È passato un anno da quando ce la siamo vista bella. L’Italia stava per affondare nel caos e nella recessione. Ricordate? Il 4 dicembre del 2016 gli italiani furono chiamati alle urne: ufficialmente per dare il proprio assenso ad alcune “non lievi” riforme costituzionali, in pratica per scegliere tra il Governo Renzi e la Catastrofe. Ci aveva ben avvertito Confindustria, fin dall’estate precedente: la vittoria del “No” avrebbe causato “il caos politico” e le aste dei titoli di Stato sarebbero andate deserte, con la conseguente crisi di fiducia degli investitori, fuga di capitali, svalutazione dell’Euro, recessione, pioggia di rane, invasione di cavallette. Se tutto questo non è successo, non possiamo che ringraziare la prudenza e il giudizio degli elettori italiani, che tra Renzi e l’Apocalisse hanno scelto… ehm, cos’hanno scelto?
Perché in effetti ha vinto il “No”: a quest’ora le cavallette dovrebbero essere passate da un pezzo. Qualcuno le ha viste? Da parte sua Confindustria nel suo ultimo rapporto ha rivisto al rialzo le stime per il PIL italiano (nel 2017 +1,5%; nel 2018 +1,3). “A fine 2018 il PIL recupererà il terreno perduto con la seconda recessione (2011-13)”. Le esportazioni addirittura “volano”, il Made in Italy guadagna quote di mercato, “gli investimenti mostrano un vivace dinamismo”, l’occupazione sale dell’1,1% e di questo passo nel 2018 dovrebbe toccare i massimi storici. D’accordo, l’Italia cresce, ma meno degli altri Paesi dell’UE e abbiamo quasi otto milioni di disoccupati, troppi dei quali sono giovani. Tutto sommato, però, quest’anno Uno dal Referendum poteva andare molto peggio. Insomma forse l’anno scorso Confindustria aveva un po’ esagerato. Dopo Renzi non c’è stato il diluvio, ma un passaggio di consegne molto rapido e quasi indolore: Gentiloni – che nei sondaggi risulta spesso più popolare di Renzi – gli è subentrato a Palazzo Chigi sostenuto più o meno dalla stessa maggioranza. Altri sondaggi danno il partito di Renzi dietro al M5S, a volte anche dietro Forza Italia.
Insomma, il 4 dicembre per alcuni è stato in effetti una catastrofe: per Renzi e i suoi sostenitori. La fatidica data va ad aggiungersi al Catalogo delle grandi occasioni perse del centrosinistra, un volume ormai cospicuo e straziante, che i lettori affezionati non riescono a non riaprire a intervalli regolari, ogni volta che sale quella tipica voglia di piangere sul latte versato. Se solo Bersani non avesse sostenuto il governo Monti; se solo il Prodi Due non fosse caduto per un voto; se solo Bertinotti non avesse fatto cadere il Prodi Uno; e così via, fino a risalire almeno all’Aventino – quello del 1924, ma forse anche quello del 494 a.C. Se solo Renzi avesse vinto il referendum. In che Italia vivremmo adesso? Certo, la Storia non si fa coi “se”, ma in politica non c’è niente di male a sperimentare qualche “se” ogni tanto. Chiamiamolo esercizio mentale. Se le cose dopo il “No” al referendum non sono andate malaccio, è lecito sospettare che con un “Sì” sarebbero andate ancora meglio. Renzi sarebbe rimasto al suo posto e cosa sarebbe successo, poi? Ecco lo scenario idilliaco dipinto dal renzista: Renzi avrebbe finalmente governato indisturbato.
Più che un’ideologia il renzismo è un credo, un atto di fede. Chi lo professa è serenamente convinto che Renzi possa trasformare l’Italia in un Paese migliore. Per farlo, però, Renzi, come tutti i “rivoluzionari”, dovrebbe essere lasciato ad agire indisturbato per un impreciso periodo di tempo – niente compromessi, niente volgari coalizioni e ammucchiate, insomma niente democrazia parlamentare (che con l’Italicum si proponeva neanche tanto velatamente di superare). Renzi si realizzerà soltanto nel momento della vittoria totale, e siccome non è mai riuscito a farsi votare da più di 11 su 50 milioni di elettori italiani, vale la pena di domandarsi se si realizzerà mai. La prospettiva renziana sul post-referendum dipendeva molto da questo assunto: una volta vinto il referendum, Renzi sarebbe diventato super-popolare e imbattibile. Di lì a poco Mattarella – che Renzi fortissimamente volle al Quirinale – avrebbe probabilmente sciolto le camere, di modo che già nella primavera 2017 avremmo avuto la possibilità di votare e di veder trionfare un governo Renzi Due completamente monocromo. Che prospettiva esaltante – per un renziano.
Ma le cose difficilmente sarebbero andate così. Per pensare a uno scenario del genere, non bisogna soltanto credere in Renzi, ma anche nel fatto che la democrazia contemporanea preveda l’annichilimento dell’avversario. I nemici di Renzi – Berlusconi, Grillo, Bersani, Salvini, insomma tutti – una volta sconfitti al referendum, avrebbero dovuto accettare una resa incondizionata e ritirarsi a vita privata. In democrazia invece accade spesso il contrario: l’avversario sconfitto non scompare, ma si incattivisce. Dietro a Berlusconi, Grillo, Bersani e Salvini ci sono quattro fette di elettorato che difficilmente Renzi avrebbe potuto erodere in pochi mesi – se vi ricordate i toni della campagna di un anno fa si erano fatti piuttosto accesi. Renzi era già l’uomo da battere prima del referendum: dopo il 4 dicembre gli agguati trasversali si sarebbero intensificati. Uno in particolare era già predisposto sul suo cammino: il 25 gennaio del 2017 la Consulta avrebbe dichiarato incostituzionale la legge elettorale inventata da Renzi e Berlusconi al Nazareno, il solito Italicum, e in particolare l’istituzione del ballottaggio nel caso nessuna lista avesse sorpassato il 40% dei suffragi.
In realtà già a dicembre l’Italicum era considerato dagli stessi renziani una legge sorpassata, da modificare al più presto. Non per una serie di obiezioni costituzionali più che fondate, ma perché ormai i sondaggi avevano chiarito che per come era stato disegnato rischiava di consegnare una solida maggioranza parlamentare al Movimento Cinque Stelle. Possiamo anche immaginare che Renzi, ebbro del successo appena ottenuto col referendum, avrebbe deciso di giocarsi il tutto per tutto in inverno con l’Italicum: ma difficilmente Mattarella avrebbe sciolto le camere a Natale (e in tal caso, comunque, si sarebbe aperta una fase di incertezza politica non molto diversa da quella prospettata da Confindustria in caso di vittoria del “No”). Più probabilmente, Renzi avrebbe atteso la primavera per rassegnare le dimissioni: e a quel punto la bocciatura dell’Italicum non lo avrebbe mortificato, anzi. Dopo aver vinto il Referendum – e quindi dopo aver ottenuto più del 50% dei voti su un quesito costituzionale – Renzi avrebbe senz’altro immaginato di poter ottenere più del 40% dei suffragi alle elezioni anticipate. E quindi? Quindi ci avrebbe portato a votare in primavera.
E avrebbe vinto?
Questo non possiamo saperlo, ma proviamo a immaginare cosa sarebbe successo a quel punto in Italia e di che cosa si sarebbe discusso nei mesi fra la campagna referendaria e quella elettorale. Visto che negli ultimi tempi il centrodestra ha puntato tutto sulla cosiddetta emergenza dei rifugiati, azzardiamo un’ipotesi: Berlusconi e Salvini avrebbero fatto la stessa cosa. Storicamente, in campagna elettorale, la Lega e Forza Italia insistono sempre sul tema della sicurezza. Bossi proponeva di sparare ai barconi più di dieci anni fa. Berlusconi è meno drastico, ma ha sempre chiamato il suo popolo a raccolta contro la minaccia esterna, i comunisti, i musulmani che vogliono invaderci, eccetera. A Renzi sarebbe rimasto il ruolo ingrato di difensore dell’accoglienza: dopotutto fu il suo governo ad accettare la missione Frontex, che prevede che le navi che pattugliano il Mediterraneo portino i profughi in salvo in Italia. Renzi sarebbe andato alle elezioni in primavera non solo come l’uomo da battere, ma come l’uomo di Frontex e dello Ius Soli. Avrebbe vinto? Secondo me no, non ce l’avrebbe fatta. Forse avrebbe prevalso su un Berlusconi ancora intorpidito e un Grillo poco intenzionato a governare; forse avrebbe avuto persino il mio voto; ma non avrebbe raggiunto il 40%. E quindi?
E quindi ci saremmo trovati un altro governo di coalizione, come quello che ci aspetta, probabilmente, nel 2018. Forse avremmo risparmiato un anno. Forse il Pd non si sarebbe spaccato. Ma di sicuro avremmo vissuto un’altra stagione di incertezza, e Confindustria ce l’ha già spiegato: ai mercati l’incertezza non piace.