Dopo la Prima Repubblica, in Italia nessuna forza politica è riuscita a riconfermarsi alla successiva tornata elettorale. Per capire l’anomalia, nello stato lasso temporale – più di trent’anni – negli Stati Uniti tutti i presidenti hanno vinto due elezioni di fila tranne Donald Trump nel 2020. In Italia, invece, la parabola è sempre stata la stessa in base alla fazione politica: se il centrosinistra si è perennemente sfaldato da solo tra scissioni, mugugni interni, tradimenti e scelte kamikaze, a destra ogni luna di miele con gli italiani, già dai tempi di Berlusconi, si è sempre esaurita per un paradigma ormai più che radicato: la bugia. Tanto utile durante le campagne elettorali, arriva poi l’effetto rinculo quando le promesse non vengono mantenute, con i cittadini inferociti in quanto traditi, manipolati, trattati come carne elettorale.
C’è un velo di tristezza nel constatare come lo scollamento tra elettori e rappresentanti di destra non arrivi mai per temi etici, morali, civili o persino giudiziari. Evidentemente al cittadino interessa poco se a una donna viene ostacolata la procedura d’aborto, se membri del governo rimarcano la loro aderenza neofascista, se la televisione pubblica diventa l’Istituto Luce o se vengono usati metodi da Ungheria per reprimere il dissenso. Quando però tocca pagare di più la benzina o ci sono altri aumenti che possano modificare la vita quotidiana sgonfiando ulteriormente il portafoglio, non c’è ideologia che tenga. Da un lato è anche comprensibile: come per istinto di sopravvivenza bisogna portare il pane a casa e vale per tutti. Dall’altro si accettano storture politiche e nostalgie varie acuendo il crollo verticale del valore della classe dirigente, in atto ormai da decenni. Quindi i nostalgici al potere vengono accettati, ma solo se non mettono le mani nel portafoglio. D’altronde per gli stessi esponenti di destra vale lo stesso, è una normalità sdoganata: nessun politico querela se viene etichettato come fascista – anche perché con un passato nell’MSI e con i busti del Duce a casa riceverebbe i sorrisi di scherno da un giudice – ma lo fa se viene chiamato “coglione”.
Dunque, nel governo del meglio-fascista-che-coglione, ora bisogna fare i conti con la realtà, e per Giorgia Meloni significa principalmente accorgersi di non essere più all’opposizione. Un ritardo significativo per la realizzazione, ma è stata questa la settimana in cui le crepe sono diventate voragini e gli elettori di destra – o forse dovremmo chiamarli i turisti delle urne, cioè quelli che a ogni tornata votano un partito diverso “provandoli tutti” – non si sono fatti scrupoli a farglielo notare, inondando i suoi profili social di critiche e insulti. Tutto è nato quando Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia ed eminenza grigia della Lega, ha chiesto “sacrifici” agli italiani. A parecchi sono venuti i flashback del “lacrime e sangue” di montiana memoria. Il governo si è subito prodigato a minimizzare quelle dichiarazioni, con Meloni che ha persino postato un video sui social tentando di tranquillizzare il suo popolo già pronto con i forconi in mano. Niente tasse e niente aumenti, secondo la premier. Qui la bugia è facilmente smascherabile visto che, come fatto notare anche dalle opposizioni, è stato scritto tutto nero su bianco nel Piano strutturale di bilancio. A partire dalle accise su gasolio e benzina, tema che Salvini e Meloni dovrebbero ricordare bene.
Un’accisa non è altro che un’imposta sulla fabbricazione e vendita dei beni di consumo. Durante i loro fasti all’opposizione – tempi facili e felici, eh? – avevano promesso entrambi, con tanto di video roboanti, non solo di diminuirle, ma proprio di eliminarle. Promessa irrealizzabile, perché non si gestiscono le casse dello Stato con i soldi del Monopoly, ma a quanto pare il loro elettorato c’ha creduto. Il Piano strutturale di bilancio usa un ghirigoro linguistico per non parlare di aumento: “riallineamento”. Per farla breve: al momento il costo dell’accisa sul gasolio è 0,617 centesimi al litro, mentre per la benzina è 0,728 centesimi. Il riallineamento prevede una riduzione sulla benzina e un aumento sul gasolio, quindi sul diesel. Questo comporterebbe un danno economico immenso, essendo coinvolti i camion, e con gli autotrasporti penalizzati aumenterebbe anche il prezzo del prodotto una volta giunto sugli scaffali, colpendo quindi i consumatori. Il piano di governo prevede di escludere dall’aumento i camion Euro 5 ed Euro 6 sopra le 7,5 tonnellate, ma come spiegato dall’associazione Assotir, i veicoli più piccoli e più vecchi che non rientrano nell’esenzione rappresentano la metà del parco veicolare nazionale, quindi la ricaduta sui prezzi e sui consumi sarebbe comunque enorme. Meloni, chiaramente, nel suo video propagandistico non ne ha parlato, e non potevamo aspettarci altrimenti da chi sta governando tra bugie e omissioni e non si prende neanche la responsabilità di spiegare ai cittadini i motivi di un aumento.
Motivi che la destra, in caso, spiegherebbe con il suo politichese, parlando di un “riassestamento della fiscalità statale su base di impellenti riordini propedeutici al plateau amministrativo che al mercato mio padre comprò”. Fuori dalle supercazzole e usando termini più diretti, la realtà è che l’Italia è con le pezze al culo. E non è una frase fatta, visto che l’Istat ha ufficialmente rivisto la stima del Pil del 2024 abbassandola allo 0,8%. Possono sembrare decimali di poco conto, ma si traducono in parecchi miliardi di euro in meno nelle casse dello Stato. Per riordinare i conti non basta alzare le accise sul gasolio, e dunque il governo ha progettato un altro aumento senza definirlo tale: l’aggiornamento delle rendite catastali. In sostanza è la vendetta di Giorgetti contro il Superbonus, visto che i lavori per i miglioramenti energetici o antisismici, con un conseguente incremento del valore degli immobili, comporteranno un “cambio di classe” degli alloggi che hanno usufruito del Superbonus. Se per le prime case il rischio di pagamenti in più è soltanto indiretto, per esempio attraverso l’Isee, per le seconde case l’aumento dell’Imu può arrivare fino al 38%. Parlare di rendite catastali invece di tasse forse può suonare meno minaccioso, ma le conseguenze sono le stesse e gli italiani non sono stupidi.
Accorgendosi di questi “sacrifici richiesti” e della pavidità di Meloni nell’ammetterli, scorrendo tra i commenti sui social della premier si nota come i toni siano cambiati. Niente più “Giorgia”, niente più bandiere italiane e slogan di giubilo: la gente chiede spiegazioni. Non le avrà. A meno che non ci sia un coup de théâtre del governo, ovvero il ripensamento e l’annullamento dell’aumento delle accise e delle rendite catastali. Questo, paradossalmente, sarebbe uno scenario ancora più inquietante, perché con i dati eloquenti dell’Istat sul Pil vorrebbe significare prendere i soldi da altre parti o accumulare ulteriori debiti che pagheremo a prezzo ancora più alto in futuro. Sarebbe un’omissione di soccorso, con l’Italia a essere la paziente bisognosa di cure (e di entrate) e lasciata allo sbaraglio. Un po’ come quando, durante la crisi economica dell’ultimo governo Berlusconi, per mesi si fece finta di niente parlando di “ristoranti pieni”, per poi ritrovarsi a un passo dal default e con l’esecutivo costretto ad abdicare. Arrivarono i tecnici a mettere le pezze sui buchi lasciati dalla destra, il periodo dell’austerità e del grigiore della politica tecnocratica. Come con Draghi qualche anno dopo, chiamato d’urgenza per sopperire all’incapacità della classe dirigente. Io non so come finirà questa vicenda, ovvero se Meloni continuerà a mentire sugli aumenti, se li annullerà o altro. Posso immaginare però che in qualche stanzino del Quirinale c’è un telefono polveroso, e forse qualche mano è pronta a digitare un numero. Che sia quello del Cottarelli di turno o di qualche altro tecnico non è dato sapersi, ma il governo deve decidere se diventare maturo e spiegare agli italiani i reali problemi del Paese o continuare a mentire ai cittadini facendo finta che tutto vada bene. Conoscendo l’excursus storico dei personaggi in questione, è probabile che le menzogne della destra possano continuare a inquinare il dibattito pubblico, impoverendo un Paese già rattoppato da cima a piedi.