Gusto e olfatto ci mettono in contatto con le nostre emozioni più autentiche, soprattutto in Puglia - THE VISION

I nostri sensi ci fanno entrare in contatto con il mondo. La vista, l’udito, il gusto, l’olfatto, il tatto ci offrono la possibilità di conoscere ciò che ci circonda e di farne esperienza, tanto che anche i nostri ricordi spesso sono riproposizioni sensoriali di esperienze che abbiamo fatto in passato e che abbiamo integrato in noi. Non a caso l’alta cucina ha fatto sua l’integrazione sensoriale, offrendo menù che sono veri e propri viaggi attraverso la varietà della nostra percezione corporea, che ispira la nostra mente e la nostra immaginazione. Un sapore, proprio come nella Recherche di Marcel Proust, può farci percepire la stessa gioia intensa, lo stesso stupore di quando eravamo bambini e scoprivamo il mondo per la prima volta, annullando il tempo che ci separa tra i due stati della nostra vita, e magari annullando anche la geografia. Capita quando ad esempio beviamo un vino prodotto con un’uva particolare, coltivata vicino al mare o sulle pendici di un vulcano, oppure quando proviamo un piatto appartenente a una tradizione diversa dalla nostra: improvvisamente è come se venissimo teletrasportati in un altro ambiente, in un’altra atmosfera, proprio come quando leggiamo un romanzo. Non a caso letteratura ed enogastronomia da sempre hanno coltivato un rapporto privilegiato. Basti pensare a Karen Blixen, con Il pranzo di Babette, oppure al detective Pepe Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán.

Foto di Vostok

La semina, la coltivazione, il raccolto, così come la preparazione di alcuni prodotti gastronomici, scandiscono le stagioni esistenziali degli abitanti del territorio, anche quando non li coinvolgono direttamente, informandoli dei ritmi della terra e delle colture, insegnando loro a essere attenti e pazienti, a prendersi cura di ciò che li circonda. Raccontare i luoghi attraverso il gusto significa narrare di stagioni, biodiversità e materie prime uniche, che regalano infinite ricette, anche estremamente semplici come il piatto che forse più di tutti rappresenta la Puglia: orecchiette e cime di rape. Questa regione ha fatto sua l’innovazione e la contaminazione della cultura gastronomica, anche per quanto riguarda lo street food. Olio, vino, pane, pasta, formaggi. Più di cento i tipi di pane, cotti in forni a legna o di paglia, come a Orsara di Puglia, arricchiscono qualsiasi pasto o diventano l’elemento principale del pasto. Un’esperienza unica la regalano le signore di Bari Vecchia, che chiacchierano con i passanti mentre impastano la semola e fanno orecchiette di tutte le dimensioni, che essiccano all’aperto, lungo la via che dal Castello va al Duomo. E poi i formaggi, vere delizie di pasta filata come il caciocavallo e le burrate.

Pur essendo l’Italia famosa in tutto il mondo per le sue cucine regionali e i suoi grandi chef, nonché culla della cucina mediterranea, consigliata dall’Oms come garanzia di salute e longevità, in Italia la cultura sulla nutrizione e sul cibo è spesso ancora carente. Per chi vuole apprenderne i segreti, un’occasione ricca allora possono essere gli agriturismi e le masserie didattiche disseminate in tutta la regione, che offrono ospitalità, ristoro e una vasta gamma di laboratori educativi. In Puglia, infatti, il cibo è considerato un pilastro fondamentale, come dimostra la lunga serie di appuntamenti gastronomici organizzati durante tutto l’anno: alcuni originali, altri storici, come Cantine Aperte, alla fine di maggio. Giugno è invece il momento dei frutti rossi e della Sagra della Ciliegia, come a Conversano e a Turi; ad agosto, Maglie abbraccia il Mercatino del Gusto, che unisce il meglio dell’enogastronomia della regione; e a novembre invece si va a caccia del re dei funghi, il Cardoncello, festeggiato nelle Murge e delle tante sagre che celebrano il vino novello. Per muoversi tra queste tradizioni la regione ha organizzato diversi itinerari ad hoc, per un viaggiare che nutre tutti e cinque i nostri sensi.

Foto di Andrea Ruggeri

Tra questi ce n’è uno da fare in autunno dedicato alla Magna Grecia, Murgia e Gravine. È un percorso che si snoda tra i paesaggi lunari del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, ricchi di boschi, jazzi e masserie. Questa è la terra del cardoncello, ma anche di lampascioni e degli asparagi selvatici. Si parte da Poggiorsini, nota per i funghi e la birra, e da Gravina in Puglia dove è d’obbligo assaggiare il Pallone, formaggio a pasta filata, magari insieme a una fetta di pane di Altamura.

Il Pallone è simile al Caciocavallo, ma senza testa, e al gusto proprio del latte crudo delle vacche allevate allo stato semi-brado unisce quello delle erbe della Murgia. Con la sua pasta dorata e il gusto leggermente piccante, affiancato da note di erbe e caramello è una prelibatezza unica nel suo genere. Il pane di Altamura, invece, risale al Medioevo e viene preparato con lievito madre e quattro varietà diverse di semole rimacinate di grano duro delle Murge. Si cuoce nel forno in pietra, alimentato con legna di quercia, e assume diverse forme: u Scquanét o alto (pane accavallato); a cappidde de prvete a cappello di prete, o basso; e u puène muedde (il pane morbido). Qui si produce il Gravina, un vino bianco fresco e armonico, che nasce da un blend di uve: Greco di Tufo, Bianco d’Alessano e Malvasia del Chianti con aggiunta a volte di Bombino bianco, Verdeca e Trebbiano toscano. Di color giallo paglierino, è secco o amabile. Prodotto come Spumante, si abbina a piatti di pesce, a base di funghi, ma anche ai tipici calzoni. Inoltre sempre in questi territori vengono prodotte birre naturali, non pastorizzate e microfiltrate, i cui ingredienti sono abbinati a erbe, spezie e fiori di campo della Murgia come la camomilla.

Il pane di Altamura, Puglia

Si va poi verso Acquaviva delle Fonti, il paese delle cipolle, che trionfano in due sagre, quella estiva della Cipolla Rossa e quella del Calzone in ottobre. Dalla forma tonda e un po’ schiacciata questa cipolla particolare ha un gusto dolce, che permette di mangiarla anche cruda con un filo di extravergine. La tappa successiva del viaggio, Gioia del Colle, è rinomata per il Primitivo e per la produzione di formaggi freschi, mozzarelle, nodini, trecce e stracciatelle; mentre a Santeramo in Colle, si gusta il pane di grano tenero. Le vacche da cui viene munto il latte per produrre questi formaggi ogni anno vanno al pascolo per almeno 150 giorni e si nutrono per il 60% di erbe e fieno locale.

Si prosegue poi per la Terra delle Gravine, dove tra grotte affrescate e canyon come quello di Laterza, città famosa per la ceramica dove si può assaggiare un pane, di grande pezzatura e dal gusto leggermente acidulo, a cui si abbina l’olio delle Terre Tarantine. L’olio da varietà per lo più di Leccino, Frantoio, Coratina e Ogliarola, ha un colore giallo verde, dal gusto fruttato e leggermente piccante, decisamente armonico con il giusto equilibrio tra amaro, dolce e piccante. La “panedd”, invece, di semola di grano duro rimacinata con acqua, sale e lievito madre si lascia lievitare per sei ore e poi si cuoce per due nei forni in pietra, alimentati con fascine di legna aromatica. Un tempo c’erano solo forni pubblici e della loro gestione si occupavano quattro donne: tre “fraschere”, che preparavano la legna, ritiravano l’impasto dalle case e lo riconsegnavano cotto; e “à furnele”, la fornaia che gestiva il forno.

Pochi chilometri dopo c’è Palagiano, la città delle Clementine, dove a metà dicembre si svolge l’omonima sagra, e poi tutto l’arco jonico fino a Taranto, ricco di agrumi. Si conclude poi il viaggio a Taranto, patria di un’antica cultura gastronomica di mare, che si sviluppa intorno alla cozza tarantina, presidio slow food, usata per tante diverse preparazioni, e poi alle ostriche e ai frutti di mare e a cui si possono abbinare i vini bianchi e i rosati delle Colline Joniche Tarantine, o le birre prodotte a San Giorgio Ionico, con caratteristiche ben definite, tra cui la prima birra fatta con malti pugliesi e uva di Primitivo.

I sensi sono la parte più connessa di noi alla realtà che ci circonda, grazie a essi godiamo del mondo, grazie a essi viviamo e ci nutriamo. Per coltivare e cucinare bisogna affinarli, esercitarli, riconoscerne tempi e ritmi. In particolare il gusto e l’olfatto ci possono mettere in contatto con le nostre emozioni meno mediate, più primitive, e quindi in un certo senso autentiche. D’altronde, prima ancora di sviluppare la nostra vista, a essi affidiamo l’attaccamento e la sopravvivenza, legata alla nostra prima fonte di sostentamento insieme all’aria, il latte materno. I sensi però possono essere anche una trappola, uno schema percettivo di abitudini che ci impedisce di “sentire” altro, o di sentire diversamente, appannandosi. Quasi come una lente che si graffia o una matita che a forza di scrivere si spunta, rendendo il tratto sempre più pastoso e difficile da decifrare. Per questo è necessario tenerli svegli, presenti, vigili, perché se i sensi si smussano anche la nostra vita perde di intensità e colori. Per questo viaggiare lungo i ricchi itinerari pugliesi può essere una vera e propria rinascita attraverso i sensi.


Questo articolo è stato realizzato da THE VISION in collaborazione con Pugliapromozione – Agenzia Regionale del Turismo. Dal Gargano al Salento, la Puglia permette di immergersi nei colori e negli odori del mare e della macchia mediterranea, mentre se ne scoprono l’ampia tradizione enogastronomica e le antiche tradizioni. Continua il viaggio su viaggiareinpuglia.it e su @weareinpuglia.

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