Sappiamo tutti che la gavetta, se vuoi essere un artista, nella maggior parte dei casi è necessaria. Ma sappiamo anche che non sempre si riesce a uscirne vittoriosi, e che quello che da professionisti maturi può essere interpretato come un innocente scheletro nell’armadio, per altri può trasformarsi in una condanna. Specialmente nel mondo della recitazione, i ruoli d’esordio possono avere un peso tanto fondamentale quanto fatale nella carriera di un attore: sta a lui o a lei la capacità di sfruttare un passato imbarazzante in prodotti di serie B in un onesto trampolino di lancio. Ryan Gosling, per esempio, è tra coloro che hanno saputo stravolgere drasticamente il corso della propria strada. Con una rotta professionale sempre più impegnativa e slegata dalla semplice rincorsa del successo commerciale – come confermano svariati insuccessi di botteghino, prova di un’intenzione ben più ambiziosa e audace di semplici conferme di popolarità – e riuscendo nell’ardua missione di non restare ancorato all’immagine di quello che da bambino era su Disney Channel, l’attore canadese è stato in grado di diventare uno dei volti più importanti e riconosciuti del cinema americano contemporaneo.
Ryan Gosling nasce a London, in Ontario, nel 1980. Il suo rapporto con il Canada e le sue origini non è sempre idilliaco: sin da piccolo infatti esercita il suo accento imitando quello americano – per la precisione quello di Marlon Brando, quintessenza di americanità – per suonare più convincente e virile. Al di là della comicità della scena di un ragazzino davanti allo specchio che fa di tutto per sembrare più figo, questa storia trasmette anche la presenza costante dell’indole mimetica di Gosling.
Inizia la sua carriera da attore sin da piccolo, incoraggiato dalla sorella, durante un’infanzia piuttosto turbolenta in cui a un certo punto si ritira addirittura da scuola. Il suo talento è subito evidente: prima ancora che nella recitazione, Gosling si cimenta nel canto, esibendosi ai matrimoni con la sorella, e nella danza, diventando parte di alcune compagnie di ballo della città. È nel 1993 che la sua carriera ha la prima vera e propria svolta, quando viene scelto per fare parte del cast de Mickey Mouse Club, una trasmissione che ha avuto il merito di lanciare quelle che oggi sono star veterane della musica pop di fine anni Novanta e primi anni Duemila: Justin Timberlake, Britney Spears e Christina Aguilera. Questa esperienza è il primo vero impegno lavorativo che coinvolge nel mondo dello spettacolo il giovane attore canadese, che da quel momento in poi continuerà per quella strada senza troppe esitazioni. A diciott’anni, infatti, dopo altre brevi esperienze nel campo della recitazione, Gosling diventa il volto protagonista di Young Hercules, la serie prodotta da Fox Kids che ha esportato il volto dell’attore anche in Italia.
È a questo punto che Ryan Gosling si trova davanti a un bivio: continuare con la strada televisiva, cavalcando l’onda dell’esperienze adolescenziali, o puntare in alto e slegarsi dalla facilità del ruolo da ciclo avventura del sabato pomeriggio. È un rischio, specialmente quando ci si trova a doversi liberare dallo stigma della televisione, dal pregiudizio rispetto alle proprie capacità ancora messe poco alla prova. Ma Gosling è decisamente motivato a intraprendere una carriera da attore di cinema, e nonostante il suo agente lo scarichi, nel 2001, interpreta il ruolo di un ebreo diventato neo-nazista in The Believer, di Henry Bean, la prima occasione per dimostrare davvero il proprio valore. La sua performance riscuote molto successo, la critica lo acclama positivamente e l’opera vince al Sundance Film Festival, un risultato che porta lo stesso Gosling a individuare questo film come il vero punto di svolta della sua nuova carriera, il ruolo giusto al momento giusto, il deus ex machina per la sua esigenza di cambio di rotta repentino verso il cinema vero e proprio. Non solo: il fatto di passare dalla televisione per ragazzi a un lungometraggio con un tema così serio rende possibile all’attore canadese, oltre alla sperimentazione su se stesso come artista, anche un’interessante commistione che si compone di quel suo aspetto angelico alla serietà di un ruolo spietatamente crudo. È quello che diventa la sua vera cifra stilistica, il fatto di creare uno strano equilibrio tra la l’eleganza del suo aspetto e della sua recitazione e la parte che sta recitando in totale disaccordo con quest’ultimo.
Dopo The Believer, Ryan Gosling continua a cimentarsi in altri ruoli, con film come Murder by Numbers, The Slaughter Rule e The United States of Leland, riscuotendo sempre un certo consenso da parte della critica che al massimo adduce alla qualità bassa della sceneggiatura la poca brillantezza della sua interpretazione. Ma l’attenzione del pubblico mainstream arriva con prepotenza nel 2004, quando Gosling prende parte all’ormai cult del cinema romantico The Notebook insieme a Rachel McAdams, dove entrambi brillano, nonostante i continui problemi avuti sul set durante le riprese. Paradossalmente, forse proprio grazie alla tensione che c’era tra i due attori, il risultato finale è quello di consacrare Gosling nell’Olimpo delle celebrità, diventando grazie a questo film – ritenuto a oggi quello con il miglior bacio di sempre – e alla innegabile efficacia della sua interpretazione un idolo delle masse, specialmente femminili. Ed è quindi a questo punto della sua carriera che Ryan Gosling conquista anche la qualifica di uomo dei sogni. Un titolo che si confermerà specialmente nel futuro, attraverso le dichiarazioni dell’attore stesso a proposito del suo rapporto con le donne e con la moglie Eva Mendes, che completano il ritratto del ragazzo da sposare.
Del fenomeno Ryan Gosling e della sua ricezione negli anni, oltre alla sua filmografia, bisogna tenere in conto anche l’impatto che ha avuto sul pubblico e cosa questo abbia generato. Negli anni di internet, infatti, la carriera degli attori è legata a doppio filo con il destino che li determina non solo come star di Hollywood, ma anche con la possibilità di diventare un meme. E il risultato non è sempre positivo – considerata la fine che ha fatto Nicholas Cage in mano a Reddit – ma Gosling, per sua grande fortuna, ha ricevuto la grazia ed è diventato “Hey girl”. Il meme infatti ricalca l’opinione comune rispetto a questo attore che viene percepito come un esempio positivo di virilità, come un ragazzo romantico e affascinante a cui basta solo guardarti e rivolgerti appunto un “hey girl” per farti cadere ai suoi piedi, nonostante abbia lui stesso affermato di non aver mai pronunciato questa frase in nessuno dei suoi film. La cosa negli anni si è ingigantita sempre di più, fino a trasformarlo in una sorta di icona femminista di internet, tanto efficace da generare addirittura un libro, dal titolo emblematico, Feminist Ryan Gosling: Feminist Theory (as Imagined) from Your Favorite Sensitive Movie Dude. È diventato l’uomo da sposare perché oltre alla bellezza e al talento ha avuto sempre la capacità di parlare alle donne con rispetto e comprensione, anche grazie al suo passato vissuto con la madre e con la sorella, creando non solo un meme divertente ma anche un esempio positivo di mascolinità affatto tossica.
Al di là della declinazione romantica di Gosling, la sua carriera continua a prendere direzioni apparentemente contrastanti con l’immagine che era stato in grado di crearsi, confermando di fare parte di quella categoria di attori che ai critici piace definire “camaleontici”. Nel 2006 infatti prende parte al film Half Nelson, recitando nel ruolo di un insegnante tossicodipendente che gli frutta una candidatura all’Oscar. Negli anni successivi, Gosling decide di prendere una pausa dalla recitazione e torna con una nomination ai Golden Globe per la sua interpretazione in Blue Valentine al fianco di Michelle Williams.
Ma è nel 2011 che per la prima volta si trova a recitare con l’attrice che diventerà la sua più famosa controparte, Emma Stone: Crazy, Stupid, Love è un’altra commedia romantica che conferma la sua presenza nell’immaginario collettivo nel ruolo di uomo perfetto, tanto da essere definito una sorta di nuovo George Clooney, con il quale in effetti lavora lo stesso anno per il film da lui diretto, The Ides of March. Il 2011 potrebbe essere considerato l’annus mirabilis di Gosling, visto che prende parte anche a uno dei film che lo hanno reso più famoso e che ha consolidato definitivamente la sua fama di attore importante, ovvero Drive. Si tratta di un’opera che pesca da più riferimenti cinematografici, narrativi, musicali, per un risultato che viene acclamato all’unanimità come capolavoro. Un ottimo esempio di genere arthouse in cui Ryan Gosling spicca per la sua bravura, perfettamente a suo agio tra le influenze cariche dell’estetica anni Ottanta e un ruolo non facile. Nel film infatti Gosling interpreta uno stuntman che arrotonda collaborando come autista per alcuni rapinatori: la sua interpretazione è sorprendente perché riesce a utilizzare quella stessa espressione che lo rende così rassicurante e delicato, declinandola in una freddezza che genera un’inquietudine quasi surreale.
Il modello di personaggio con una moralità incrinata dalla vita che propone Gosling non è il solito bello e dannato della cinematografia americana: il suo modo di essere contemporaneamente così vicino al crimine e ai lati oscuri della posizione emarginata in cui vive vengono trasmessi attraverso una forma nuova e più raffinata rispetto a come siamo abituati a vedere in questo tipo di interpretazione. La sua grande bravura, infatti, risiede proprio in questa sua capacità di coniugare la durezza risoluta di un personaggio come lo stuntman di Drive alla recitazione misurata e intensa che non si appella allo sfoggio eccessivo di caratterizzazione artificiosa, anche in contrasto con le atmosfere cariche del film.
Dopo una fase di sperimentazione nel ruolo di regista – il suo film d’esordio Lost River è uscito nel 2014 – Gosling ritorna a far parlare molto di sé nel 2016 con La La Land, di nuovo accanto a Emma Stone. Il musical è diventato famoso non solo per la sua bellezza ma anche per la pioggia di nomination e premi conquistati agli Oscar, compresa la ormai storica gaffe del presentatore che gli ha erroneamente attribuito quello di miglior film, confondendolo con Moonlight. Gosling torna così alle origini della sua carriera, tra canto, ballo e recitazione: conferma di incarnare l’idea di attore tipicamente americana che comprende non solo una disciplina ma la capacità di esibirsi con disinvoltura tra un passo di tip tap e una canzone jazz.
Negli ultimi anni, poi, l’attore non ha smesso cimentarsi in opere disparate: nel 2017 prende infatti parte all’ardua missione di dare un seguito al classico della fantascienza Blade Runner, destreggiandosi tra i replicanti. Qua Gosling si trova a giocare di nuovo d’azzardo con la sua carriera, perché probabilmente non esiste niente di più rischioso per un attore che intromettersi in un capolavoro cult del cinema accanto a professionisti circondati da una specie di aura di sacralità come Harrison Ford. C’è chi non è rimasto particolarmente convinto della sua performance, sottolineando il fatto che non gli si addica il ruolo da duro, ma invece è – di nuovo – proprio questa sua immagine in contrasto con la classica rappresentazione del violento che rende il risultato più interessante. L’ultima interpretazione, poi, risale proprio a questo autunno, quando l’attore canadese si è trovato a recitare nel ruolo Neil Armstrong in First Man, una parte che certo non manca di responsabilità verso le aspettative che ci sono dietro a un personaggio simile. Ma l’accoglienza è stata delle migliori, specialmente in riferimento alla performance attoriale di Gosling, il quale non ha fatto altro che confermare la sua abilità e la sua versatilità, anche nel saper dare grazia ed eleganza al personaggio, in accordo con le atmosfere rarefatte e lunari dei viaggi interspaziali.
Ryan Gosling, insomma, è l’esempio di una carriera graduale e coerente, nonostante quelle che potrebbero essere definite delle “macchie” nel curriculum ma che in realtà altro non sono che l’essenza della qualità principale di un attore: la versatilità.
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