Nel 1958, durante l’ottava edizione del festival di Sanremo, sul palco si presenta una coppia di cantanti con un brano che di lì a poco sarebbe diventato la canzone italiana più famosa nel mondo. Uno dei due è Johnny Dorelli e il pezzo in questione è Nel blu dipinto di blu, ma tutti la conosciamo meglio con il semplice titolo Volare, che associamo alle braccia spalancate di uno dei cantanti più famosi della storia della musica leggera italiana, se non forse l’interprete per eccellenza di questo genere: Domenico Modugno, un personaggio che nei decenni successivi avrebbe esportato l’italianità nel resto del pianeta. Ventitré anni dopo il successo di Volare, nel 1981, Modugno presta il suo viso, la sua voce e la sua presenza scenica ormai iconici per pubblicizzare un prodotto altrettanto rappresentativo della tradizione del nostro Paese, il caffè. Lavazza sceglie il cantante pugliese per una serie di spot televisivi che mirano proprio a consolidare l’immagine del marchio strettamente collegata a un certo tipo di spirito italiano. “La vita è bella in tre, io te e un bel caffè,” recita Modugno con quell’espressività scanzonata che lo contraddistingue per tutta la sua carriera e la faccia di bronzo, del guascone che cade sempre in piedi.
Domenico Modugno, detto in famiglia Mimì, nasce a Polignano a Mare, un piccolo paese in provincia di Bari, nel 1928. Il rapporto con il suo paese d’origine è piuttosto problematico, dal momento che il cantante – per motivi discografici e televisivi, a quanto pare – non ha mai smentito le voci che attribuivano la sua provenienza alla Sicilia. In effetti, la famiglia si era trasferita in provincia di Brindisi quando Modugno era ancora un bambino, e il dialetto di quelle zone pugliesi, che utilizzò nella scrittura di svariate canzoni, ricorda molto il siciliano. Da questo fraintendimento, nasce la leggenda sulla sua provenienza. Non è ben chiaro perché l’essere siciliano avrebbe dovuto garantirgli più successo – forse per un luogo comune sulla natura passionale e sentimentale degli abitanti di quest’isola: lui, in ogni caso, lo accetta e stringe con la Sicilia un rapporto tanto intenso da ricoprire la carica di consigliere comunale ad Agrigento e di trovarsi proprio a Lampedusa nel momento della morte. La riappacificazione con la città natale si completa solo nel 1993, quando il cantante decide di regalarle l’ultimo grande concerto della sua carriera in tre giorni di celebrazioni dove viene fatto sfilare in giro per il paese come una sorta di santo patrono, tra baci ai bambini e scuse per il piccolo fraintendimento ormai lungo trent’anni. Quella della manifestazione “Modugno torna a casa” è un’iniziativa enfatica, esagerata, sentimentale, proprio come lo stile dell’artista, sempre pronto a regalare al pubblico un’indigestione di emozioni, e per questo capace di coinvolgere davvero tutti.
Dopo l’infanzia trascorsa in Puglia, Modugno va a Torino per cercare lavoro, e negli anni del servizio militare comincia a formare il suo personaggio artistico: un dongiovanni con la chitarra sotto braccio e i baffi neri a coronare l’espressione da inguaribile sciupafemmine. Il vero punto di inizio della sua carriera è la borsa di studio che vince al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, che gli consente di ricevere un attestato per cominciare la sua attività da attore. In parallelo al cinema, Modugno frequenta i circoli artistici romani, dove si esibisce di sera con il suo repertorio in dialetto salentino. È grazie a una sua interpretazione in un film del 1952, Carica eroica, che il giovane cantante e attore viene notato per la sua voce: ottiene così la conduzione di una trasmissione musicale, Amuri… amuri…, dove si esibisce cantando canzoni che qualche tempo dopo registrerà. In quegli stessi anni, arriva il primo contratto discografico con l’etichetta RCA Italiana, e Vito Antonio, il fratello di Modugno, si trasferisce a Roma con la madre dopo che i genitori si separano, per diventare il suo manager. Sono anni in cui il cantante incide brani che inizialmente non hanno successo, ma anni dopo verrano rivalutati, come Vecchio frack. La canzone è molto interessante per diversi motivi: c’è una base ritmica che Modugno stesso produce battendo le dita sulla chitarra, mentre il testo racconta una storia vera, quella di un principe che si suicida buttandosi dalla finestra di un hotel. È un’immagine intensa, malinconica, che si amalgama con la voce squillante e con la melodia creata da Modugno, facendone una delle sue canzoni più famose e apprezzate.
La prima partecipazione a Sanremo risale al 1956, con la canzone Musetto, del quale Modugno era solamente autore. È due anni dopo che arriva la vera svolta della sua carriera, già ben avviata, tra tour francesi e collaborazioni svariate. Vincendo il Festival con Nel blu dipinto di blu, Modugno viene definitivamente consacrato al successo: tutto in quella canzone è perfetto, dalla melodia all’arrangiamento, dal testo all’interpretazione carica e liberatoria. La critica è d’accordo all’unanimità sulla sua innovazione in termini strutturali e contenutistici: è evidente che non è un brano destinato a rimanere confinato alla kermesse. Ad oggi è il singolo più venduto nella storia d’Italia, e di sicuro la canzone nostrana più conosciuta nel mondo, diventata ormai una sorta di inno nazionale parallelo e reinterpretata come cover da artisti come Paul McCartney o Barry White. È l’emblema dell’italianità per gli stranieri, il modo in cui il mondo vuole rappresentare l’Italia, il simbolo del Made in Italy che si fa musica. Spensierata, poetica, un po’ strafottente e a tratti malinconica: Nel blu dipinto di blu è la quintessenza dello spirito italiano.
Modugno diventa per gli americani Mr. Volare e la canzone il suo passaporto per gli Stati Uniti e il successo internazionale. Partecipa all’Ed Sullivan Show, gira per il Paese in lunghi tour che gli impediscono persino di essere presente al momento della nascita del suo primogenito. L’anno successivo all’exploit sanremese, nel 1959, esce il secondo singolo che consente a Modugno di vincere di nuovo il Festival. Ciao, ciao bambina! – anch’essa ricordata più semplicemente con la parola chiave del ritornello, Piove – è un’altra canzone dalla struttura innovativa, densa di quel sentimento che Modugno è in grado di trasmettere inserendo vere e proprie parti recitate nei suoi brani. L’urlo con cui sfuma il finale della canzone è un marchio di fabbrica senza precedenti, è l’apoteosi dell’intensità espressiva del cantante pugliese che tuona a voce di petto tutto il suo sentimento, una dichiarazione che assume una forma insolitamente sincera: sembra infatti che Modugno stia davvero salutando da lontano la donna che ama, con la voce rotta dal momento struggente di un saluto definitivo. Modugno, è bene ricordarlo, è anche un attore, e questa doppia personalità si mischia nella sua musica, rendendola ancora più coinvolgente.
Gli anni Sessanta proseguono all’insegna del successo, ma soprattutto consentono a Modugno di portare a un livello più alto la propria carriera grazie alla collaborazione con poeti e scrittori di quel periodo. Salvatore Quasimodo, ad esempio, gli concede di poter mettere in musica alcuni suoi versi, mentre con Pier Paolo Pasolini nasce un’intesa che consentirà a entrambi gli artisti di esaltare il proprio talento: nel 1966 Modugno canta i titoli di testa, con le musiche scritte da Ennio Morricone, del famoso film con Totò e Ninetto Davoli Uccellacci e uccellini.
L’anno dopo, invece, recita in un episodio del film Capriccio all’italiana a cui lavorano registi come Monicelli e Steno. La trama dell’episodio è una rivisitazione dell’Otello, e il testo della canzone che canta Modugno, Che cosa sono le nuvole?, è un riadattamento musicale di alcuni stralci della tragedia shakespeariana. I personaggi dell’opera sono dei burattini, Totò è uno Iago verde d’invidia, Ninetto Davoli è un Otello ingenuo e buono, Franco Franchi è Cassio, mentre Ciccio Ingrassia è Roderigo. La cornice dello spettacolo di marionette è una metafora della vita, e quando Otello e Iago si rompono, Modugno – che interpreta un netturbino – li porta in una discarica dove muoiono, cantando la canzone che fa da tema al cortometraggio. È un connubio incredibile tra l’atmosfera poetica e tragica dell’opera di Shakespeare, la regia di Pasolini, le interpretazioni degli attori presenti e la voce di Modugno che conclude tutto con una potente malinconia. Si tratta forse di una delle performance in cui meglio si esprime tutto il potenziale dell’intensità artistica del cantante, ed è davvero una di quelle sinergie tra talenti di cui non si può che percepirne la preziosità.
Dopo tanti altri successi degli anni Settanta, come il brano La lontananza, e Piange… il telefono, gli anni Ottanta sono purtroppo segnati da una malattia che lo lascia in parte invalido, fortemente influenzata dalla sua grande dipendenza dal fumo – pare che Modugno fumasse circa cinquanta sigarette al giorno – ma anche dal suo ingresso in politica, con un impegno particolare nel Partito Radicale per la causa dei disabili, questione che lo riguardava in prima persona. Modugno muore a sessantasei anni, ancora giovane, ma di sicuro senza molti rimpianti, vista la biografia piena di successi, riconoscimenti e soprattutto sentimenti. Ci sono luoghi comuni sull’Italia che abbiamo il dovere di smentire, altri come quelli che ha creato Modugno, in fondo, possiamo pure tenerceli.
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