Il caffè, con le pause che ci offre, è in grado di scandire il ritmo delle nostre giornate. Allo stesso modo i calendari segnano il tempo delle stagioni che passano, misurandole di mese in mese con le proprie immagini. Se n’era già resa conto una nota azienda di pneumatici che, negli anni ’60, aveva creato un calendario per il cui ruolo da protagonista era stato eletto il corpo femminile.
Anche Lavazza nei primi anni ’90 ha deciso di creare qualcosa di esclusivo e che potesse lasciare il segno. Un calendario aziendale, riservato ai propri dipendenti, esisteva già da parecchi anni; il nuovo oggetto, però, avrebbe dovuto essere qualcosa di estremamente ricercato, in grado di essere chiave di interpretazione della contemporaneità e insieme oggetto d’arte. L’idea di Lavazza, partorita insieme all’agenzia pubblicitaria Armando Testa – che fin dall’inizio, insieme all’omonimo fondatore, un torinese fuori dagli schemi e dalle prospettive estremamente internazionali, ha curato le campagne di comunicazione dell’azienda – è stata quella di confezionare un proprio calendario, oggetto in serie limitata e da collezione, che in breve tempo sarebbe diventato di culto. Anno dopo anno sarebbero stati coinvolti i migliori fotografi e fotoreporter internazionali, chiamati a raccontare nella massima libertà, attraverso il loro personale sguardo e la loro peculiare estetica non solo il mondo Lavazza, ma più in generale in mondo contemporaneo. Creare immagini di una bellezza senza tempo e, insieme, che potessero essere fortemente rappresentative dell’anno che avrebbero raccontato, figlie della propria epoca: sarebbe stata questa la sfida.
La prima edizione, lanciata sul finire del 1992 per l’anno successivo, si inseriva in un momento in cui Lavazza, insieme a Testa, aveva deciso in generale di reinterpretare il concetto di italianità legato al marchio in modo trasversale nelle diverse campagne: per quelle televisive erano stati scelti testimonial riconoscibili, popolari e di indiscusso talento artistico, come Luciano Pavarotti, Monica Vitti, Giorgio Forattini e Bud Spencer. Ci sarebbero volute inventiva e sensibilità per riattualizzare, anno dopo anno, l’immagine di Lavazza in un calendario. Per illustrare la prima edizione venne scelto Helmut Newton, fotografo dall’opera decisamente controversa, tra i più trasgressivi ed estremi che il mercato potesse offrire in quel periodo e in grado di rivoluzionare la fotografia di moda: conosciuto per lo spiccato erotismo delle sue immagini, provocatorio, ma comunque elegante, era da molti amato e da molti altri ritenuto eccessivo. Le sue fotografie, come nella tradizione dei calendari, mettevano al centro la donna; una donna la cui sensualità ricordava, in quelle foto in bianco e nero, la stessa sensualità del caffè. Una ragazza vestita di scuro, a un tavolino, con tacchi alti e volto imbronciato, guarda il fotografo e tiene in mano una tazzina di caffè. Un’altra donna, decisa e sofisticata, stretta in una pelliccia, rivolge all’artista, con nonchalance, una scollatura profondissima. La carica erotica di queste immagini era indiscutibile ed era la prima volta che il marchio piemontese, per alcuni versi ancora estremamente ancorato alla tradizionale, si avventurava in queste pieghe del mondo dell’arte, poi sostenuto con spirito di mecenatismo negli anni successivi. Nell’autunno del 1992 Giuseppe Lavazza, figlio di Emilio, nipote del fondatore e oggi vicepresidente dell’azienda, presentò, emozionato, gli scatti di Helmut Newton al resto della famiglia. Il padre Emilio, quando vide quelle fotografie, non fece una piega: deglutì e rimase in silenzio, come in segno di assenso. Ecco che Lavazza sceglieva con lungimiranza di affidarsi a un’intuizione nuova, potenzialmente rischiosa, ma che si sarebbe rivelata vincente.
Il lancio fu così ben accolto che l’anno successivo il calendario venne di nuovo affidato a Newton: il fotografo scattò ancora in Francia, a Montecarlo, una seconda serie di ritratti di donne in grado come il caffè di rappresentare l’oggetto del desiderio, ma insieme sicure di sé e capaci di qualsiasi cosa. L’erotismo era stavolta meno velato, più espressivo, leggero e ironico. Dalle donne estremamente sofisticate del primo calendario si passava a ragazze più semplici e spontanee, ma altrettanto dedicate alla passione del caffè. Per l’edizione del 1996 venne chiamato a interpretare il calendario un italiano, il siciliano Ferdinando Scianna: come protagonista, simbolo dell’italianità femminile e mediterranea, venne scelta Maria Grazia Cucinotta. Fotografie ancora in bianco e nero, tra le vie o gli interni di qualche piccolo paese del Sud, raccontavano una storia di passione, velata di malinconia e che sembrava alludere ad altri tempi, raccontati bene nel cinema degli anni Cinquanta e Sessanta i cui protagonisti erano tanto cari al marchio che per anni li scelse come testimonial.
Amore, passione e sensualità, in tinte bianco e nero, rimasero il fil rouge dei primi anni di calendario. Il nuovo millennio presentava però sfide inedite: imponeva di raccontare i rapporti umani e la presa di coscienza di come il mondo, nel corso di pochi decenni, fosse completamente cambiato. Lo sguardo andava spostato dalla bellezza del corpo femminile a temi urgenti, quotidiani, naturali, protagonisti di un profondo cambiamento, come quelli familiari. Argomenti così universali andavano però trattati con una leggerezza che potesse renderli comprensibili al pubblico, ma evitando l’eccessiva semplificazione. Per raccontare la varietà delle famiglie europee venne scelto Elliot Erwitt, fotografo dell’agenzia Magnum dal 1953, noto per il suo senso dell’ironia che gli permetteva di indagare senza filtri eppure con incredibile delicatezza le sfumature dell’animo umano.
Una ragazza incinta lavora dietro il bancone di un bar, sorridente e con il pancione bene in vista. Una coppia di uomini si guarda negli occhi e sorride, mentre entrambi sono intenti a farsi la barba di fronte allo specchio del bagno. Riuniti attorno al tavolo della cucina per la colazione, cinque figli vengono accuditi dal padre in grembiule, mentre la madre in carriera si prepara a uscire di casa per una giornata di lavoro. Portando gli esempi anche all’estremo, con un’estetica che ricorda consapevolmente lo stile pubblicitario, Erwitt ripercorre in dodici mesi lo spettro dei possibili rapporti familiari, con uno sguardo che trascende giudizi e pregiudizi, contemporaneo, trasversale. A fare da protagonista, in ogni fotografia, è ancora e sempre il caffè, che diventa nelle fotografie di Erwitt momento quotidiano, condiviso e rituale per tutti. L’anno successivo Lavazza indagava, attraverso lo sguardo di una coppia di fotoreporter dell’agenzia Magnum, Martine Franck e Richard Kalvar, i rapporti di amicizia imperniati su una varietà di interessi, ma sempre accomunati da una tazza di caffè.
Fino al 2001 i calendari hanno continuato a raccontare il mondo in bianco e nero, finché nel 2002 Lavazza non ha deciso di rischiare di nuovo e di continuare il proprio necessario rinnovamento: dalla morbida scala di grigi il calendario è passato così al colore deciso, acceso e saturo di David LaChapelle e alle sue immagini surreali, provocatorie e folli, perfettamente in linea con la propria fama di re della pop art contemporanea, ereditata da un Andy Wharol che per primo gli offrì un incarico fotografico e lo prese sotto la propria ala, dando una svolta alla sua carriera. La tazzina nelle immagini di LaChapelle diventa grande ed esagerata; il marchio Lavazza, tra rossi, blu e rosa shocking, è il vero e unico protagonista di una serie di scatti eccessivi e costruiti con la massima precisione.
Il colore violento, inserito in uno scenario ancora più visionario e cinematografico, tornava prepotentemente nel calendario del 2004, intitolato Mission to espresso e firmato da Thierry Le Gouès, che ambientava una storia a base di caffè nello spazio, in un viaggio intergalattico che ricorda l’immaginario pop e fantascientifico degli anni ’60 e ’70. Ma la vera rivoluzione, necessaria, segnava il calendario nel 2013, per i suoi primi vent’anni: niente più formato cartaceo, bensì una video installazione digitale, un Social calendar affidato all’artista italocanadese Marco Brambilla, che unendo i contributi postati dagli utenti sul sito di Lavazza ha creato un’opera di video-arte caleidoscopica e partecipata, per la prima volta non in serie limitata.
Sempre attenta alle avanguardie artistiche e ai temi più urgenti, Lavazza ha negli ultimi cinque anni utilizzato il proprio calendario per raccontare con impegno civile storie legate alla salvaguardia del Pianeta Terra, un argomento che non può più essere rimandato: The Earth Defenders, firmato da Steve McCurry, From Father to Son, di Joey L, e WE ARE what WE LIVE, di Danis Rouvre, hanno esplorato dal 2015 al 2017 il coraggio di donne e uomini che in Africa, in Centro e Sud America e in Asia difendono i propri progetti legati alla terra, al caffè e al cambiamento climatico, nel rispetto delle tecniche e delle tradizioni locali. Tre serie di ritratti estremamente patinati ma sinceri, sintetici ma suggestivi e pregni di un vissuto che vorrebbe aiutare il mondo occidentale ad aprire gli occhi.
Questo scopo è stato trainante anche nell’ultima edizione del calendario, titolato con una domanda diretta e volutamente provocatoria: 2030: What are you doing?. Il fotografo Platon e Lavazza, tornando al bianco e nero e adottando un’estetica essenziale, muove dai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dall’Onu e da conseguire entro l’anno 2030 per salvare il pianeta Terra: 17 sono così gli ambasciatori individuati per raccontare attraverso le loro iniziative concrete un cambiamento possibile, personaggi più o meno noti, da Carlo Pertini ad Andre Agassi, da Gunter Paoli ad Alexandra Cousteau, chef, sportivi, designer, studiosi ugualmente determinati nel rendere il pianeta un luogo migliore; 17 le storie che possano essere d’ispirazione, motore per spingere a preoccuparsi di un futuro che riguarda tutti, inevitabilmente.
Un calendario, appeso al muro o consultato sui propri schermi, può semplicemente aiutarci a tenere il conto del tempo che passa, con un’estetica più o meno accattivante. Oppure può essere ogni anno specchio del mondo in cui viviamo, raccontare qualcosa di noi stessi o una storia che ancora non conosciamo ma che ha a che fare con noi. Lavazza ha scelto la sfida più difficile.
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