progetti che erano stati bloccati: mentre cercava in questo immenso archivio del materiale che potesse essergli utile o quantomeno di ispirazione, Roy si imbatté in quei venti secondi nati dalla partnership tra Walt Disney e Salvador Dalí e ne comprese il potenziale. Il distaccamento europeo degli studios Disney a Parigi fu incaricato di completare il lavoro iniziato quasi mezzo secolo prima: venticinque animatori accettarono la sfida di rielaborare per il pubblico del Duemila le suggestioni nate dall’immaginazione di quei due visionari. Per aiutarli nell’impresa, venne richiamato al lavoro il quasi novantenne Hench, che era stato il trait d’union tra Disney e Dalí in quei mesi. Il cortometraggio incantò tutti e Destino guadagnò persino una nomination all’Oscar: la protagonista del cartone era riuscita a vincere la sua corsa contro il tempo e aveva trovato finalmente l’amore del pubblico.

In un segmento del cartone i due visi deformati di Walt e Salvador si avvicinano, arrivando quasi a unirsi. Quello che avvicinava nella vita reale due geni come Disney e Dalí era una visione positiva dell’arte, in grado di veicolare l’incrollabile speranza in un futuro migliore: Hench raccontava che i momenti di sconforto di Salvador Dalí duravano al massimo quarantacinque minuti, mentre Walt Disney è diventato famoso per aver coniato la frase: “La tempesta è il prezzo dell’arcobaleno”. Oggi che l’ottimismo è qualcosa di tanto raro quanto rivoluzionario, Salvador Dalí e Walt Disney ci ricordano che non bisogna mai perdere la fiducia in un “destino” migliore.


Non è facile scendere a compromessi quando a esprimersi è il genio creativo, ma ci sono capolavori del mondo dell’arte, della musica, del cinema e della cultura rimasti immortali che non sarebbero mai nati senza la collaborazione, più o meno controversa, tra due personaggi il cui incontro sembrava inevitabile e necessario. Il racconto della storia di questa coppia rientra nel progetto sviluppato da THE VISION in collaborazione con Volkswagen per 2 Share, la nuova iniziativa di noleggio condiviso che ti permette di condividere un’automobile con chi vuoi.

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