La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, la stessa retribuzione che spetta al lavoratore. Questa frase non è lo slogan di un’organizzazione no-profit che si batte per i diritti delle donne, ma è la disposizione di apertura dell’articolo 37 della Costituzione italiana. Già nella seconda metà degli anni Quaranta il tema della parità di genere nei luoghi di lavoro aveva cominciato a farsi strada tra i membri dell’assemblea costituente. Nonostante i buoni propositi, le donne sono però ancora molto lontane da una condizione di uguaglianza effettiva rispetto ai loro colleghi uomini. La crisi generata dal Covid-19 ha avuto le ripercussioni più gravi sulle giovani madri con contratti di lavoro precari. Secondo le stime di Eurostat, inoltre, le donne in Europa subiscono un gender pay gap discriminatorio del 12% rispetto alle retribuzioni percepite da un dipendente uomo adibito alle stesse mansioni. L’effettiva inclusione delle donne nel mercato del lavoro deve quindi diventare un passaggio fondamentale per aumentare il livello di benessere dell’intera collettività. Lo stesso principio vale per tutte le minoranze e i soggetti meno rappresentati della nostra società, dai migranti alle minoranze religiose.
Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Harvard Business Review, gli enti e le organizzazioni che si aprono alla diversità, includendo persone senza distinzione di genere, età, etnia, confessione religiosa, orientamento sessuale o estrazione sociale, hanno una marcia in più per quanto riguarda la capacità di innovare e di migliorarsi. Includere e valorizzare le differenze sul luogo di lavoro deve quindi diventare la normalità in tutte le aziende, anche per i benefici economici che ne derivano. Per creare un ambiente genuinamente inclusivo è necessario costruire dei rapporti di fiducia con i collaboratori e le collaboratrici che devono sentirsi liberi di esprimersi con i colleghi e i responsabili. Il confronto deve essere aperto e costruttivo, con l’obiettivo di ascoltare punti di vista differenti prima di prendere una decisione. L’organizzazione del lavoro deve prevedere anche delle regole che scoraggino e puniscano la discriminazione di uno o più dipendenti. Abbiamo bisogno di una rivoluzione che metta al centro il rispetto della persona senza lasciare spazio ai troppi pregiudizi che, anche inconsciamente, sono radicati nella nostra vita quotidiana.
Come anticipato, le aziende più attente ai temi dell’inclusione e della diversità sono quelle che hanno maggiori possibilità di crescita economica. Secondo una ricerca condotta dal fornitore globale di dati e infrastrutture sui mercati finanziari Refinitiv, le organizzazioni impegnate ad assicurare un’effettiva parità di genere hanno risultati economici migliori dei concorrenti, con una volatilità inferiore rispetto ai risultati di bilancio e al valore dell’impresa nel tempo. Un’azienda che prende seriamente in considerazione gli aspetti sociali del proprio operato affronta mediamente meno rischi di perdite nel lungo periodo. Sono le stesse conclusioni a cui giunge l’agenzia dei media globale Thomson Reuters attraverso l’indice “Diversity & Inclusion”. In particolare, secondo questo documento di sintesi, le società più sensibili ai temi della diversità e dell’inclusione ottengono migliori risultati in borsa e nei mercati regolamentati. I titoli negoziati dagli operatori della finanza avranno un rendimento migliore rispetto ad aziende meno inclusive e non saranno soggetti a perdite maggiori rispetto alle azioni di società concorrenti.
In Italia va riconosciuto il persistere di un problema di rappresentanza femminile ai vertici delle aziende. Questo tema è stato affrontato già nel 2011 con l’adozione della cosiddetta Legge Golfo-Mosca, testo che prende il nome delle relatrici che hanno portato avanti la proposta di una percentuale minima di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate. In particolare, la legge si è posta l’obiettivo di raggiungere il 33% di donne ai vertici delle principali società italiane. Il 27 ottobre scorso è stata approvata dal Parlamento una proposta di legge che mira ad agevolare la parità salariale secondo cui le società pubbliche non quotate devono garantire almeno due posti su cinque al genere meno rappresentato nei rispettivi consigli di amministrazione. La volontà di rafforzare la rappresentanza femminile negli organi che gestiscono le società è stata rafforzata anche in ambito bancario e finanziario. Per quanto riguarda le società di investimento, almeno due amministratori su cinque devono essere donna. Si eleva dunque la percentuale prevista in generale per le imprese quotate, con un aumento dal 33% al 40%. Le banche per questo devono essere in grado di assicurare una composizione adeguatamente diversificata, anche in termini di genere. Complessivamente negli ultimi dieci anni si sono registrati dei progressi che, tuttavia, non sono sufficienti per superare la questione di genere presente strutturalmente nel nostro mercato del lavoro.
Secondo un’analisi condotta dalla Consob, le società quotate che hanno applicato le disposizioni della Legge Golfo-Mosca hanno comunque realizzato un aumento significativo delle donne nei rispettivi consigli di amministrazione. Nel 2011 si registrava una percentuale del 7% di donne negli organi di gestione delle società quotate, che nelle banche arrivava appena al 6%. Dopo dieci anni queste percentuali hanno raggiunto rispettivamente il 17% nelle banche e addirittura il 37% nelle società presenti a Piazza Affari. Questi numeri, però, nascondono dei problemi più profondi. La tipologia delle cariche ricoperte dalle donne, infatti, è spesso meno rilevante rispetto ai ruoli di maggior potere che rimangono saldamente nelle mani degli uomini. Concretamente, soltanto il 2% delle donne ricopre il ruolo di amministratore delegato di una società quotata mentre le CEO donne nelle banche sono appena l’1%. La nomina di una donna nel consiglio di amministrazione di una società è ancora inutile se non è accompagnata dai poteri necessari per gestire l’impresa. Questo ci dice che non è sufficiente rispettare i requisiti minimi fissati dalla legge per creare più inclusività, ma bisogna comprendere a fondo gli effetti positivi generati da un ambiente lavorativo dove si incontrano punti di vista diversi.
Non è un caso che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’effettiva emancipazione della donna nel mondo del lavoro siano obiettivi centrali dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile portata avanti dalle Nazioni Unite. L’agenda prevede complessivamente 17 obiettivi da realizzare per garantire un futuro più etico, equo e sostenibile alle prossime generazioni. La finanza etica, seguendo le indicazioni provenienti dall’Onu, supporta ogni giorno le organizzazioni che si impegnano in azioni concrete per valorizzare la diversity al loro interno. In particolare, le società che gestiscono il risparmio in maniera etica analizzano i dati di carattere non finanziario delle imprese, con particolare attenzione alle condizioni di lavoro delle donne e ai ruoli attribuiti all’interno della singola realtà aziendale. Finanziare imprese che affidano la gestione effettiva dell’organizzazione alle donne significa dare voce a una prospettiva diversa nell’intendere le relazioni, anche da un punto di vista economico. I fondi di Etica Sgr, per esempio, prima di investire passano le aziende al vaglio di un processo di selezione noto come ESG EticApproach. “Questa metodologia propone prima i criteri negativi di esclusione, che scartano emittenti coinvolti in attività controverse, poi criteri positivi di valutazione: solo gli emittenti migliori del proprio settore e aventi un profilo qualitativo e reputazionale buono, entrano a far parte del paniere dei fondi di Etica Sgr”, dichiara la società di gestione. Tra i criteri di selezione si trovano l’adozione di politiche su pari opportunità e diversità, politiche di rispetto e promozione dei diritti umani e di sostegno alla non discriminazione.
Creare maggiore inclusione significa anche supportare iniziative che consentono di fare impresa integrando nel tessuto economico i soggetti meno tutelati dalla comunità. Con gli utili di Etica Sgr, per esempio, è stato lanciato il bando “Che impresa per le donne”, che destinerà 25mila euro a fondo perduto a cinque aziende al femminile nei settori dell’industria, artigianato, agricoltura, commercio, arte, cultura, turismo e servizi. Da domani, sarà anche attivo il progetto “Mio il denaro mia la scelta”, focalizzato sull’educazione finanziaria femminile. Un’altra delle pratiche adottate dal Gruppo Banca Etica riguarda la possibilità di devolvere lo 0,1% dei propri investimenti a un fondo dedicato esclusivamente al sostegno di progetti di microfinanza e di iniziative di crowdfunding, con particolare attenzione alla sostenibilità degli investimenti. Grazie alle risorse destinate ogni anno a questo fondo, il Gruppo Banca Etica ha erogato 793 finanziamenti dal 2003 al 2020 con un importo – raccolto su base volontaria tra i clienti dei fondi di Etica Sgr – che solo nell’ultimo anno ha sfiorato i quattro milioni di euro. Realtà a forte vocazione sociale come Madreterra a Palermo, l’Officina dei Talenti a Napoli o l’Atelier cooperativa sociale a Firenze sono soltanto alcune delle testimonianze dei benefici concreti che la microfinanza può generare per le comunità e le persone che ne fanno parte.
Tutti noi abbiamo il dovere di fare la nostra parte per eliminare gli ostacoli sia di ordine economico sia di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo di ogni individuo e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori alla vita democratica del Paese. È un dovere previsto dallo stesso articolo 3 della nostra Costituzione. Ci sono diverse strade per contribuire alla creazione di una società più inclusiva. Possiamo decidere di affidare i nostri risparmi a professionisti che investono in organizzazioni veramente egualitarie sulle questioni di genere. Abbiamo anche la possibilità di finanziare piccole realtà imprenditoriali che cercano di includere soggetti svantaggiati, anche attraverso campagne di crowdfunding e donazioni. Il cambiamento nell’organizzazione del lavoro dipende da noi, e gli operatori della finanza etica sono validi alleati su cui contare per migliorare il mondo in cui viviamo. L’unione delle nostre risorse può fare veramente la differenza.
Questo articolo nasce in collaborazione con Gruppo Banca Etica, banca popolare costituita in forma di società cooperativa per azioni che opera in Italia e in Spagna, nel rispetto delle finalità di cooperazione e solidarietà. Impegnata su temi come cambiamento climatico, mobilità sostenibile, accoglienza, inclusione e molti altri, il Gruppo Banca Etica si impegna a misurare in modo accurato e credibile gli impatti delle attività finanziarie sull’ambiente, la società e la vita delle persone con metodologie proprietarie innovative, per permettere a tutte le persone e organizzazioni socie e clienti, e a chi desidera diventarlo, di scegliere consapevolmente gli intermediari finanziari cui affidare i propri risparmi e investimenti.
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