Tra gli aspetti più grotteschi della politica, uno che non smette di colpirmi è il nome ufficiale della Lega. Anche alle recenti elezioni europee, il partito si è presentato come Lega per Salvini premier, il titolo ufficiale dal 2019. Sempre meglio che Lega Nord per l’indipendenza della Padania, ovvero il precedente nome per esteso, ma ogni tanto mi chiedo se qualcuno del team di Salvini lo abbia mai preso in disparte e gli abbia detto, con un misto tra timore reverenziale e compassione: “Matteo, siamo al 9%, siamo stati superati persino dal fantasma di Berlusconi e senza le 500mila preferenze di Vannacci probabilmente non avremmo superato nemmeno la soglia di sbarramento, che ne dici di rivedere le nostre mire?”. Eppure Salvini è “il capitano” acclamato da 5 milioni di follower su Facebook. È la legge del contrappasso dei politici influencer: quando una stella esplode noi continuiamo a percepirne la luce in cielo anche per secoli, e così Internet diventa per i politici un cimitero con il delay. Fino alle scorse elezioni nazionali, Luigi Di Maio aveva su Facebook 4 milioni di follower, quasi il doppio di Giorgia Meloni. Dopo l’umiliante 0,6% alle urne, decise di chiudere la pagina. Il suo sito, abbandonato a se stesso, per un periodo rimandava a una pagina di casinò, fino al definitivo spegnimento.
Salvini sembra non essersi accorto della sua caduta e continua a comunicare a un esercito di fedeli ormai convertiti da anni ad altri culti. Eppure resta quel numero, lui crede che equivalga alla sua platea e persegue nell’azione che lo contraddistingue dall’inizio della sua avventura politica: essere costantemente, ineluttabilmente dalla parte sbagliata della Storia. Incurante delle ferite elettorali e di un ruolo sempre più marginale nel panorama politico italiano e internazionale, Salvini ha annunciato con giubilo di aver aderito al nuovo gruppo europeo Patrioti per l’Europa, creato da Viktor Orbán. È stato raggiunto da Rassemblement National di Le Pen e Bardella (quest’ultimo nominato presidente del gruppo), dai neofascisti spagnoli di Vox e da altre forze europee di estrema destra, tra cui i separatisti fiamminghi. Da che mondo è mondo, ogni patriota combatte per la sua patria, e questo gruppo non fa eccezione. Orbán è da sempre il principale ostacolo per gli accordi sui migranti nell’Unione Europea, e facendo – con modi discutibili – gli interessi della sua nazione danneggia le altre, compresa l’Italia. Il leader ungherese ha anche criticato l’UE sul tema dell’omosessualità, dopo che il parlamento europeo aveva votato contro la sua “legge anti gay”. Nel 2024 dovrebbe rasentare il ridicolo, se non l’ignominioso, il pensiero di Orbán sui diritti civili. Eppure trova un gancio con la Lega salviniana grazie alle idee di un altro uomo del partito: il generale Roberto Vannacci.
Salvini, pieno di sicumera, si è sfregato le mani all’idea di Vannacci vicepresidente del gruppo dei Patrioti. Eppure qualcosa è andato storto. Durante una riunione a Strasburgo del nuovo gruppo parlamentare, la nomina di Vannacci come vicepresidente è stata bocciata all’unanimità. Troppo estremista persino per i neofascisti, per la destra più feroce e per gli autocrati ungheresi. Qualcuno evidentemente deve aver letto il suo libro, quello dove è scritto che gli omosessuali non sono normali, le femministe sono le streghe del terzo millennio e, in sostanza, non esistono neri italiani. Immaginatevi la scena di Salvini rimasto con il cerino in mano, afflitto perché pensava di aver proposto il nome più affine alle idee oscurantiste del gruppo e costretto ad accettare di essere stato rimbalzato anche dalla fazione più retriva d’Europa.
Il leader leghista, in realtà, ha sempre avuto più di un problema con la scelta degli alleati, dei miti da emulare. Per un decennio, complice un patto divenuto pubblico con Russia Unita, ha osannato Vladimir Putin fino a estendere il suo culto della personalità anche in Italia. Salvini avrebbe ceduto “due Mattarella per mezzo Putin”. Con la stessa fatica con cui di questi tempi i neofascisti provano a smarcarsi dal fascismo, ultimamente ha ammesso a denti stretti su esplicita domanda che sì, “Putin è un criminale di guerra”. Nessun ravvedimento per dieci anni di propaganda a suo favore, ma che sarà mai. Così come è una quisquilia l’appoggio incondizionato a Jair Bolsonaro, fuggito in Florida per evitare l’arresto e recentemente condannato dal Tribunale Superiore per abuso di potere e manipolazione dei media. Per non parlare del pericoloso rapporto con Steve Bannon, arrestato per frode e coinvolto tuttora in numerosi processi a suo carico. Dulcis in fundo, l’infatuazione di Salvini per Donald Trump, altro individuo a cui non mancano diversi carichi giudiziari penali sul groppone. È riuscito persino a commentare l’attentato a Trump dando la colpa alla “sinistra che semina odio”, mentre in tutto il mondo si è cercato di placare i toni, persino negli USA.
Stiamo parlando dello stesso politico che durante un comizio ha paragonato Laura Boldrini a una bambola gonfiabile, che ha tenuto per giorni in mare dei migranti per conferire una qualche concretezza alla propaganda dei “porti chiusi”, che ha proposto un censimento sui rom e che ha plasmato la narrativa dell’ immigrato – preferibilmente africano – come nemico degli italiani. Il punto è che non possiamo inquadrare questo personaggio senza prima delineare i tratti del suo camaleontismo politico. Se anche i peggiori estremisti hanno comunque un’ideologia di base, Salvini corre seguendo il vento dell’elettorato nelle zone dove è possibile raccattare voti. Patriota, ma solo di recente: nella finale degli europei del 2000 tra Francia e Italia tifava per la Francia, in quanto leghista da Roma ladrona. Da “Prima il Nord” a “Prima gli italiani”. Un tempo per lui i napoletani “puzzavano come cani”, poi sono diventati merce da elezione. Bossiano di ferro, poi addirittura il vecchio fondatore della Lega ha dichiarato di non aver votato alle europee il partito da lui stesso creato. Adesso Salvini indossa le vesti dell’uomo contro le armi quando si parla di Ucraina, mentre da ministro ha più volte promosso la fiera delle armi e ha stretto accordi con i membri della loro lobby. La verità è che il politico Salvini non può essere preso sul serio. Ogni singola parola e azione è riconducibile unicamente a un tentativo di sopravvivenza politica e non a una visione e un programma coerenti, un orgoglio da capitano senza più soldati che non rinuncia al potere perduto. A costo di berlusconizzarsi e insultare “i comunisti” per poi dichiarare di “aver ereditato le battaglie politiche del PCI di Berlinguer”.
Credo che in una democrazia, nei limiti del lecito, sia doveroso poter avere le proprie idee e portarle avanti, anche le più contorte. Eppure non riesco a spiegarmi la passione di Salvini per la sublimazione dei condannati (ricordiamo anche le feste per Malpensa intitolato a Berlusconi), per i potenti allergici alle tutele dei diritti civili, per quell’arretratezza culturale che spinge il mondo verso l’intolleranza. E Salvini è intollerante persino ai risultati elettorali. Ha commentato la rielezione di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione europea parlando di “schiaffo alla democrazia”, nonostante abbia avuto i voti dei rappresentati votati in Europa – tra questi quelli di Forza Italia, al governo con la Lega. Ha parlato anche di uno “spostamento a sinistra”. Per Matteo tutti i nemici sono di sinistra. Anche una liberale di centrodestra come Von der Leyen. Faceva lo stesso gioco anche con Angela Merkel o con un centrista come Macron. Associa costantemente i centri sociali al comunismo, quando nel mentre indossava con nonchalance felpe di CasaPound, dimenticando che anch’esso è tecnicamente un centro sociale. Distorcere la realtà non è più un suo vezzo politico, è ormai una condanna a cui non riesce a sottrarsi. Salvini ha creato il suo metaverso e lì vi è rimasto intrappolato. Il mondo va avanti e lui sta perdendo tutti i suoi punti di riferimento. Bossi, Putin, Bolsonaro, Bannon, il protagonismo alle sagre di paese, le liste-meme nei talk show, il popolo di Pontida. La gente ha iniziato ad allontanarsi da una persona che non sapeva – o non voleva – indossare una mascherina durante una pandemia auto-minando la propria affidabilità. E Giorgia Meloni gli ha rubato l’elettorato.
Eppure Salvini è un ministro della Repubblica, quindi dal suo metaverso può ancora assumere e appoggiare iniziative dannose. Come con lo scellerato decreto “Salva-casa”, che permette di rendere abitabili le topaie di 20 metri quadri con un soffitto alto 2,40, aumentando la speculazione con il rischio concreto che un giovane fuorisede arrivi a pagare l’affitto di un ex garage a cifre insostenibili. Per il metaverso di Salvini questa è una “rivoluzione liberale”, per il mondo reale è una sconfitta. La realtà è che Salvini rappresenta in pieno il lato peggiore dell’italiano medio, la furbizia senza senno, l’attitudine da banderuola e l’atteggiamento tronfio e caciarone. Anche adesso che il suo seguito è ai minimi termini. Seguendo un patetico trend delle gag del momento, io Salvini me lo immagino a cena con Vannacci, Fontana e Pillon, uno dei quattro a esclamare: “Chi si muove è gay!”. E tutti fermi, immobili per l’eternità, come questa destra che resta indietro mentre il mondo va avanti, condannando l’Italia all’arretratezza assoluta.