“Le mie prime esperienze in discoteca sono state con mia mamma intorno al 2000, quando mi portava a ballare bachata e salsa – quando non era ancora esploso il reggaeton. Mi piaceva, ballavo un sacco, era un ambiente diverso da quello delle discoteche normali. Noi andavamo a ballare e basta, senza malizia. Quando sono andato per la prima volta in una discoteca normale non mi era piaciuta, cercavo quella vibrazione e la trovai nei locali dove si suonava rock. Poi i miei gusti sono cambiati, soprattutto con l’arrivo della new rave, allora ho iniziato a frequentare i club.”

LA SCRITTA “AVENTURA” SULLA TOPPA SI RIFERISCE AL GRUPPO?
Gli Aventura sono la mia rock band preferita. Anche se fa bachata, la formazione è esattamente quella delle band rock. Pensa al brano “Obsesion”: non solo ha un titolo pazzesco, ma tutti la conoscono e viene suonata ancora oggi. Quel brano è diventato per molti LA bachata.
Ho voluto citare loro e il videogioco Silent Hill, di cui mi piace tantissimo l’immaginario sonoro, usando il font di Silent Hill 2 per la scritta.

VAI ANCORA ALLE SERATE LATINO-AMERICANE?
Non tanto, da piccolo ci andavo perché erano momenti legati alla mia famiglia e agli amici, ora non c’è più quel gruppo. Quando torno a Brescia mi capita, ma è cambiato molto l’ambiente, ci sono molte più comunità interessate di musica latina, con l’avvento del reggaeton sono arrivati molti nordafricani, che sono molto appassionati del genere, e poi tantissimi italiani che durante la settimana studiano salsa e vengono a provarla in pista. Io neanche conosco la salsa, so ballare la bachata e il vallenato, che si balla a Valledupar, la città da cui vengo.

IN QUALI ALTRE CITTA HAI VISSUTO?
Nel 2000 sono arrivato a Brescia con mia madre, a 18 anni sono andato otto mesi a Stoccolma, ma non era accogliente come sembrava – l’anno in cui sono andato erano cambiate le regole per avere il permesso di lavoro, e credo sia stato più un problema essere italiano che essere colombiano [ride]. Poi sono venuto a Milano, per un po’ di tempo ho vissuto anche a Torino, ma ormai sono a Milano in pianta stabile da un bel po’. Brescia è stata un ottimo posto in cui crescere, non ho avuto problemi di integrazione o episodi di razzismo, non ci pensavo nemmeno – paradossalmente mi sono capitati episodi spiacevoli con le mie insegnanti di scuola e non con i coetanei o con estranei.

OLTRE ALLA TOPPA, CHE ALTRA LAVORAZIONE HAI FATTO SULLA GIACCA?
L’ho scolorita e tinta. Prima l’ho tenuta nella candeggina un’ora, l’ho lavata, ho sciolto il colore per tessuti in acqua e ci ho messo a bagno la giacca. Ho scelto il giallo e il risultato tende al verde, mi piace molto.

MAI FATTO ALTRE PERSONALIZZAZIONI?
Quando ero teenager avevo un chiodo su cui ho disegnato il faccione dei Misfits – in realtà volevo fare il logo dei Crass, ma era molto lineare, richiedeva troppa precisione, allora ho preferito fare quello, con un UniPosca bianco. Tra l’altro, è durato un sacco il disegno. Ricordo che ci avevo cucito anche un colletto leopardato.

QUANDO HAI INIZIATO A FARE MUSICA?
Da teenager avevo una band crust in cui cantavo e suonavo la chitarra, poi siamo passati a un genere indefinibile, crust con dei synth fatti da me su Fruityloops. Quando ho dovuto lasciare la band per andare in Svezia, ho continuato a suonare da solo. Una volta tornato a Brescia ho conosciuto Matteo Pit a una serata in cui io facevo le foto e lui suonava. Siamo diventati amici, abbiamo scoperto di avere gusti affini e abbiamo deciso di fondare i Primitive Art, che stiamo portando avanti dal 2011.

SEGUI ALTRI PROGETTI MUSICALI OLTRE A PRIMITIVE ART?
Recentemente ho fatto uscire una compilation con Simone Bertuzzi di Invernomuto. Eravamo insieme a Barranquilla per girare un documentario sui Picò, i sound system colombiani sulla costa caraibica. Lì abbiamo scoperto il Guarapo, un genere che viene ascoltato solo nel sud di Barranquilla. Lo abbiamo ascoltato per caso su un taxi, abbiamo chiesto al tassista di lasciarci la chiavetta USB con i brani, e da quella chiavetta è nata la compilation. Abbiamo proposto la raccolta alla Honest Jon’s che ci ha suggerito di trovare producer locali con cui creare dei pezzi originali per la raccolta. Così sono andato a Barranquilla, ho affittato uno studio e insieme a tre producer abbiamo creato 50 tracce in un mese, delle quali 40 sono nella compilation.

COME HAI INIZIATO A COLLABORARE CON INVERNOMUTO?
Quando sono arrivato a Milano lavoravo ad un party insieme a Matteo, Lorenzo Senni e Massimiliano Bomba che si chiamava Vietnam. Tramite lui abbiamo Simone Trabucchi, l’altra metà di Invernomuto. Poi ho conosciuto Simone Bertuzzi, siamo diventati amici e da allora mi capita di collaborare a dei loro progetti. Nel caso del documentario sul picò ho dato una mano con la ricerca e le riprese, oggi condivido con loro un magnifico studio dove passo gran parte del mio tempo.

INVECE DA QUANTO TEMPO FAI L’ASSISTENTE FOTOGRAFO?
Da quando ho 17 anni, ma ho smesso per un po’ quando sono arrivato a Milano perché non avevo contatti. Poi all’improvviso è arrivata la chiamata da un fotografo. Ho lavorato con lui e poi con altri, fino a quando sono arrivato a Toiletpaper. È un anno che sono lì e sono felicissimo. Mi diverto e con Pierpaolo Ferrari sto imparando tantissimo, ho ritrovato una passione per la fotografia che avevo perso: prima lavoravo tanto con la moda, e dopo un po’ era ripetitivo, mentre Pierpaolo è un maestro e ogni set è diverso, anche se l’estetica è molto riconoscibile.

VORRESTI FARE IL FOTOGRAFO?
Ultimamente ci sto pensando sempre di più. Prima era un lavoro come un altro, per pagarmi la possibilità di stare in studio a fare musica. Però non si può fare tutto, e se dovessi trovarmi nella situazione di dover scegliere darei priorità alla musica, sento che è il linguaggio più adatto a me.

SEMBRA CHE IN TUTTI I PROGETTI IN CUI SEI COINVOLTO TU NON SIA MAI SOLO.
L’unica cosa che ho fatto da solo è stata la mia prima compilation, il prodotto finale di una serata a cui lavoravo – non era più il caso di fare serate, quindi l’ho chiusa con una raccolta in vinile di 6 artisti che ho ospitato o che avrei voluto ospitare a “Progresso”. Per me molte cose ha senso farle finché si è in gruppo, come lo skate: ce l’ho ancora, ma per me non ha senso andarci senza il gruppo di amici.

HAI IN PROGETTO DI CAMBIARE ANCORA CITTÀ?
Ora mi trovo bene a Milano, è una città dove puoi scegliere di vivere tranquillo o di intasarti di input. E ha dei costi ancora contenuti, se sai muoverti riesci a cavartela. Per quel che riguarda fare musica, non credo sia necessario vivere in una determinata città. Magari a Londra o a Berlino hai più possibilità di contatto diretto con altri artisti, ma non è una cosa fondamentale. Per la fotografia ci sono posti dove puoi guadagnare di più, ma dove il costo della vita è decisamente più alto – a New York da assistente guadagni il doppio, ma anche i costi sono raddoppiati. Non sento il bisogno di andarmene da Milano, e ogni volta che sono via sono contento di tornarci, è la prima città che mi dà questa sensazione.