Bud Spencer ha preso a pugni la storia del cinema italiano

Se si pensa a qualcosa di estremamente italiano, di sicuro tra le prime cose che vengono in mente ci sono la pizza, la pasta, oppure il caffè, il rito dell’espresso e tutta la cultura che ruota attorno a questa usanza. Di certo nessuno avrebbe pensato che nell’eredità della storia italiana del Novecento, accanto alle tazzine fumanti, ci sarebbero state anche le scazzottate nei saloon americani. Eppure il famoso spaghetti-western, il genere cinematografico che ha preso piede negli anni Sessanta e Settanta, è ormai parte integrante del nostro patrimonio culturale. Nonostante l’insolita provenienza e l’incompatibilità sia della forma che del contenuto di questo filone con la tradizione del nostro Paese, in Italia è stato comunque tanto influente – grazie al contributo di grandi registi come Sergio Leone – da diventare una delle più importanti diramazioni del cinema made in Italy.

Tra gli attori simbolo di questa corrente, Bud Spencer è forse uno dei più famosi: il connubio tra italianità e western con lui raggiunge l’apice, già a partire dal contrasto tra il nome d’arte che si era scelto l’attore e la sua provenienza. Da un lato la sua presenza scenica perfetta per questo genere così fisico, dall’altro la biografia di un italiano che di certo non ha mai fatto mistero delle sue radici. Motivo per cui, all’inizio degli anni Novanta, Lavazza sceglie questo attore come testimonial di una serie di campagne pubblicitarie volte a celebrare proprio l’essenza dell’essere italiani. Nello spot l’attore si trova in un contesto tipico per la sua immagine: intento a combattere – questa volta però in chiave orientale. La scazzottata si conclude con un caffè di conciliazione e una risata beffarda. La trama, seppur semplice e breve, ha in sé gli elementi costitutivi di questa personalità cinematografica ben delineata: ci sono le botte e ci sono le risate, c’è il sincretismo tra culture all’apparenza troppo distanti, ma che risultano sorprendentemente compatibili.

Di Bud Spencer, la mia generazione ha un ricordo nella programmazione pomeridiana di Rete4, all’ora in cui il western all’italiana dominava il palinsesto. Scoprire che si trattava di un nome d’arte e che in realtà la biografia di questo attore comprende moltissime altre esperienze oltre a quella della recitazione è una bella sorpresa per chi è solito associarlo solo a un certo tipo di cinema. Carlo Pedersoli, questo il suo nome all’anagrafe, infatti, non è solo il famoso gigante buono che partecipa con piacere a tutte le risse in cui viene coinvolto, ma è anche il protagonista di una storia personale decisamente interessante e peculiare.

Nato a Napoli nel 1929 e trasferito a Roma all’età di undici anni, Pedersoli dimostra subito una forte predisposizione per gli sport, in particolare quelli acquatici, una passione che gli sarà fondamentale per la costruzione della sua carriera da attore. Negli anni della sua adolescenza, prosegue e intensifica le sue attività: nuoto, pallanuoto, rugby. E non mancano i risultati, considerato che si aggiudica il record del primo italiano ad aver infranto la barriera del minuto netto nei cento metri in stile libero. Per motivi di lavorativi, però, la famiglia Pedersoli deve trasferirsi in Sud America, e Carlo si trova costretto ad abbandonare momentaneamente gli studi – era iscritto alla facoltà di Chimica – e la carriera sportiva. Tornato in Italia alla fine degli anni Quaranta, continua a praticare sport d’acqua a livello agonistico: viene tesserato dalla S.S. Lazio Nuoto, gioca a pallanuoto, gareggia con la Nazionale Italiana partecipando a campionati di livello sia europeo che mondiale – comprese le Olimpiadi di Helsinki nel 1952, di Melbourne nel 1956 e di Roma del 1960. Gli anni Cinquanta segnano la vita del giovane atleta napoletano all’insegna dei successi sportivi, fino a trasformarlo in un Maciste d’acqua, un fascio di muscoli per un metro e novanta. Ed è proprio grazie a questa sua forma fisica statuaria e mastodontica che comincia la carriera di attore, in parallelo con quella di nuotatore e pallanuotista.

Ancora prima di abbandonare la fortunata carriera sportiva, infatti, Pedersoli viene notato dal mondo della cinematografia per la sua stazza decisamente imponente. Debutta al cinema nel 1950 con Quel fantasma di mio marito e un anno dopo nel famoso peplum Quo vadis. Pedersoli è perfetto per interpretare la guardia dell’Impero Romano in un filone di film che puntava tutto sulle immagini statuarie, ben definite, accattivanti, proprio come era lui nel pieno della sua forma fisica. E poi ancora, recita con Alberto Sordi in una pellicola del 1955 di Mario Monicelli, Un eroe dei nostri tempi: si tratta di piccole parti che Pedersoli accetta pur di guadagnare qualcosa; non sembra essere davvero interessato al mondo del cinema, tanto da trasferirsi di nuovo in Sud America per lavorare alla costruzione della Panamericana.

Quando ritorna in Italia, all’inizio degli anni Sessanta, decide di continuare con la carriera da attore, senza sapere che di lì a breve qualcosa avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Sposa Maria Amato, figlia di un produttore cinematografico, Giuseppe Amato, senza nessun tipo di ambizione cinematografica: anzi, in quegli anni la sua carriera prende anche un’altra direzione, quella musicale, che continuerà in parallelo con le altre attività. Ma la vera svolta arriva nel 1967, quando Giuseppe Colizzi – il regista che darà in un certo senso “vita” al Bud Spencer che conosciamo oggi – lo nota e lo prende per un ruolo nel suo film Dio perdona… io no! Inizialmente la trattativa con il nuotatore non va nel migliore dei modi per divergenze economiche, oltre al fatto che il futuro Bud Spencer non parla inglese e non sa andare a cavallo, ma il regista si trova costretto a richiamarlo nonostante la paga troppo alta richiesta perché è letteralmente impossibile trovare un attore della sua stazza e della sua prestanza fisica. Il film non solo è fondamentale per la carriera di Carlo Pedersoli nel western italiano, ma è anche l’occasione in cui si ritrova per la prima volta a recitare con un attore che non aveva ancora deciso quale fosse il suo nome d’arte per il pubblico di quel genere di cinema. Si tratta di Mario Girotti, un veneziano di madre tedesca che qualche decennio dopo inforcherà bicicletta e abito sacro per interpretare il prete più famoso d’Italia.

Anche Mario Girotti, come Carlo Pedersoli, non può permettersi di rimanere incatenato a un banale nome “troppo italiano”: così adotta a sua volta un alter ego, il secondo elemento della storica coppia. Ecco Bud Spencer e Terence Hill, due nomi che a sentirli slegati l’uno dall’altro suonano sempre un po’ incompleti. Si inaugura così un sodalizio artistico che durerà oltre quarant’anni, tra scazzottate, pugni in testa con la mossa del “piccione”, fagioli e pistole caricate a salve. I due interpretano insieme ben diciotto film, collezionando un successo dopo l’altro e diventando presto volti di riferimento per il cinema comico di quegli anni. Il secondo film che girano come coppia, sempre diretti da Colizzi, è I quattro dell’Ave Maria, del 1968, seguito da La collina degli stivali, del 1969: come avveniva spesso per queste produzioni, i film venivano girati anche in Spagna, mischiando cast italiano e straniero. È un esperimento molto interessante questo di assemblare pezzi provenienti da più parti del mondo: nata come esigenza economica, diventa una caratteristica fondamentale, e anche molto peculiare, di questo genere di film.

I quattro dell’Ave Maria (1968)

La collina degli stivali (1969)

Il vero punto di svolta di Bud Spencer e del suo collega Girotti è un film del 1970, Lo chiamavano Trinità, diretto da E. B. Clucher (pseudonimo di Enzo Barboni), che ribalta il tono del classico western con una pellicola che ne parodizza i temi, diventando il caposaldo del genere che alcuni hanno definito “fagioli-western”.  La solida coppia Spencer-Hill, però, non si limita solo al genere western e nel 1972 si ritrova nuovamente a essere diretta da Giuseppe Colizzi in …più forte ragazzi!, un film in cui ci sono ancora schiaffi e pugni, per quanto non sia più ambientato in qualche saloon di fine Ottocento.

Lo chiamavano Trinità

È in questa occasione che Carlo Pedersoli dà prova di un’altra sua attitudine perfettamente in linea con la grande prestanza fisica da “gigante buono”: pilota un aereo senza nemmeno avere il brevetto ed esegue un atterraggio particolarmente pericoloso rimanendo incolume e lasciando tutti a bocca aperta. Sembra quel genere di aneddoto inventato per dare ancora più peso a un personaggio già di per sé pittoresco, ma il caso si trasforma in un’altra passione per Bud Spencer, che prende il brevetto da pilota sia di elicotteri che di aerei e accumula migliaia di ore di volo, anche durante la vecchiaia.

Negli anni Settanta e Ottanta, Pedersoli e Girotti tornano a lavorare insieme in diverse altre pellicole: da …altrimenti ci arrabbiamo di Marcello Fondato e Porgi l’altra guancia di Franco Rossi, entrambi del 1974. E ancora, sempre testando le loro capacità di duo comico anche al di fuori del genere che li aveva consacrati, girano I due superpiedi quasi piatti del 1977, Pari e dispari del 1978 e Io sto con gli ippopotami del 1979. Dopo altre quattro pellicole degli anni Ottanta, la coppia dalla scazzottata facile prende una pausa per dedicarsi a impegni individuali, ma tornano assieme di nuovo con Botte di Natale negli anni Novanta per un ultimo saluto al genere che li ha resi famosi in tutto il mondo.

…altrimenti ci arrabbiamo

Di Carlo Pedersoli, nonostante alcuni critici lo abbiano snobbato, senza dargli il giusto spazio che avrebbe meritato, non si può dire che non abbia avuto la capacità di imporre la sua grande – sia metaforicamente che letteralmente – personalità artistica. Non si trattava di un attore classico, uno di quelli che vengono dal teatro, dalle accademie, ma di un personaggio decisamente insolito per la sua biografia, che sembra a sua volta un film. Non è ben chiaro quale sia infatti il confine tra i personaggi che ha interpretato e le avventure che ha affrontato nella realtà, come non è ben definito il confine tra Carlo Pedersoli e il suo personaggio Bud Spencer. Non sempre è una carriera lineare a determinare il successo: anche la creatività dettata dalla necessità o dal puro caso possono portare una persona a diventare un simbolo di un’epoca e di uno spirito come quello italiano. E Bud Spencer ne è la prova.

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