Il ddl Zan è stato definitivamente affossato dal Senato. Il disegno di legge contro l’omolesbobitransfobia, misoginia e abilismo approvato alla Camera il 4 novembre scorso ha terminato la sua corsa con un voto sulla “tagliola”, una procedura in base alla quale i senatori possono chiedere di non procedere con l’esame degli articoli di un ddl, facendo ricominciare l’iter da capo. La “tagliola”, proposta dal capogruppo della Lega Massimiliano Romeo e da quello di Fratelli d’Italia Luca Ciriani, è stata approvata con 154 voti favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti. Come aveva già detto all’Aria che tira Alessandro Zan, autore del testo, il passaggio della “tagliola” segna la morte della legge: il regolamento del Senato prevede che a questo punto il ddl non possa essere più messo in calendario per sei mesi, e quindi non ha speranze di essere votato di nuovo prima della fine della legislatura.
Non stupisce che il ddl abbia avuto questo destino: sin dall’inizio del suo iter parlamentare è stato fortemente osteggiato dalla destra, che aveva presentato più di 800 emendamenti alla Camera e insistito per inserire la cosiddetta “clausola salva idee”, che escludeva dalle condotte sanzionate dalla legge quelle “riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”. Dopo essere stato fermo per mesi alla commissione Giustizia del Senato, bloccato dal suo presidente in quota leghista Andrea Ostellari, è stata la volta delle audizioni dai contenuti assurdi, con affermazioni del calibro “lo stile di vita omosessuale è incompatibile con lo sviluppo sostenibile” o “anche la pedofilia è un orientamento sessuale”. Lega e FdI avevano quindi tentato senza esito la via delle pregiudiziali di costituzionalità, con l’idea che il ddl fosse contrario alla Costituzione. Oltre all’opposizione della destra più clericale, omofoba e conservatrice, la legge è stata osteggiata anche da Italia Viva, che ne ha chiesto più volte la modifica, in particolare per quanto riguarda il riferimento all’identità di genere e l’istituzione dei programmi educativi nelle scuole.
Il ddl arrivava quindi alla votazione dopo un percorso a ostacoli lungo e complesso, fatto di mediazione al ribasso e di giochi politici sulla pelle di chi aspetta questa legge da almeno 25 anni. Tre cose di questa votazione risultano particolarmente incresciose. La prima sono gli applausi e le esultanze della destra alla lettura del voto sulla “tagliola”: i senatori si rallegrano del fatto che l’Italia resti uno dei tre Paesi in Unione europea a non avere alcuna legge contro l’omofobia, insieme a Repubblica Ceca e Polonia, o che solo il 22% dei diritti della comunità LGBTQ+ sia rispettato nel nostro Paese, ponendoci al 35esimo posto in Europa, con livelli di protezione inferiori a quelli dell’Ungheria. Vedere gli applausi di chi poche ore prima affermava che “la teoria gender esiste” e l’ha inventata Judith Butler o sosteneva di essere stato a sua volta discriminato non perché omosessuale, ma perché di destra dimostra tutta l’inadeguatezza di una classe politica lontana anni luce dalle piazze, dalle istanze femministe o LGBTQ+ ma anche più semplicemente dalla gente comune, che dai sondaggi era favorevole al provvedimento.
Il secondo fatto, molto contestato in queste ore da chi sperava nell’approvazione, è il voto segreto. Come ha ricordato lo stesso Zan, non è frequente che si conceda la segretezza per una votazione procedurale come quella sulla “tagliola”: in fondo, è una preferenza che non entra nel merito dei contenuti, ma solo delle regole. Così oggi è difficile imputare le responsabilità politiche di chi ha votato contro il provvedimento nel centrosinistra. Che Lega e Fratelli d’Italia votassero contro era certo. Qualcuno si era illuso che le quote più liberali di Forza Italia potessero dare man forte al testo, ma a parte Elio Vito, che rinuncerà ai suoi incarichi nel partito per protesta, e Barbara Masini, che a luglio fece coming out in aula esprimendo il suo favore nei confronti del ddl, la destra ha preferito continuare a fare la destra. Anche Anna Maria Bernini, diventata una specie di icona inconsapevole LGBTQ+, ha riservato parole dure contro il ddl Zan, votando a favore della “tagliola”. Ma i colpevoli dell’affossamento sono da ricercare nel centrosinistra: dopo aver insistito per inserire delle modifiche nel testo e averlo approvato applaudendo alla Camera, il capogruppo di Italia Viva al Senato Davide Faraone aveva infatti chiesto di modificare ulteriormente il ddl, anche nell’articolo 1 che lo stesso partito aveva voluto cambiare. La segretezza del voto non permetterà però di accertare quelle che sono solo ipotesi. Al centrosinistra mancavano infatti 16 voti e ora Partito democratico e Italia Viva si accusano a vicenda. Che nel Pd ci siano voci dissidenti non è un mistero, ma la scelta del partito di Renzi di votare contro il ddl sarebbe perfettamente coerente con il comportamento tenuto finora.
Proprio Renzi, quello che diceva di volersi impegnare per avere una buona legge, oggi non era al Senato a difendere le sue posizioni, ma in volo verso l’Arabia Saudita. L’ex presidente del Consiglio doveva infatti intervenire a un evento della fondazione del principe ereditario Mohammed bin Salman. Dopo essersi presentato come il fautore del partito più femminista della storia d’Italia e come paladino dei diritti LGBTQ+ per la legge sulle unioni civili – per la cui approvazione, nelle sue parole, dovremmo ringraziare la sua intuizione di rimuovere la stepchild adoption dopo aver parlato con l’immancabile amico gay –, nel giorno dell’approvazione di una legge così importante portava i suoi omaggi in un Paese che a omosessuali e lesbiche riserva la pena di morte e in cui le donne devono avere un tutore legale per uscire di casa. D’altronde, l’ultima volta che Renzi visitò quello che elogia come la culla di un nuovo rinascimento, l’Italia si trovava in una crisi di governo da lui stesso scatenata. Deve essere un’abitudine.
Questa votazione mette in luce tutta l’inadeguatezza di una classe politica che non ci meritiamo: una classe politica che esulta per aver bloccato una legge che avrebbe contribuito a fermare aggressioni e insulti omofobi e che lo fa senza assumersi alcuna responsabilità individuale per le proprie posizioni e le conseguenze che ne derivano. La giornata di oggi non è una sconfitta solo per la comunità LGBTQ+, le donne e le persone con disabilità di questo Paese, ma per un Paese intero, che merita di essere governato non tanto dai migliori, ma almeno da chi non esulta per la gioia mentre calpesta i diritti basilari di milioni di suoi concittadini.