La Spagna ha compreso che la sinistra, per essere tale, deve essere davvero progressista. Noi no. - THE VISION
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Con la sinistra italiana in crisi, trovo esilaranti e al contempo patetici i tentativi di colmare un vuoto d’identità affidandosi al messia di turno. Ormai “La sinistra riparta da…” è diventato un meme, ma per molto tempo non lo è stato. Bastava che qualunque personaggio pubblico pronunciasse una frase vagamente progressista, non-di-destra o anche solo banalmente sensata per essere incaricato moralmente di risollevare le sorti della sinistra italiana. Il soggetto in questione poteva essere un terzino dell’Inter o un rapper, non aveva alcuna importanza: la sinistra doveva affidarsi a lui. Il passaggio da fenomeno serio a meme credo che abbia origine il giorno in cui Alessandra Mussolini dichiarò di sostenere il Ddl Zan. Le pagine satiriche del web non persero l’occasione di ironizzare scrivendo “La sinistra riparta da Mussolini”. Forse è necessario comprendere come la sinistra non debba rinascere affidandosi al singolo uomo o alla singola donna al comando, ma a un modello a lungo termine. Certo, guardandoci attorno c’è la desolazione del vento destrorso a soffiare in quasi tutta Europa. Resiste ancora un baluardo, sprazzi di socialismo che fanno sembrare una nazione non troppo distante dalla nostra un popolo di marziani. È la Spagna, e sarebbe davvero il caso di prendere spunto dalla sua evoluzione politica per colmare parecchie delle nostre lacune.

Non dobbiamo però commettere l’errore di traslare completamente l’esperienza spagnola sulla nostra, anche perché ci sono differenze politiche non di poco conto. Intanto la Spagna è una monarchia costituzionale, con una costituzione abbastanza giovane, essendo stata approvata soltanto nel 1978. Non dobbiamo neanche credere che il terzo millennio spagnolo sia stato un Eden. Ci sono state numerose crisi di governo, trattative non sempre andate a buon fine con i terroristi dell’ETA, massacri di migranti sulla coscienza, una crisi economica post 2008 tra le più catastrofiche d’Europa e il più destabilizzante tentativo di secessione della Catalogna dalla Spagna nell’ottobre del 2017, che ha portato all’arresto di nove leader catalani, poi graziati nel 2021. Eppure, adesso la Spagna si ritrova con diritti civili e sociali che noi ci sogniamo. La principale differenza con l’Italia riguarda il coraggio: quello che serve per fare le riforme e quello da usare per avere una direzione autonoma nella politica estera. In questo specifico caso c’è un esempio che spiega alla perfezione l’intraprendenza spagnola. Invece di seguire le titubanze provenienti dall’altro lato dell’Oceano, che hanno contagiato gran parte del nostro continente, qualche giorno fa il primo ministro Pedro Sanchez ha dichiarato che riconoscerà lo Stato della Palestina entro luglio e che farà di tutto per convincere anche altre nazioni europee a prendere la stessa decisione.

Pedro Sanchez

Anche in questo caso, non è Sanchez a essere l’entità illuminata in grado di salvare un Paese, ma è la naturale evoluzione partita decenni prima nel suo partito, i socialisti del Psoe. Una tappa fondamentale è il 2004, quando arrivò al governo José Luis Rodriguez Zapatero. Fece due mandati. Il primo rivoluzionario, un miracolo lodato anche all’estero – ricordiamo il documentario di Sabina Guzzanti del 2005 Viva Zapatero! – per le riforme di sinistra, un’espressione ormai considerata anacronistica nel terzo millennio. Il secondo mandato fu segnato dalla crisi economica, il cambio di rotta verso l’austerità e la fine del sogno. La prima fase di Zapatero ha però lasciato impronte indelebili nel Paese. Ha cancellato definitivamente le ultime tracce del franchismo, garantendo un risarcimento ai parenti delle vittime della guerra civile. Una volta fatti i conti con la propria memoria, cosa che in Italia non è mai avvenuta del tutto – come dimostrano anche le posizioni nostalgiche di diversi esponenti del governo attualmente in carica – si è concentrato sulle promesse fatte in campagna elettorale, e – strano a dirsi per un politico – le ha mantenute.

Jose Luis Rodriguez Zapatero

Sul tema dei diritti civili ha realizzato una legge contro la violenza di genere; ha approvato il matrimonio tra coppie dello stesso sesso e anche l’adozione, estesa per le coppie di fatto; ha legiferato sul divorzio rapido e sull’uguaglianza di genere, con un’equa rappresentanza nelle posizioni statali e nelle liste elettorali. I diritti civili sono la base per garantire una vita degna per i cittadini all’interno della società, anche se la destra di tutto il mondo tende a considerarli capricci o interventi non prioritari. In Italia, per esempio, la destra accusa spesso la sinistra di pensare solo ai diritti civili e non a quelli sociali. Intanto c’è da dire che anche sui primi è sempre mancata la spinta finale per portare a termine battaglie che tuttora sono sospese o addirittura interrotte – eutanasia, cannabis legale, maggiori diritti per le coppie omosessuali e tanti altri temi. La sinistra spagnola si è mossa anche sulle tematiche sociali. Zapatero ha ridotto drasticamente l’IVA sui pannolini, sugli assorbenti e sui preservativi in un periodo storico in cui ancora l’Europa sonnecchiava e inoltre ha aumentato le pensioni e i salari minimi. Salario minimo che, è bene ricordare, in Italia è ancora pura utopia. Come conseguenza, durante il primo mandato di Zapatero il Pil spagnolo è finalmente cresciuto dopo anni di fiacca, la disoccupazione è crollata ai minimi storici e sono stati fatti ingenti investimenti nelle infrastrutture. Per avere un’idea del contesto storico: stiamo parlando di un’epoca in cui il ribaltone di Razzi e Scilipoti decideva le sorti di un governo e Berlusconi sembrava più occupato a svolgere le sue “cene eleganti” che a occuparsi attivamente del Paese.

Dopo un periodo di stallo con gli anni grigi di Mariano Rajoy, segnati principalmente dai tentativi d’indipendenza della Catalogna, nel 2018 il Psoe è tornato al potere con Pedro Sanchez, grazie anche al supporto della sinistra di Podemos. Nonostante diversi rimpasti di governo e il ritorno alle urne, Sanchez ha mantenuto il sostegno popolare e ha attualizzato il pensiero politico di Zapatero. Con la riforma del mercato del lavoro e diverse altre leggi ha ulteriormente aumentato il salario minimo e ha introdotto il reddito minimo, oltre a tutelare categorie che ai tempi di Zapatero non erano così in auge, come per esempio i rider. Ha inoltre fatto crollare l’IVA sulle bollette dal 21% del 2020 al 5% del 2022. L’azione di sinistra per antonomasia è però stata l’inserimento di un “contributo di solidarietà” per i più ricchi. Ovvero un parente stretto della patrimoniale, parola che in Italia fa venire l’orticaria solo a pronunciarla e che invece risolverebbe più di un problema di disuguaglianze. Se in Italia tutti i politici promettono di tagliare le accise sui carburanti e nessuno lo fa, Sanchez in Spagna le ha abbassate del 20%. Altro cavallo di battaglia del nostro Paese in campagna elettorale, a destra come a sinistra: incentivare i contratti a tempo indeterminato. Arrivati al governo, i politici nostrani dimenticano questo tema per avventurarsi in altre pseudo priorità. In Spagna invece non si sono tirati indietro. Risultato: contratti a tempo indeterminato aumentati del 238% nel 2022.

Viene dunque da chiedersi quale sia il freno che impedisce alla sinistra italiana di assomigliare a quella spagnola. Il principale è probabilmente la differente unità all’interno dei partiti. Il PD è un’accozzaglia di correnti di varia forma e ideologia, e se qualcuno osa mettere in discussione certi temi cari al Vaticano entrano in gioco i teodem, così come arrivano veti di ogni tipo anche dai figli del PCI su altre questioni. Il Psoe è invece molto più coeso e non mette in dubbio la sua natura socialista, a differenza di parecchi esponenti del PD, l’ala moderata che all’arrivo di Schlein si è spaventata per il rischio di “spostarsi troppo a sinistra”. Certo, anche il Psoe deve scendere a compromessi e accordarsi con altre realtà per mantenere l’equilibrio parlamentare, che siano Podemos e i partiti più a sinistra o gli indipendentisti catalani. Sono però sostegni esterni, e le frizioni non sono fratricide all’interno dello stesso partito. Il PD, invece, è come se avesse al suo interno l’intera coalizione di centrosinistra spagnola più alcuni popolari. Il risultato è il coma vegetativo e l’assenza di progettualità.

Elly Schlein

Il fatto che la Spagna sia una democrazia più moderna della nostra le ha permesso di probabilmente di mantenere ancora vividi i ricordi del regime di Franco, quando fino agli anni Settanta una donna non poteva nemmeno aprire un conto in banca. Il nostro regime è invece ormai sbiadito nella memoria collettiva, se siamo arrivati ad avere al comando un partito con la fiamma tricolore nel simbolo. Anche in Spagna esiste l’estrema destra – tra l’altro supportata da Meloni – ma Vox alle elezioni non ha sfondato, proprio perché il Paese ha ancora certi anticorpi funzionanti, a differenza del nostro. La lezione principale è comunque quella di ricostruire su un modello e non su un personaggio, su una visione che miri al futuro e non sull’immediatezza di promesse irrealizzabili. Capire, infine, che un elettore di sinistra si presenta alle urne per votare un partito di sinistra, non un contenitore di fantasmi della DC mischiati a figure leggermente più progressiste. La Spagna l’ha compreso, noi no. La conseguenza è che oggi siamo rappresentati e governati dai nipoti e dai nostalgici di Mussolini, mentre i socialisti spagnoli hanno arginato i tentativi dei nipoti di Franco di arrivare al potere semplicemente facendo la sinistra, e non comportandosi come un suo sbiadito palliativo.

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