Capitava a scuola di dover affrontare quel momento di impasse in cui, durante un compito in classe, il professore intercettava un “pizzino” con la versione tradotta o i risultati di un’equazione. “O mi dite chi sono i responsabili, o metto un 4 a tutti,” minacciava. Ci si sentiva così eroici nello scegliere di restare in silenzio. E che onore era poter sventolare quel 4 come simbolo del proprio coraggio, della propria lealtà al gruppo. Ecco, il governo italiano pare abbia scelto proprio di sentirsi onorato nel condividere la scelta di uno dei suoi componenti di tenere per dieci giorni su una nave 177 persone, uomini, donne e bambini. Innanzitutto è doveroso ricordare esattamente di cosa stiamo parlando, per evitare quel meccanismo spersonalizzante che si innesca quando la cronaca riduce le vicende in “casi”: a forza di parlare di “caso Diciotti” si è persa la memoria di cosa sia avvenuto nei fatti. Mercoledì 15 agosto 2018, il pattugliatore della guardia costiera Diciotti – non una nave pirata e neanche la nave di una Ong – trae in salvo 190 persone nelle acque fra Malta e l’isola di Lampedusa. Erano tutte su un barcone, scappavano dalla Libia. In tredici vengono trasferiti d’urgenza e ricoverati a Lampedusa perché in cattive condizioni di salute. Gli altri 177 vengono messi in sicurezza a bordo della nave. È allora che il ministro dell’Interno Matteo Salvini si rifiuta di accordare lo sbarco in “porto sicuro” su territorio italiano: la colpa, sostiene il ministro, è di Malta, che non ha tratto in salvo i migranti, quindi adesso o l’Europa ci aiuta, oppure li rispediamo in Libia. La Diciotti rimane così ferma al largo di Lampedusa per cinque giorni, fino a quando il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli dichiara via Twitter che le nave può approdare al porto di Catania. A quel punto però il Viminale comunica di non aver autorizzato alcuno sbarco. Così, 177 persone fra uomini, donne e bambini in fuga dalla Libia vengono lasciate per dieci giorni in mezzo al mare. Nonostante gli operatori sanitari abbiano parlato di “terribili condizioni psicologiche e di salute fisica”, durante quei dieci giorni il governo ha sfruttato 177 persone per ingaggiare una prova di forza con l’Unione Europa. E anche se ormai in pochi se ne ricorderanno, il 24 agosto si è consumata una delle più proverbiali figuracce che questo governo abbia mai regalato al Paese. Su richiesta italiana si sono riuniti gli sherpa di dodici Paesi dell’Unione per trovare una soluzione al tema migranti, ma, nonostante la voce grossa del presidente Conte, si è risolto tutto in un clamoroso nulla di fatto. È seguita la minaccia di veto da parte del governo italiano sul bilancio comunitario, poi ovviamente ritirata. Così, la decisione di trattenere 177 persone su una nave per dieci giorni con l’unico intento di insegnare una battaglia propagandistica, oltre a rappresentare una ferita alla dignità umana, si è conclusa con una colossale figuraccia internazionale. L’assurdità del tutto è stata sublimata dalla “sparizione” dei passeggeri della nave, una volta fatti scendere sulla terraferma.
Ora che il tribunale dei ministri di Catania ha richiesto al Senato il permesso di procedere nei confronti di Matteo Salvini, il ministro si è prima sperticato in una prodigiosa piroetta di “processatemi, anzi meglio di no”, poi ha rivendicato le sue decisioni dicendo che c’era il fondato pericolo che fra quelle persone si nascondessero terroristi e criminali. Da qui, il primo paradosso: seguendo il ragionamento del ministro dell’Interno, se era così forte il pericolo che fra quelle 177 persone in fuga dalla Libia vi fossero dei pericolosi terroristi infiltrati, come mai è stato loro permesso di sparire nel nulla così facilmente? Perché il ministro dell’Interno non si è prodigato nel verificare ed eventualmente punire quei “temibili pirati”? Se la pensassimo come il ministro, ci sarebbe quasi da aver paura che qualcuno di loro si stia ora nascondendo all’interno dei nostri amati confini. Per assurdo, se anche solo uno di quei 177 si rendesse colpevole di qualche crimine, Salvini sarebbe corresponsabile, avendo peccato di superficialità: si potrebbe dire che si è fatto sfuggire dei pericolosi criminali internazionali da sotto il naso. E va da sé che poi i magistrati, nelle 53 pagine di relazione presentata al Parlamento per richiedere l’autorizzazione a procedere, hanno chiarito che quei 177 migranti non rappresentavano un problema di ordine pubblico, anche perché: “Nessuno dei soggetti ascoltati da questo Tribunale ha riferito (come avvenuto invece per altri sbarchi) di informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di ‘persone pericolose’”.
Lunedì scorso il ministro dell’Interno ha inviato una lettera al Corriere della Sera, con l’intento di ribadire al Paese che le sue azioni sono tutte votate al bene comune e alla protezione della Patria. “Faccio parlare i numeri”, ha scritto, per poi sciorinare tutta una serie di dati. Una lettera che andrebbe portata nelle scuole italiane e fatta studiare come perfetto esempio di propaganda. Non c’è un dato realmente sbagliato, ma nessuno è nemmeno corretto, perché sono tutti numeri decontestualizzati. I dati sugli arrivi, per esempio, sono relativi a tutto il 2018: peccato che nei primi mesi di quell’anno il governo fosse di centrosinistra e il presidente del Consiglio fosse Paolo Gentiloni. Il ministro dimentica poi di riportare i numeri del suo stesso Ministero riguardanti i cosiddetti sbarchi invisibili: 3348 persone in 5 mesi.
Salvini ha anche aggiunto che “ci sono stati meno morti”. Ma nel suo dossier pubblicato ieri, l’Unhcr spiega che non solo i numeri sono in percentuale cresciuti, ma per di più la rotta dalla Libia all’Europa è diventata la più pericolosa in assoluto. Stessa cosa dicasi poi per i numeri dei rimpatri, altro fallimento delle politiche salviniane. Insomma, non solo il sequestro dei 177 passeggeri è stata una vile mossa politica e propagandistica, ma manco una delle già assurde giustificazioni portate avanti dal ministro è corretta. Per non parlare poi dell’insensata guerra alle Ong, il cui ultimo triste capitolo è stato l’annullamento del sequestro della nave Aquarius disposto dallo zelante pm di Catania Carmelo Zuccaro.
Come se non bastasse, ora sembra che tutto il governo abbia deciso di proteggere Matteo Salvini. Ieri, prima che cominciasse la giunta per le Immunità del Senato, il senatore e capogruppo del M5S in Giunta Mario Giarrusso, ha dichiarato: “Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il vicepresidente Luigi Di Maio e il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli depositeranno una memoria, spiegando che sul caso Diciotti c’è stata una decisione che coinvolge tutto il Governo, con responsabilità anche di altri ministri e del Presidente del Consiglio stesso”. Effettivamente, questo sarebbe l’unico modo per togliersi dall’impiccio di dover far valere quell’immunità parlamentare contro cui hanno fondato parte dei propri successi elettorali. “La colpa è di tutti, quindi non è di nessuno”. Una bella mossa, non c’è che dire. Allora però saremo tutti legittimati a ritenerli responsabili, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il vicepresidente Luigi Di Maio e il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli. Complici di quell’indegna operazione politica – oltre che un crimine contro la dignità umana – che è stata la vicenda della nave Diciotti.
Troppo spesso dimentichiamo che le più grandi vergogne commesse dal nostro Paese sono state giustificate con la “protezione” di qualcuno o qualcosa, come la “razza”: la Dichiarazione sulla razza adottata il 6 agosto 1938 dal Gran Consiglio del fascismo, per esempio, voleva rafforzare le “misure contro chi attenta al prestigio della razza nei territori dell’Impero”. Così anche oggi, nel nome di un’assurda “ragione di Stato”, saranno loro stessi a dichiararsi tutti responsabili, in modo che nessuno possa essere ritenuto colpevole. Come se aver trattenuto per dieci giorni 177 fra uomini, donne e bambini su una nave della pattugliatore della Guardia Costiera avesse la stessa valenza del passare un compito in classe. Così saremo tutti complici, ma tutti senza onore.