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Io non dico che ce lo meritassimo “il secondo tragico Trump”, ma continuo a non capire lo stupore dell’opinione pubblica di fronte alle sue azioni. Come se non avesse già in passato scosso gli equilibri mondiali – anche a casa sua, aizzando un tentativo di colpo di Stato. Eppure sembrano tutti impreparati, compresa un’Europa a tratti asservita, un po’ confusa, di certo poco concreta con i suoi summit velleitari. E se arriva persino Mario Draghi a strigliare tutti i leader del continente significa che una scossa è necessaria per evitare ciò che non è più imponderabile, ma un concretissimo dominio dei prepotenti del mondo. Basti pensare a come stanno venendo gestiti i due casi più spinosi a livello globale, ovvero la guerra in Ucraina e il conflitto Israele-Palestina. Arrivato Trump, le sue proposte – anzi, possiamo pure chiamarli diktat – sono stati chiari: gli americani a controllare Gaza e a renderla “la nuova Costa Azzurra”, cacciando i palestinesi dalla propria terra, e in Ucraina la rivendicazione statunitense delle terre rare, la minaccia di un’Ucraina un giorno russa e i trattati di pace trasformati in trattati di resa, coinvolgendo solo il Cremlino e lasciando all’Europa gli oneri della messa in sicurezza e della ricostruzione dell’Ucraina. D’altronde il destino europeo sembra studiato a tavolino a Washington, come spiega Steve Bannon, ideologo di tutta la cultura sovranista da Trump a Meloni, da Orbán a Salvini: “Con il movimento MAGA prenderemo Berlino e poi tutta l’Europa”.
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In realtà gliela stiamo concedendo con il servilismo di parecchi nostri leader. Meloni ormai nemmeno si sforza più di non sembrare lo scendiletto della Casa Bianca. All’incontro di Parigi dei capi di Stato dell’Unione Europea per discutere dell’Ucraina, la nostra premier ha dichiarato di essere contraria a un “formato anti-Trump, perché gli Stati Uniti lavorano per giungere a una pace e noi dobbiamo fare la nostra parte”. Ecco, peccato che “la nostra parte” non sia prevista dagli Stati Uniti, se non nel ruolo di zerbini esclusi dai tavoli di pace e utili solo per raccattare le briciole della spartizione USA-Russia. I contatti tra Casa Bianca e Cremlino hanno portato a un rovesciamento repentino dei progetti iniziali, quando Trump sembrava persino amichevole con Zelensky. Ieri è crollata la maschera, con il tycoon a definire il leader ucraino “un comico mediocre e un dittatore senza elezioni”. Si è quindi lamentato per i miliardi spesi dagli USA per sostenere Kiev, ha rimproverato l’Europa per non essere riuscita a portare la pace e ha rimarcato che le negoziazioni le sta portando avanti con la Russia. Ovvero con lo stesso Putin che nel 2016 gli ha spalancato le porte per la prima vittoria elettorale con interferenze russe certificate persino dal Senato americano. Lo scenario più probabile è dunque l’Ucraina abbandonata a se stessa e costretta ad arrendersi cedendo diversi suoi territori alla Russia, con l’Europa isolata e bullizzata da ovest e da est.
Sembra che Trump abbia una passione smodata per i criminali di guerra con tanto di mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale, ovvero Putin e Netanyahu. Come risposta gli USA hanno sanzionato la CPI, con i suoi lacchè europei (tra cui Salvini) a seguirlo a ruota sminuendo il ruolo della Corte e chiedendone un depauperamento. Come per l’Ucraina, anche per Gaza Trump ha seguito lo stesso iter: negoziare solo con una delle parti – Israele – trattando il popolo vessato con spocchia, indifferenza e il cinismo degli arroganti. La proposta di cacciare i palestinesi da Gaza per creare il suo parco-giochi del Medioriente è la sconfitta di un mondo consegnato al potere delle armi e dei dollari, del neofascismo capitalista e del sovranismo. Il progetto di Trump non è altro che una pulizia etnica, non si riescono a trovare altri termini che possano descrivere la volontà di mandare via un popolo dalla propria terra dopo decine di migliaia di morti e abitazioni distrutte.
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Oltre alla prepotenza c’è la post-verità, e ormai è svanito il senso del pudore, si può fare qualsiasi dichiarazione anche se surreale, disumana o semplicemente falsa. Come quando Trump ha dichiarato che “l’Ucraina non avrebbe mai dovuto iniziare la guerra”. A questo punto vale tutto, e se domani se la prendesse con i polacchi per essere stati invasi dai nazisti (e dai sovietici) nel 1939, dicendo che la Polonia non doveva iniziare la guerra, non mi stupirei nemmeno più di tanto. È il mondo al contrario, una menzogna inculcata vale più di una verità scomoda, e dal revisionismo storico siamo arrivati a ridisegnare persino il presente. Non abbiamo scudi contro questa follia egotica, se l’Europa brulica di politici e partiti pronti a distruggere il continente dall’interno per obbedire all’agenda americana – così come avevano fatto il decennio scorso con l’agenda putiniana. Dunque Matteo Salvini ha detto che Donald Trump meriterebbe il Premio Nobel per la Pace. Quella che a prima vista potrebbe sembrare una congrega di cretini, in realtà è perfettamente aderente all’andazzo che sta prendendo il mondo. E non è una bella notizia.
In questi giorni due italiani hanno alzato gli scudi cercando di riportare all’ordine, o almeno alla lucidità, un Paese e un continente sventrati dalle interferenze esterne. Il presidente Sergio Mattarella ha chiesto alla Russia di rispettare i trattati internazionali e la sovranità dei popoli, ricordando la nascita di totalitarismi del passato, tra l’altro nati per la cecità dell’appeasement degli altri popoli. La risposta del Cremlino non si è fatta attendere, con i vergognosi attacchi di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, che tra l’altro ha minacciato l’Italia dicendo che le parole di Mattarella non resteranno senza conseguenze. Le prime ci sono già state, con hacker filorussi che hanno mandato in tilt siti web italiani di massima importanza, come quelli di diversi aeroporti, porti e istituti bancari. Va ammesso che Meloni ha prontamente difeso Mattarella, mentre Salvini si è chiuso in un ambiguo silenzio e la galassia grillina filorussa, quella capeggiata da Travaglio e compagni, si è schierata apertamente contro il nostro presidente della Repubblica. Lo stesso Travaglio che il giorno prima dell’invasione russa in Ucraina parlava di fake news americane sull’invasione ripetendo a pappagallo le parole di Lavrov.
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Il secondo italiano a cercare di risvegliare le coscienze è stato Mario Draghi, che all’Europarlamento ha tenuto uno dei discorsi più severi e autocritici degli ultimi anni, dichiarando che l’Europa rischia di rimanere isolata. “Non siamo in grado di mantenere i valori fondamentali dell’Ue”, ha proseguito Draghi, fino alla supplica con quel “Fate qualcosa” che suona come un ultimo allarme, soprattutto se pronunciato dall’uomo del “whatever it takes”. Anche questo discorso verte sulla necessità di agire “a ogni costo”, con Draghi a chiedere di emettere titoli di debito sovranazionali per fronteggiare i dazi di Trump e gli attacchi esterni che l’Europa sta subendo. Anche interni, viste le mire espansionistiche di Musk e la nascita del gruppo MEGA, e dunque Draghi ha parlato della necessità di “agire come se fossimo un unico Stato”. Per non essere relegati a un ruolo secondario, se non irrilevante, non possiamo più presentarci come una comunità frammentata in cui ognuno pensa per sé senza un progetto comune. Altrimenti crolliamo politicamente, economicamente e a livello di immagine, con una credibilità smantellata dai nazionalismi e dalle sirene americane o russe. In poche parole: senza gli Stati Uniti d’Europa siamo destinati a non contare nulla.
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Ci siamo chinati alla legge del più forte, che spesso coincide con quella del più ricco o del più spietato. Siamo arrivati ad accettare negoziati che escludono i popoli sottomessi, intrusioni esterne che deteriorano la sovranità dei singoli Stati, adescamenti di multimiliardari che assoldano partiti per indebolire una comunità. E non reagiamo, soggiogati dall’inverosimiglianza di una politica a metà tra Risiko e Black Mirror. Stiamo, di nuovo, accettando l’orrore e la violenza, complici omertosi della spartizione delle terre sulle spalle dei più deboli. L’appeasement del terzo millennio consiste nel legittimare i processi antidemocratici che premiano criminali di guerra e oligarchie politiche ed economiche. La resa su Kiev e Gaza porterebbe l’Europa alla disgregazione innanzitutto ideologica, identitaria, per poi subire quella pratica delle conseguenze geopolitiche. La destra si è riempita la bocca per anni con la parola “patriottismo”. Termine che personalmente detesto e che è foriero di guerre e prevaricazioni. Ma se proprio vogliamo attribuire al termine un’accezione vagamente positiva, non possiamo che considerare dei traditori della Patria quei soggetti che avallano i piani di Trump, di Putin o di Netanyahu, perché indeboliscono la nostra nazione e il ruolo dell’Europa nello scacchiere politico mondiale. E allora i nemici li abbiamo anche in casa, non sono soltanto i criminali stranieri. La complicità del male, d’altronde, non è il male stesso?
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