La musica pop è fatta per immedesimarsi: una sequenza di batteria stimola l’air drumming, una melodia orecchiabile spinge a cantarci sopra. Quando siamo soli in casa ci mettiamo le cuffie e balliamo scompostamente, ridendo al pensiero che qualcuno possa vederci. Tutti l’abbiamo fatto: mentre imitiamo i balletti dei nostri idoli sappiamo bene quanto siamo lontani dalle coreografie perfettamente orchestrate che sfilano sullo schermo di tv o pc. C’è però un ragazzo che balla come noi, talmente preso da quello che sta intonando che sembra fregarsene di come appare. È di Toronto e accenna passi di danza a occhi chiusi, cantando della sua vita, degli amori, delle difficoltà. Drake è una popstar mondiale, eppure sembra solo un uomo che vuole divertirsi, colto in un momento di rilassatezza. Drake sembra noi mentre lo ascoltiamo.
Per Aubrey Drake Graham non è stato semplice percorrere la strada per il successo, come non è stato semplice affermarsi nel suo genere d’elezione: l’hip hop. Al giorno d’oggi, complici i social che ne amplificano i personaggi, siamo abituati a vedere i rapper come figure al limite, appariscenti oltre ogni dire, fra volti costellati di tatuaggi, treccine colorate, vestiti eccessivi e vagonate d’oro in bella mostra. Drake si mostra sin da subito in modo diverso: capelli rasati a zero, barba curata, pochi tatuaggi, uno sguardo profondo, la sobrietà di felpe e scarponi. Drake non è il tipico rapper che cerca di incarnare un personaggio, ma sembra se stesso. Dopo cinque album ufficiali e svariati mixtape – ma soprattutto dopo milioni di dischi venduti – il rapper di Toronto se lo può permettere. Arrivare in vetta non è cosa da tutti, per Drake la scalata è stata particolarmente dura.
Drake nasce a metà anni Ottanta nei sobborghi di Toronto, sua madre è canadese di origini ebraiche, mentre il padre Dennis Graham è un afroamericano del Tenneesee. Proprio il padre, in quanto musicista, gli trasmette la passione per la musica: Dennis ha lavorato con Jerry Lee Lewis e non disdegna ancora oggi di comporre ballate R&B. Per Drake è una figura importante, tanto che gli dedica la copertina di More Life, ma è la recitazione la prima disciplina a cui si approccia. All’inizio dei Duemila interpreta Jimmy Brooks, il tipico ragazzo della porta accanto nella soap opera canadese Degrassi: The Next Generation. Presto la passione per la musica diventa preponderante, le prime prove da rapper sono targate 2006-2007, biennio in cui escono i mixtape Room for Improvement e Comeback season. Con un background del genere non è facile acquisire la giusta street cred nell’ambiente hip hop: un ragazzo dalla faccia pulita che fino a poco tempo prima cercava di fare l’attore, non il giusto biglietto da visita in una scena machista e ossessionata dalla mentalità del ghetto. In più, per quanto riguarda l’hip hop, Toronto non è New York, Los Angeles o Atlanta, si tratta di una metropoli che, pur essendo al confine con gli Stati Uniti, è di fatto canadese, dunque periferica rispetto alla scena rap e al mercato americano.
Drake trasforma una possibile debolezza nel suo punto di forza. Se gran parte dei rapper della sua generazione raccontano la vita di strada, con attitudine cruda e aggressiva, lui va dalla parte opposta, distinguendosi per le sonorità morbide, le liriche intimiste, l’attenzione alla resa delle atmosfere del funky e del soul, come a voler riscoprire la tradizione familiare. Una voce morbida appoggiata su melodie oniriche: questo è il primo Drake, e quello che abbiamo imparato a conoscere con le prove successive. La scelta di apparire diverso, di creare un immaginario dalle tinte più tenui e quotidiane, paga sin da subito: il primo album ufficiale Thank me Later, pubblicato nel 2010, debutta al primo posto della classifica Billboard e raggiunge il disco di platino poche settimane dopo.
Da quel momento in poi la carriera di Drake si snoda in una serie di successi. Nel 2011 Take Care certifica lo status di superstar, iniziano collaborazioni importanti, come quelle con Kanye West e Rihanna. Il brano Take Care, dell’album omonimo, è la summa dell’estetica di Drake: un video minimale in cui il rapper non ha paura di apparire nella propria semplicità, una melodia orecchiabile, la sua voce che si divide fra parti cantate e ritornelli rappati, i bridge di Rihanna a suggellare la portata del fenomeno pop. Perché ormai è riduttivo chiamare Drake rapper, si tratta di una vera popstar, capace di fare da apripista e trait d’union per la musica degli anni Dieci. Se oggi siamo così abituati ad aspettarci l’intermezzo rappato nelle hit del pop è perché la parabola di Drake ha fatto scuola, tutti hanno attinto a piene mani, sia nell’ambito del pop che in quello hip hop, dai lavori di un ragazzo canadese che racconta la sua vita.
Drake non ha mai ostentato: in un music business popolato di popstar che cannibalizzano la propria vita pur di apparire, magari fingendosi ciò che non sono anche nei momenti più privati, lui ha deciso di provare a essere più sincero possibile. E ogni sua scelta è diventata iconica: non solo l’omaggio paterno nella copertina di More Life, o i meme associati ai balletti di Hotline Bling, ma anche l’immaginario minimale degli altri album. In Take Care si vede Drake seduto in un locale, mentre sorseggia un drink, sulla copertina di If You Reading This It’s Too Late campeggia solo il titolo dell’album, senza fronzoli. Non ha bisogno di immagini accessorie: sta parlando di se stesso, mette il suo bagaglio di esperienze al centro di tutto, le sue emozioni declinate nelle sfumature della voce, nelle parole sputate velocemente quando rappa, accarezzate quando canta.
Dietro la popstar Drake è rimasto un ragazzo che ama la sua provenienza. La città di Toronto è un elemento importante della sua poetica: d’altronde è il tratto distintivo in una scena, quella americana, poco esterofila. L’artista non manca di omaggiare Toronto in ogni occasione possibile: sulla copertina di Views si scorge un Drake minuscolo seduto sulla sommità della CN Tower, la torre delle comunicazioni che troneggia nello skyline della metropoli. Allo stesso modo non c’è partita dei Toronto Raptors, l’unica squadra canadese in NBA, che non veda Drake in prima fila, ad applaudirli o mordersi le mani per un canestro sbagliato. Lo starpower dell’artista è diventato benzina per tutta la città, i colori del Canada trovano in Drake un portatore fiero delle proprie origini.
I rapper che, al giorno d’oggi, possono essere definiti trendsetter anche nel mercato mainstream sono Kanye West, Jay-Z, Kendrick Lamar e Drake. Ognuno di loro ha un rapporto diverso con la fama che rivela il modo di approcciarsi al music business. Kanye West è contraddittorio, egocentrico, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, le trovate al limite del cattivo gusto, come le recenti dichiarazioni pro-Trump, lo rendono un personaggio controverso, forse a disagio con il ruolo di “rap God” che si è scelto. Jay-Z ha fatto la storia dell’hip hop, ma adesso tende a presentarsi come il marito (finalmente) fedele di Beyoncé, la carriera dei due si intreccia con le vicende private, e si risolve in una solido rapporto coniugale. Kendrick Lamar decide di usare la fama come mezzo, un canale per dire ciò che pensa e trattare le problematiche legate all’essere un afroamericano nel 2018, Lamar racconta la cultura black a un livello di complessità tale che può meritarsi il Pulitzer. Sono modi peculiari di incarnare il proprio ruolo nell’immaginario pop, ma implicano, nel bene e nel male, un certo grado di artificiosità.
Drake è diverso: gli importa poco ciò che si dice di lui, continua per la sua strada sapendo che non deve dimostrare niente, perché ci sono le vendite e la qualità degli album a certificare la sua grandezza. Recentemente Pusha T – il tipico rapper di strada che all’inizio della carriera di Drake non avrebbe visto di buon occhio l’ascesa di un artista dall’immaginario così raffinato – ha dissato Drake, forse per rinverdire questa vecchia polemica. Dopo una serie di scambi di fuoco, Pusha T in un pezzo ha accusato Drake di aver avuto un figlio e non averlo riconosciuto. Un’accusa pesante dalla quale molti altri non avrebbero saputo riprendersi. La reazione di Drake è stata esemplare: a fronte di argomenti così delicati, ha deciso di non rispondere, evitando di sovraesporre la propria vita privata solo per alimentare il rap game.
Per Drake, la cui figura paterna è stata così importante, la paternità è un argomento delicato, che non merita di essere gettato in pasto a una gara di bravura fra rapper. Scorpion, l’ultimo album, parla proprio di questo: del successo, della solitudine, della scoperta di essere padre e della gestione di questo nuovo ruolo. Non è una risposta a Pusha T, ma una riflessione ponderata che viene da un artista maturo, capace di continuare il proprio percorso e fornici una testimonianza preziosa. I fan l’hanno capito, infatti Scorpion è stato certificato disco di platino il giorno stesso dell’uscita, un altro record per la superstar di Toronto. Al giorno d’oggi Drake continua a mietere successi, come testimonia l’ultima hit in coppia con Bad Bunny, un pezzo che gli ha permesso di avere dodici brani nella classifica di Billboard, superando i Beatles del ’64, fermi a undici. Drake si confronta con i più grandi perché è fra i più grandi, ma non si dimentica le origini, e gestisce la fama con la naturalezza di chi ama i fan, le emozioni, la musica. A noi non rimane che chiudere gli occhi e accennare un balletto, perché sappiamo che lui farebbe lo stesso.
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