I fatti di ieri sera mi hanno ricordato molto l’amaro risveglio post Brexit. Quel giorno, nonostante le debolezze evidenti dell’Unione europea e della classe dirigente britannica, fu sconvolgente vedere come chi era rimasto al potere per così tanti anni, presentandosi più volte come unica alternativa in grado di guidare il Paese, fosse riuscito ad auto sabotarsi in modo così efficace.
Nel caso italiano, l’aspetto più incredibile è stato l’aiuto fornito alla Lega dai centristi già dopo il loro naufragio elettorale. Certo, il contratto di coalizione era un disastro, soprattutto per gli elettori che hanno votato M5S. La flat tax (anche con due aliquote) oltre a costituire un regalo per le classi più abbienti, avrebbe provocato un enorme calo nel gettito fiscale ai danni di servizi pubblici già in difficoltà. Il partito più votato nel Mezzogiorno non ha avanzato la minima proposta per il Sud, mentre la moltiplicazione dei centri di detenzione sarebbe stata accompagnata dalla nomina del ministro dell’Interno più autoritario della storia della Repubblica.
Anziché sfruttare le contraddizioni tra M5S e Lega, o insistere sulla natura anti-popolare delle loro politiche economiche, sia il centrosinistra che gran parte della stampa italiana e internazionale hanno voluto vedere solo la sfida che il possibile nuovo governo avrebbe posto alle regole europee. Una condanna che è rimasta inflessibile persino quando Di Maio ha provato a smorzare i toni radicali e anti-establishment per mantenere un volto presentabile. Il partito delle istituzioni è così riuscito a sopravvivere grazie a un’opposizione ferma, ma priva di una bussola, oltre che poco lungimirante.
Questa intransigenza ha aiutato i due partiti di maggioranza a nascondere lo scarso contenuto delle rispettive politiche europee. Il M5S rimane tutto fuorché coerente, con i suoi continui cambi di posizione, mentre la Lega cerca di raccogliere consensi sfruttando il risentimento anti-Bruxelles, senza però definire alcun piano concreto per l’eventualità di un’Italexit. In questo senso, tipico dell’atteggiamento di entrambi i partiti è stata la vaga ipotesi iniziale di cancellare parte del debito pubblico italiano alla Bce – proposta condannata con forza dal neo incaricato Carlo Cottarelli e abbandonata poi nel documento finale.
In uno scenario simile, l’opposizione di Mattarella a Savona ha creato l’alibi perfetto per Salvini. Vero, la Costituzione italiana dispone l’obbedienza alle regole europee sul deficit, ma il documento scritto dai costituenti non venne certo inteso come un patto suicida. Non ha molto senso insistere sul fatto che alla Bce l’Italia – anzi, il governatore della Banca d’Italia – ha un voto che pesa quanto quello della Germania, se partiamo dall’assunto che l’architettura dell’Eurozona sia ferma e inflessibile, anche quando un Paese non è in grado di pagare il proprio debito.
Se si pensa davvero che, rifiutando Savona, il Presidente abbia difeso la Costituzione e l’Europa, il passo successivo è chiedersi quali siano le possibili conseguenze del suo comportamento. Non è una sorpresa che Salvini abbia sfruttato tutto questo per insistere sulla natura antidemocratica delle istituzioni europee; ma se Salvini sperava nel collasso, nel conseguente caos e in un ritorno al voto, perché mai fare il suo gioco, trasformando l’ex-ministro dell’industria di Ciampi un martire anti-sistema? Sin dal 4 marzo il leader della Lega ha accumulato vittorie, rendendo il Caroccio non solo il partito più importante del centrodestra, ma anche la forza egemonica delle trattative sul nuovo governo, riducendo Silvio Berlusconi a una posizione passiva e imponendo la propria politica sul M5S, dall’economia all’immigrazione. La rivolta anti-sistema dei pentastellati non ha fatto che creare il vuoto, oggi riempito dall’azione politica della Lega.
La Lega ha il vento in poppa, sotto ogni punto di vista. Dopo le conquiste in Molise e in Val D’Aosta, si avvicina oggi a un 25% di popolarità. È la Lega, non il M5S, la vera forza dinamica del momento, in grado di capitalizzare la sfiducia crescente nei confronti dell’establishment politico. Secondo il sondaggio Eurobarometer del 25 maggio, l’Italia è diventata il Paese più euroscettico dopo la Repubblica Ceca e la Croazia: solo il 39% degli abitanti della penisola è a favore dell’appartenenza all’Unione europea. Anche per questo motivo, la crisi degli ultimi giorni non è imputabile alla sola azione del Presidente della Repubblica. La destra gode del compiacimento dei divoratori di popcorn, che hanno preferito condannare l’irresponsabilità dei vincitori delle elezioni invece di andare incontro ai loro elettori (i disoccupati, gli operai che hanno smesso di votare Pd, solo per fare alcuni esempi) o di riflettere sui motivi della sconfitta.
Bisognerebbe anche capire quanto sia opportuno, da parte di chi si proclama la voce dell’internazionalismo europeista, parlare dei “nuovi barbari alle porte di Roma”, come li ha dipinti il Financial Times, o definire gli italiani “scrocconi aggressivi” decisi a “fare dell’evasione fiscale uno sport nazionale”, come ha fatto Der Spiegel. La stampa progressista che vorrebbe combattere le calunnie e le fake news ha la sua parte di responsabilità, per esempio con la gigantesca fake news di marzo 2018 che descriveva le code ai Caf per il reddito di cittadinanza. Una chiara espressione della mentalità delle élite sotto assedio, proprio come la dichiarazione del sindaco Pd di Pesaro, secondo cui il voto M5S esprimeva l’“invidia sociale”. Anziché dimostrare i limiti della proposta M5S, o insistere sul carattere antipopolare della flat tax, il Pd ha preferito prendere le distanze dalla componente operaia del proprio elettorato.
In questo senso, i risultati del voto del 4 marzo e la crisi di questi giorni hanno radici più profonde. Da anni ascoltiamo gli stessi ritornelli: i giovani sono troppo “choosy”, meglio non averli tra i piedi; “che noia il posto fisso”. L’esplicito risentimento per chi non arriva a fine mese (forse chi guadagna 5 euro all’ora ha uno stile di vita troppo esoso) non fa che rinforzare quei partiti che almeno rivendicano il diritto di parlare per gli esclusi e i dimenticati, invece di limitarsi a dire che non c’è niente da fare. Il centrosinistra li ha consegnati al M5S, e ora anche alla Lega.
Oggi il centro progressista non può che appellarsi al potere stesso, sostenendo che le leggi non devono essere messe in dubbio. Da coup de grâce il Presidente della Repubblica ha oggi incaricato alla guida del governo Carlo Cottarelli, una figura tutt’altro che neutrale, ma che perlomeno ritarderà di qualche mese l’ascesa dei “barbari”. Il problema è che ritorneranno, sempre più forti, sempre più radicali, per assediare un centro sempre più indifeso.