Gianluigi Carella è un regista italiano, con elevate competenze di editing e post-produzione digitale, che vive e lavora a Los Angeles. Sfatando la retorica del sogno del cinema, Gianluigi ha seguito la sua passione per la tecnologia incarnando come un artigiano moderno quello che è diventato il suo mestiere. Grazie a uno sguardo maniacale e all’uso di strumenti digitali che ha saputo stratificare nel tempo, crea da uno scheletro analogico immagini e storie in grado di emozionare, anche in pochi secondi, per merito di una precisione e di una conoscenza tecnica, unite a spiccate doti creative, che gli permettono di dar vita a vere e proprie illusioni grazie al suo uso magistrale degli effetti speciali 3D.
Gianluigi ha diretto come regista commercial per Audi, Mercedes, Samsung, Volvo, Oakley, Dyson, Alexander Wang per Uniqlo, Dior, Cartier e altri, e ha inoltre diretto diversi video musicali, tra cui “La genesi del tuo colore” di Irama, “Bando” di Anna ft. Rich the Kid, “Fever Dream” di Palaye Royale, “Gross” di Princess Nokia ed editato “Rule The World” di Ariana Grande X 2Chainz. Nel 2021 è uscito il suo secondo lungometraggio, prodotto da Amazon Prime Video: Ben: Respira, dopo il film indipendente che lo ha fatto conoscere in Italia EDIPO RE, un adattamento con un forte messaggio sociale per i ragazzi delle nuove generazioni della famosa opera di Sofocle, l’esempio paradigmatico della tragedia greca. Mi ha raccontato che tutto è iniziato dalla sua passione per la tecnologia come strumento espressivo, capace di raccontare le sue visioni e dar vita a qualcosa che prima non esisteva.
Qual è stato il percorso che ti ha portato qui, oggi?
Non avrei mai pensato di far diventare proprio questa la mia professione. Non ho mai avuto il sogno di raccontare storie, o diventare un regista affermato. Però, guardando indietro, ho sempre avuto una camera in mano, fin da quando ero bambino. Il mio primo computer l’ho montato – o, per meglio dire, l’ho “bruciato” – a otto anni: sono sempre stato affascinato dal mondo tech. Anche quando a scuola dovevo fare un semplice power point ci aggiungevo sempre degli effetti, la musica, ci tenevo tantissimo. Poi la mia famiglia mi ha abituato a studiare tanto, ho fatto il liceo classico, sono uscito con 100 e per alcuni anni ho messo un po’ da parte questa passione per impegnarmi sul resto. Poi, però, durante gli ultimi due anni delle superiori, con l’avvento di Instagram è riemersa prepotentemente. A Foggia eravamo in due a usare Instagram, non sto esagerando. Così, tra il 2013 e il 2015 ho iniziato a fare esperimenti, a lavorare le immagini, a raccoglierle, anche come semplice passatempo, senza chissà quale ambizione, per me era un piacere. Da lì sono passato al video, ho iniziato a collaborare con alcune aziende come videomaker, poi mi sono trasferito a Milano alla Cattolica – università mai finita e mollata a metà. Nel frattempo ho girato in maniera super indipendente e tutto da solo il mio primo film, una rivisitazione dell’Edipo re, che è stato proiettato nelle scuole e anche all’Anteo. Subito dopo, nel 2015 mi sono trasferito a New York alla NYFA [New York Film Academy] per concentrarmi sull’industria del cinema e fare un anno intensivo di studi. A New York scrissi un annuncio su Gipsy Housing, perché dovevo trovare una casa una volta finita la scuola, e un ragazzo mi rispose dicendo: guarda, non ho una casa da darti però ho visto il tuo sito e mi ha colpito moltissimo il lavoro di color [correction] che fai e vorrei affidarti un lavoro. Ho iniziato così. Peraltro il lavoro di color non è una skill che mi appartiene particolarmente, se non collegata al VFX [Visual Effects], perché fare il colorist è una professionalità a sé stante.
È vero però che il tuo uso del colore è molto particolare e si discosta dall’estetica che siamo stati abituati a vedere in Italia.
È sempre stata una mia fissazione il cercare di condensare una certa palette con una pasta molto moderna, che però scolpisce i volumi con una curva più retrò, più filmica. Quando giri in pellicola hai dei neri molto puri, ma al tempo stesso per la grana sono un po’ alzati, liftati. Io cerco di ricreare un effetto di neri densi, con una curva che parte molto in alto e per il resto tengo tutto molto saturo. Penso sia importante sottolineare che in certi casi non è tanto la filosofia che ci sta dietro, ma proprio gli strumenti che si usano. Ci sono dei plug-in, dei tool, dei software che inevitabilmente determinano lo stile e che da personalizzare diventano estremamenti complicati, perché sono strumenti matematici, digitali. La stratificazione di tutti questi strumenti genera un’estetica. Non puoi immaginare e pensare di eseguire direttamente, devi prima conoscere gli strumenti e saperli maneggiare. Improvvisando, oltre a un certo punto, le cose non funzionano, si arriva a un vicolo cieco. Devi accettare di spendere ore, giorni a studiare intensivamente gli strumenti, che peraltro sono in perenne evoluzione, dai libri ai tutorial su YouTube. Io ad esempio sono editor certificato Adobe e ogni tre anni devo rinnovare la certificazione.
Negli ultimi anni c’è stata un’accelerazione spaventosa da integrare nella propria produzione personale. Dietro a questo genere di prodotti c’è molto studio, ricerca: per dar vita e incarnare questo mestiere serve un continuo esercizio artigianale, cesello e ripetizione.
Per me questo è un termine chiave, lo ripeto sempre. Ci sono molti ragazzi che cercano di entrare nell’industria e spunta sempre la retorica dell’inseguire i propri sogni, ma per me non è mai stato quello. Io, come ho detto, non avevo “il sogno” di diventare un regista, per me è la forma che ha preso il mio modo di vivere. Il montaggio per me non è mai esclusivamente assemblaggio, è una vera e propria mania, quasi paranoica: dal numero dei fotogrammi utilizzati, al ritmo, al tempo (in particolare per i commercial molto serrato e condensato). Io scolpisco ogni fotogramma, dopo averlo fatto sto bene, mi sento in pace.
Come coniughi analogico e digitale nelle tue opere?
È chiaro che devi avere il più possibile una base analogica e la professionalità necessaria per riuscire a organizzare il set nel migliore dei modi e portarti a casa ciò che ti serve, su cui poi poter lavorare in postproduzione. Ma la cosa più soddisfacente per me è la magia del riuscire a creare emozioni dal nulla, attraverso strumenti digitali che ti danno il potere della creazione a livello estremo. Per renderti conto: con la CG [computer graphics] hai il controllo sul singolo pixel.
Per certi aspetti questi strumenti ci hanno dato per la prima volta la possibilità di lavorare sull’immagine con la stessa potenza e precisione con cui per millenni l’umanità ha potuto agire sulla parola e sul testo.
Tutto parte dal testo. Il pitch è testo e per svilupparlo è fondamentale riuscire a pesare le parole giuste, che sapranno raccontare le immagini prima che esistano, perché il potere evocativo della parola è una magia ancor più grande di quella dell’immagine, nel mio contesto ad esempio la precede, sta a monte. Inoltre saper comunicare e tarare il proprio linguaggio è fondamentale.
Come riesci a passare dall’infinitamente dettagliato all’infinitamente generico? Cos’è che ti aiuta in questo cambio di scala e di sguardo?
La consapevolezza di poterlo correggere e sistemare dopo. Non so se ho trovato un equilibrio tra queste due caratteristiche, ma ormai ho imparato a usare uno sguardo che mi permette di vedere quello che sarà dopo a partire da uno scheletro scarnificato. So immaginare vari livelli, che ancora non esistono, grazie a una consapevolezza tecnica molto strutturata. Questo mi dà sicurezza sia sui set che in postproduzione e mi permette di comunicare con varie figure in maniera precisa ed esatta, riuscendo a dare le giuste indicazioni, pensando a tempi, budget e possibilità tecniche, ed evitando di perdere di efficacia.
In questo scenario la scelta del computer con cui lavori diventa fondamentale.
Sì, anche perché quando facevo solo editing non avevo particolari problemi o necessità, oltre a quelle strettamente tecniche, perché ero sempre in studio. Iniziando a occuparmi anche di regia, invece, negli ultimi anni i ritmi si sono fatti molto più serrati e inoltre ho dovuto iniziare a viaggiare molto di più. Mi serviva una workstation mobile che mi consentisse di fare le stesse cose di una workstation fissa da decine di migliaia di dollari mentre mi spostavo e a qualsiasi orario del giorno e della notte. Il laptop Creator Z16 di MSI che sto utilizzando in questo periodo mi ha dato la possibilità di fare tutto ciò, spostandomi in una settimana tra Milano, Venezia, Puglia, Toscana, ancora Milano, Svizzera, Austria… sempre in auto, magari con l’hotspot della macchina. So che quello che sto dicendo sembra un mega spot alla Truman Show, ma sono sincero, questa è la mia reale esperienza professionale e personale. Per certi versi io ho perso gli anni più belli della mia vita chiuso in studio a montare, a studiare, a lavorare, cosa che mi ha dato la possibilità di accedere a lavori più grandi e magari più interessanti, ma al tempo stesso ha significato fare grandi rinunce. Adesso ho voglia di recuperare, di divertirmi, di vedere e fare tutto ciò che è possibile in un certo luogo o momento. MSI mi ha permesso di ritrovare questa libertà.
Che qualità ha la serie Creators MSI che altre macchine non offrono?
Sono computer pensati in maniera specifica per le esigenze professionali dei creativi. La macchina che avevo prima di questa MSI, sulla carta era potentissima, ma non ha retto, si è fusa mentre lavoravo, è morta abbandonandomi a metà di un progetto. La potenza computazionale per renderizzare scene molto complesse sulla maggior parte delle macchine diventa quasi impossibile, ci vogliono ore e ore, c’è il rischio di non riuscire ad arrivare in fondo al lavoro, a volte i monitor non sono sufficientemente precisi o personalizzabili. Le macchine di MSI invece ti danno la tranquillità di mettere il portatile nello zaino, tirarlo fuori quando serve e lavorarci come se fossi nel tuo studio, sapendo che riuscirai a fare tutto ciò che serve, senza perdere tempo e senza compromessi sulla qualità finale del prodotto. Inoltre, visto che hanno uno schermo integrato accurato e fedele e non servono più tre monitor per lavorare – uno per montare, uno calibrato, eccetera: alla fine hai letteralmente la potenza in tasca e anche economicamente risparmi, perché una sola macchina portatile ti offre la stessa performance di un’intera stazione di lavoro. Tutto questo ha un valore inestimabile, che si ripercuote su tutto.
Il tuo lavoro anche se potrebbe sembrare molto astratto è molto legato al corpo, passi molte ore seduto, con le macchine instauri una vera e propria simbiosi, quasi fossero strumenti musicali, immagino sia molto importante quindi anche la qualità del design legato a questo aspetto. La macchina diventa un’estensione del corpo.
Esatto, anche solo la tastiera di questo computer, la sensazione tattile che danno i tasti, lo schermo touch spettacolare. Per poter osservare il modello 3D devi poterlo ruotare a 360 gradi, quindi è comodissimo poterlo fare direttamente dal monitor. Anche l’aspect ratio dello schermo è fondamentale. Molti schermi, a parità di dimensione, dopo un po’ – quando ci lavori per così tante ore – ti fanno lacrimare gli occhi, ti affaticano. Il montaggio è un’esperienza fisica, può farti stare male, è pesantissimo, ma non potrei farne a meno. Mi è capitato in passato di dover tornare a casa per poter continuare a lavorare, perché non ce la facevo più usando altre macchine, avevo bisogno del mio schermo specifico. Con MSI non mi è mai successo. Avere una macchina del genere ti cambia davvero la vita. Solitamente per abituarmi a un nuovo computer ci vuole tempo. Sono molto abitudinario. Ma credo che siamo vicini alla creazione di macchine sempre più adatte a diventare vere e proprie estensioni fisiche e mentali.
Ci sono alcune arti – come il cinema, ma anche l’architettura, la poesia – che per restare vive hanno bisogno di essere nutrite da altre esperienze, sensi, linguaggi compositivi diversi. Come vivi il tuo processo creativo?
Il mio processo creativo parte sempre dall’alienarmi dal contesto, dopo essermi immerso il più possibile nel mondo. Ascolto musica, leggo, cerco di ampliare i miei confini il più possibile per arricchire la mia visione. Ci sono dei momenti in cui ci si ritrova a chiedersi che cos’è la vita, qual è il suo senso, come sarà il futuro, che cosa stiamo facendo… io sento che potrei trovarmi anche al limite dell’universo, di fronte alla cosa più impensabile, ma che per me quest’arte – questa pratica, questo mestiere – sarà sempre la cosa più vicina alla verità che abbia mai conosciuto. Ho un tale attaccamento a questa professione che sento che darà sempre un senso alla mia esistenza, perché ha la capacità di farmi sentire il più vicino possibile alla creazione.
Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con MSI, tra i principali colossi nel settore dell’Information Technology e del gaming a livello globale, oggi sinonimo di costante ricerca di qualità e design avanzato. Grazie a laptop progettati specificatamente per gamer, content creator, professionisti di vari settori e studenti, MSI realizza soluzioni tecnologiche all’avanguardia ed è impegnata in prima linea anche nel settore dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale, del metaverso e dell’Internet of Things.
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