Coma Cose: la semplicità di una coppia eccezionale - THE VISION

Se è difficile gestire il processo creativo quando si è soli, all’interno di un microcosmo trovare il giusto equilibrio è davvero qualcosa che si approssima all’alchimia, lo sanno bene i Coma Cose: Francesca Mesiano, in arte California, e Fausto Zanardelli, aka Fausto Lama. Il progetto musicale, infatti, nasce a Milano sei anni fa quando i due si conoscono, decidendo di dar forma a una realtà che rappresenti tutto ciò che amano, una sorta di contenitore pazzo, in cui far confluire impressioni, sensazioni e l’impronta della città – acida, caleidoscopica, irrequieta – sulla loro vita. Da quel momento in poi inizia ad andare tutto molto velocemente, si affermano nella scena indie, nel 2021, con “Fiamme negli occhi”, arrivano sul palco dell’Ariston e a Sanremo 2023 con “L’addio”, poi confluita in Un meraviglioso modo di salvarsi, vincono il premio Bardotti per il miglior testo.

Le loro diapositive urbane, che mescolano panorami sonori sperimentali a un uso della parola sapiente, diventano via via sempre più universali, intercettando le esperienze e i sentimenti di tutto il Paese, e contaminandosene a loro volta, evolvendo, modificandosi, ritrovando giorno dopo giorno una propria forma, esistenziale ed espressiva.

Foto di Edward Scheller

Il loro ultimo album, Un meraviglioso modo di salvarsi, del 2022, nasce dall’essersi riavvicinati dopo una separazione necessaria – a crescere, a cambiare, a trovare, a riscorprire anche se stessi – e per questo contiene anche diverse canzoni soliste, a differenza del solito. In una parentesi di tempo relativamente breve Fausto e California si sono trasformati, passando da fotografi punk della urban culture milanese a cantautori contemporanei, ironici e raffinati, che si impegnano a seguire la sfida complessa di una piena, matura semplicità. I Coma Cose sembrano davvero incarnare il concetto che oggi l’essere una coppia – nell’epoca dell’egoismo, del tornaconto, della competizione, del mors tua vita mea – è davvero una rivoluzione, una prassi esistenziale in cui ci si accorda istante dopo istante all’Altro, imparando a trovare e ad ascoltare diversi ritmi. Li ho incontrati a Milano, nello studio della loro casa discografica, Asian Fake.

Qual è il vostro rapporto coi paesaggi urbani?

Fausto: Tutto ciò che è urban culture ci appartiene. Quando ci siamo trasferiti a Milano, da giovani, eravamo attratti dalla città, dal fatto che fosse un luogo in cui tante energie diverse si mescolavano. Quando uno è giovane desidera buttarsi in un mondo che offre tanti stimoli e colori, anche per capire cosa vuoi.

Fiamme negli occhi (2021)

Quanto i vostri testi e le vostre atmosfere sonore sono collegate alla città di Milano e come si è evoluta questa sensibilità?

Fausto: Noi abbiamo vissuto un grande cambiamento di Milano. Negli anni precedenti all’Expo c’era un certo tipo di città, che aveva già avvisaglie di street art, si respirava qualcosa che poteva essere un surrogato di New York, o comunque di altre metropoli più grandi e cosmopolite. L’Expo ha poi dato una grande spinta a tutto il contesto urbano e ora ci si trova in una sorta di terza fase in cui ogni cosa si sta sempre più “grattacielizzando”, e noi invece abbiamo una sorta di contro-istinto che ci sta portando ad uscire dalla città, tanto che adesso abitiamo in una zona quasi periferica. Però è stato fondamentale per noi stare a Milano, soprattutto per quanto riguarda il concetto di jam cut: tutto ciò che è città, confusione, spinge a trovare in questo caos un ordine, a rielaborare gli elementi. È ciò che abbiamo sempre fatto con la musica, pescando da tanti generi per poi creare qualcosa che fosse organico e omogeneo, nostro.

Foto di Edward Scheller

Le vostre prime canzoni sembrano delle narrazioni postmoderne di spaccati della vita urbana, in cui il particolare diventa universale. Avete fatto un racconto fotografico di una generazione, e di come viveva una certa città, Milano, fissando la sua identità.

California: Penso che i luoghi che ci circondano, le situazioni, le piccole cose, descrittive, fotografiche, dentro ciascuno di noi possono avere un significato molto personale, legato all’esperienza, ai ricordi. Quindi riescono ad avere un doppio significato: intimo e collettivo. Una cosa può essere solo nostra, ma anche condivisa. E questo diventa una grande forza.

Adesso la vostra musica è cambiata, vi siete evoluti, si riconosce una maturità nei vostri testi, e in un certo senso la tranquillità di dire le cose…

California: …in maniera meno criptata.

Fiamme negli occhi (2021)

Esatto, forse anche con più fiducia nella vostra voce, nel modo in cui comunicate.

California: Noi siamo alla ricerca continua di un cambiamento, di un’evoluzione. Cerchiamo sempre di fare qualcosa di nuovo. Cambiare è stato un processo spontaneo. La risultante di questa scelta sembra più semplice, ma in realtà è ancora più complessa. Se ti spogli di tutto, e cerchi di esprimerti in maniera ancora più sintetica e diretta, ovviamente è più difficile sotto diversi punti, sia emotivo che di fattura. Sentivamo la necessità di esprimerci in maniera più profonda, cercare di essere un po’ meno complicati, cercare di restringere di più il campo e di andare dentro a noi stessi.

Fausto: Coma Cose nasce proprio con l’idea di essere una scatola in cui mettiamo le cose che ci piacciono. Abbiamo seguito sempre fin dall’inizio la parte estetica, grafica, anche i video, i social li seguiamo noi. Quando abbiamo iniziato Coma Cose era la musica, la colonna sonora, di quel periodo lì, una sorta di micro-collettivo nato dalla voglia di sperimentare, di dar vita a qualcosa insieme, che ci piacesse, ci rappresentasse. La vita era molto di quartiere, era tutto molto piccolo. E poi quando siamo cresciuti e abbiamo iniziato a portare la nostra musica fuori sarebbe stato ambiguo se non ci fossimo cibati di questo cambiamento. Ci siamo trovati il primo anno a fare settanta date, abbiamo girato tutta l’Italia, da Milano ci trovavamo magari in un paesino pugliese in cui tutti cantavano “24 maggio e calamari freschi”. Per certi aspetti è spiazzante. Così siamo cresciuti e anche la musica si è liberata da certe circoscrizioni.

Foto di Edward Scheller

Il vostro rapporto con la tecnologia?

California: Essendo persone curiose tutto ciò che è novità ci intriga e vogliamo scoprirlo e conoscerlo. Negli ultimi cinque anni ovviamente il mondo è cambiato tanto, è cambiato tutto: i social, la pandemia, l’uso del telefono, la pubblicità, il mercato… È cambiata sì la città, per come è strutturata, ma siamo cambiati anche noi. Viviamo un momento di caos. Noi in particolare veniamo dalla provincia e siamo cresciuti in un’epoca in cui la tecnologia non era così. Quindi magari cerchiamo spesso di rifugiarci in posti dove possiamo tornare a vivere – almeno per alcuni momenti – il mondo di prima, fatto di cose tridimensionali, persone, dialogo… però ovviamente siamo qui, oggi, a Milano. Quindi la nostra è una sorta di dualità, cerchiamo di attingere al massimo dalle opportunità, ma anche di coltivare una radice al di fuori. Non saprei trovare una sintesi tra questi due mondi, oscilliamo. Per quanto riguarda la musica poi sono cambiate tantissime cose a livello tecnico…

Fausto: Sì, sono d’accordo con Francesca, c’è una grossa distinzione tra la digitalizzazione e la vita intima. Siamo attratti dalla tecnologia ma anche impauriti. Personalmente non la cerco in maniera esasperata e vorace, però quando tocca le cose che mi interessano, come la musica, la accolgo volentieri. L’ultima novità è l’AI per esempio e comunque, con tutti i miei limiti, mi ci sono buttato, ho cercato di informarmi, di capire quali possono essere le nuove risorse, e ci trovo anche del bene, come in ogni novità tecnologica. Io comunque mi sono formato alla SAE, una scuola tecnica che prepara all’approccio del digital recording, implementato con l’analogico, ma digitale. Quello che può fare il computer oggi è illimitato, anche a livello di sound, siamo veramente arrivati a un livello in cui i software raggiungono un risultato pressoché analogo all’analogico sapendoli usare bene. Certo, c’è anche un discorso di approccio, non solo di risultato. Mettere le mani, toccare uno strumento, accordarlo, anche solo girare una rotellina è un’altra cosa, per quanto mi riguarda influenza il processo creativo a livello di energia. Tant’è che le nostre canzoni, inizialmente, vengono scritte con chitarra e pianoforte, poi certamente vengono vestite con mille sample, beat, eccetera. Quando scrivo coi miei quattro accordi e canto, ho la sensazione che quello che ho fatto è reale, mi emoziona. Poi certo, la tecnologia è fondamentale, asservita a una creatività che nasce da un impulso vero, necessario.

Chiamami (2022)

Che cosa può aggiungere la tecnologia alla produzione e alla composizione analogica, anche a livello di possibilità di ricerca?

Fausto: La tecnologia e la musica viaggiano a braccetto da sempre, basti pensare a certi “standard” sonori che sono nati sperimentando con l’hardware. Pensiamo allo strumento Mellotron, il primo “campionatore” analogico a nastro che ha caratterizzato certi masterpiece tra cui alcuni dischi dei Beatles. Il procedimento di ricerca oggi rimane lo stesso, certi cliché musicali sono diventati tali proprio perché figli di “come suona” un tale software, insomma, si sperimenta, si crea… ci si evolve.

Cosa cambia secondo voi a livello di approccio cognitivo alla creatività l’uso dei software? Che ruolo può avere, anche da un punto di vista di raccolta di suggestioni sonore e del loro di assemblaggio la tecnologia?

Fausto: Sicuramente avere un’orchestra “digitale” a portata di mano spinge a sperimentare molto di più, suggerisce nuovi codici e aspetto fondamentale: lo sviluppo di un linguaggio autoctono. Dal punto di vista musicale, la tecnologia è quindi una grande risorsa, ciò che ne defice riguarda più l’aspetto “cantautorale”, cioè la produzione sonora sta sempre più diventando centrale e non più di supporto alla scrittura con la conseguenza di canzoni scritte con meno enfasi sui testi. Questo discorso però va inserito nell’epoca in cui viviamo dove è tutto più veloce e l’offerta così vasta di “musica nuova” ci travolge e spesso ci induce a non approfondire un tale artista…la domanda fatidica è quindi: “Le canzoni di oggi sono destinate a non durare? …O siamo noi che non ci approcciamo alle stesse con un mood volto a eleggerle tali?”.

Foto di Edward Scheller

Quanto è importante per voi avere la possibilità di avere sempre a disposizione, ovunque andiate, un portatile potente, rapido e performante ai fini della vostra musica

Fausto: Questo è un grande traguardo, anche se avere come compagna di viaggio “la vecchia e cara chitarra” male non fa. Ma dipende sempre da qual’è il tuo mezzo per esprimerti. Aldilà della facilità nel produrre canzoni la tecnologia è rilevante e centrale nel concetto di “interscambio”. Cominciare una sessione in un luogo e proseguire altrove, passarsi files tra produttori, tutta la filiera dell’apparato live… insomma, stiamo assistendo a una grande spinta del comparto hardware e software musicale e sono fiducioso che questo porterà a nuovi stimoli in un mercato dove soprattutto i più giovani possano competere in modo creativo ad armi pari.

L’ADDIO (2023)

Come vivete la relazione tra testo e musica?

Fausto: Il rapporto testo musica è sempre molto conflittuale per quanto mi riguarda. Se vuoi dire tante cose hai bisogno di un substrato molto semplice. Il rap in primis. Metti un beat e puoi dire tutto quello che vuoi, anche in termini di quantità di parole, in un flusso di coscienza. Se invece vuoi fare musica più immaginifica, in cui c’è un’idea di un suono, di una progressione armonica, sei per forza costretto ad usare meno parole. E quindi c’è anche una voglia di ricerca tecnica che va oltre qualsiasi tipo di preconcetto. Non avremmo mai rifatto qualcosa solo perché funzionava, e viceversa. Mai. Siamo persone che si annoiano in fretta. Le nostre prime canzoni sono una sorta di scatola del tempo, che è bella proprio perché è rimasta là. Forse servirebbero oggi i nuovi Coma Cose per parlare magari fra qualche anno della nuova Milano, di com’è. Noi forse non saremmo più in grado, perché è un discorso di esigenze, di verità, di spontaneità, di estemporaneità…

California: … di vita.

Fausto: È andata così, siamo cambiati…

California: Per fortuna!

Il vostro uso molto ironico della metrica crea ulteriori significati e livelli di lettura. Ciò contribuisce a dare un’ulteriore profondità a ciò che fate, che vi avvicina in maniera molto originale al cantautorato italiano.

Fausto: Il progetto Coma Cose è nato in una fase già matura di scrittura, sia mia che di Francesca. A noi però piace molto giocare con l’alto e il basso e credo sia questo che è in grado a partire da tanti dettagli di creare un’immagine comune e universale, vicina a tutti. A noi interessa descrivere in maniera diversa, inedita, qualcosa che chiunque può percepire. Quella prima fase era molto legata a un’impulsività e a una voglia di comunicare ciò che ci piaceva. E quindi anche il cantautore entrava nel testo in maniera giocosa, ironica, che era anche un modo per non appropriarsi della sua aura. Per me la musica esiste dove c’è una necessità, che solitamente corrisponde a cercare di uscire dal proprio guscio di solitudine. E quindi tu cosa fai? Metti nelle canzoni ciò che ti appartiene, ciò che ti rappresenta, sperando di intercettare qualcuno che abbia gli stessi gusti. La didascalizzazione estremizzata di quelle canzoni penso nascesse dal desiderio di cercare una community, qualcuno che fosse là fuori e che potesse intercettare la nostra musica. Erano cose del tutto folli…

California: Totalmente punk… nella loro struttura.

Fausto: Forse hanno avuto anche per questo la fortuna di intercettare un’epoca storica in cui quel tipo di musica funzionava, incuriosiva. Anche perché venivamo da un’epoca di egemonia di un certo tipo di canzoni che avevano un po’ stancato, quello è normale, ogni dieci anni circa c’è una grossa rivoluzione culturale che intercetta anche la musica.

California: Speriamo, evviva la rivoluzione!

Foto di Edward Scheller

Avete detto che Milano si sta grattacielizzando, sta salendo come in passato le salirono le città medievali, e all’inizio del Novecento le città americane. L’America ha influito tantissimo nella musica moderna. Qual è il vostro legame, materiale o immaginifico con questa realtà?

California: Abbiamo appena suonato negli States. Quando ce lo hanno detto la prima volta non ci sembrava nemmeno vero. Non riuscivamo a crederci, per mesi. Io poi negli Stati Uniti non ci ero neanche mai stata, quindi ero molto molto curiosa. Abbiamo suonato al al Whisky a Go Go, il locale storico dove hanno suonato tutte le più grandi rock star americane. Fa effetto perché l’America… è l’America. Per tutti noi il sogno americano, la musica, il cinema, viene tutto da lì. L’America ha influito tantissimo nella musica moderna, sul nostro immaginario. Volevo vedere coi miei occhi come si vive lì, i grandi spazi, le città, le persone.

Fausto: Anche per quanto riguarda l’innovazione è un luogo molto controverso. Negli anni Novanta sembrava il futuro, guardato come modello da noi ragazzini, adesso invece che tutto si è un po’ uniformato rispetto all’America ci sono Paesi molto più evoluti. Quindi partiamo con la curiosità di vedere com’è l’America oggi. Per assurdo l’America oggi…

California: …è un po’ vintage.

Come nell’ultimo film di Wes Anderson, “Asteroid City”, in cui si mescolano gli anni Cinquanta alla passione per lo spazio e l’astrofisica. In questo senso è come se sull’America si sovrapponessero due immagini, desiderio e nostalgia.

California: Parlavamo proprio poco fa del cinema Arcobaleno, di come resista ancora. Chissà se tra vent’anni esisteranno ancora i cinema, adesso mi è venuta voglia di andarci…

Fausto: È vero, vi faremo sapere…


Questo articolo è realizzato da THE VISION in collaborazione con MSI, tra i principali colossi nel settore dell’Information Technology e del gaming a livello globale, oggi sinonimo di costante ricerca di qualità e design avanzato. Grazie a laptop progettati specificatamente per gamer, content creator, professionisti di vari settori e studenti, MSI realizza soluzioni tecnologiche all’avanguardia ed è impegnata in prima linea anche nel settore dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale, del metaverso e dell’Internet of Things.

La foto in copertina è di Edward Scheller

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