Domenica la Lega si è radunata a Pontida, come da tradizione. Si è visto il repertorio del folclore leghista: camicie verdi, elmi e ampolle con l’acqua del Po, in tutto il bergamasco è risuonato l’eco del “Va, pensiero” di Verdi; eppure qualcosa è cambiato. Non ci sono stati cori contro i meridionali, anche perché più di 200 pullman sono partiti dal Sud, carichi di ammiratori di Salvini. Ha presenziato, e parlato dal palco, anche il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci. Nella testa dei padani dalle barbe dipinte di verde, gli stessi che fino a qualche anno fa inneggiavano all’eruzione del Vesuvio, si è insinuato un inedito pensiero: “Adesso i terroni sono nostri amici.”
Pontida ha dimostrato che la Lega-non-più-Nord sta cambiando pelle e soprattutto colore.
Prima del 4 marzo le analisi politiche erano piene di riferimenti alla minaccia di una nuova ondata nera. I fari erano puntati su CasaPound, che stava tentando la scalata attraverso un processo di purificazione mediatica. Nella sua sede furono organizzati dei dibattiti con giornalisti come Enrico Mentana, Corrado Formigli e Nicola Porro. I primi due furono ferocemente criticati, rei di sdoganare il dialogo con una forza di estrema destra strettamente ancorata alle radici fasciste. Si temeva il peggio, in vista delle elezioni. Fiano scalpitava, Vauro zompettava da un salotto televisivo all’altro inveendo contro i “neri”. Alla fine CasaPound prese lo zero-virgola-niente, e molti tirarono un sospiro di sollievo. In realtà i fascisti 2.0 non erano un’invenzione dell’intellighenzia, semplicemente hanno votato un altro partito.
Passano i mesi, l’Italia attraversa il subbuglio politico creato dalla nascita del nuovo governo, fino all’amalgama del patto Lega-M5S. Simone Di Stefano, leader di CasaPound, fin dall’inizio ha rilasciato dichiarazioni positive riguardo alla nuova creatura giallo-verde. Addirittura si è spinto oltre, affermando: “Alcuni punti del contratto di governo sono stati presi dal programma di CasaPound.” Leggiamo allora il programma elettorale del partito di Di Stefano, e cerchiamo i punti di contatti con il nuovo governo.
Partendo dall’economia, attirano l’attenzione alcuni tipici cavalli di battaglia grillini, come la separazione tra le banche commerciali e quelle di investimento finanziario, o la nazionalizzazione della Banca d’Italia.
Il programma di CasaPound prosegue parlando di un “assoluto riguardo nei confronti della Russia, partner strategico per le risorse,” e anche Salvini – come il Movimento 5 Stelle – sembrebbe a un passo dal tatuarsi il volto di Putin sul petto, quindi fin qui ci siamo. Si parla poi di tutela delle piccole e medie imprese, ma questo è il buon proposito universale, presente persino nel programma di Potere al popolo o nel discorso di proclamazione di Miss Italia.
Il punto di incontro più tangibile tra Salvini e CasaPound è inevitabilmente la battaglia contro l’immigrazione. Questo capitolo del programma di CasaPound inizia con l’attacco contro organizzazioni, sindacati e cooperative, ed è facile immaginarlo letto dalla voce del leader leghista. Quando si arriva a palare di “oligarchie, esercito industriale di riserva ed economia neoschiavista,” la voce di Salvini può essere sostituita con quella di Diego Fusaro – manca solo il turbocapitalismo apolide. Ecco cosa propone il partito neofascista: blocco dei flussi migratori e rimpatrio di chi si trova in Italia illegalmente, accordi bilaterali con le nazioni di provenienza, arresto dei fondi destinati alle “associazioni parassitarie” – in altre parole, le Ong. Il ministro Toninelli si rassegni: il programma che sta attuando è quello di CasaPound.
Anche il partito di Di Stefano chiede la cancellazione della Legge Fornero, l’aumento delle pensioni minime e l’abolizione del ticket. Pleonastico aggiungere il paragrafo dedicato alla legittima difesa, battaglia in comune di Lega e CasaPound, che lo considera un “diritto e un dovere inalienabile del cittadino.” Ogni cittadino dovrebbe, cioè, essere legittimato a possedere un’arma da fuoco per assicurarsi la propria legittima difesa, con l’eccezione di quei soggetti inidonei per impedimenti medici, psichiatrici o a causa dei loro precedenti penali.
È condivisa anche la proposta di Salvini sul ripristino della leva obbligatoria al compimento dei 18 anni. Ironicamente, il programma si chiude con il paragrafo legato alla richiesta di “un’applicazione reale della Costituzione.” La Costituzione antifascista, appunto.
In questi mesi il consenso di Salvini ha raggiunto vette inimmaginabili fino a qualche anno fa (il 4% del 2013 sembra un lontano ricordo). Un tempo la Lega raccoglieva i suoi voti nelle regioni a trazione verde – Veneto e Lombardia in primis – per poi arrancare nel resto del paese. Adesso è riuscita a espugnare storiche roccaforti rosse come Siena, Pisa e Massa, e anche a incrementare i voti al Sud. La situazione si è capovolta. Basti pensare allo slogan del raduno di Pontida del 2013: “Prima il Nord”. Oggi sembra che tutti quelli che vivono sotto il Po se lo siano dimenticati. Ora un motto simile sarebbe impensabile, e infatti è stato tradotto in un più generico e generoso: “Prima gli italiani.” Salvini ha capito che per districarsi dalla stagnazione padana era necessaria una riqualificazione del partito stesso. Il suo percorso è inversamente proporzionale a quello che Giorgio Almirante ha tentato di compiere per tutta la sua esistenza. Il leader missino ha passato la vita tentando di sbarazzarsi – senza troppa veemenza – delle macchie nere, Salvini le sta attirando a sé in silenzio, dopo una carriera all’ombra di Bossi prima e di Berlusconi poi.
Mettere in atto questo processo però è stato rischioso, poiché ogni iniziativa non doveva essere esplicita ma filtrata. Andava bene strizzare l’occhio a Di Stefano, andare allo stadio con una una giacca firmata CasaPound in bella vista, non essere in grado di dichiararsi antifascista in una trasmissione di Formigli. Allo stesso tempo era necessario rassicurare la casalinga di Voghera o l’operaio di Salerno. Quello di Salvini è un estremismo mascherato, che attua gran parte del programma di CasaPound, giurando sul Vangelo e citando i figli in ogni intervista. Il leader della Lega è riuscito a trasformare un partito che non si riconosce né a destra né a sinistra ma nei valori di etica, epica ed estetica, in una forza politica mainstream, e ci sono cascati anche i grillini.
La differenza tra Salvini e Di Stefano è il fine. Salvini fa le sue sparate per accaparrarsi i voti in modo chirurgico, seguendo il malleabile umore del popolo; Di Stefano seguendo la sua ideologia, e senza l’arguzia del primo. Ad esempio quando ha giustificato l’alleanza tra Hitler e Mussolini. Il leader leghista spesso travalica i confini della ragione, ma mantiene sempre l’abilità di girare la frittata e capovolgere la situazione a suo favore. Se parla di censimento dei rom e dichiara che “quelli italiani purtroppo dobbiamo tenerceli,” per qualche ora si becca la shitstorm e l’indignazione collettiva, poi però riesce sempre a cambiare la prospettiva manovrando l’opinione pubblica: non più una tremenda schedatura etnica, ma un discorso di buonsenso per la salvaguardia dei nostri figli contro la delinquenza e la minaccia dell’”altro”.
L’errore di una larga fetta del centrosinistra è quello di associare Salvini al fascismo che fu, ai balilla, al saluto romano, al discorso di Piazza Venezia. Ma quello è il limbo dal quale il partito di Di Stefano non può venire a capo; Salvini sì, perché il suo modello è Orbán, non Achille Starace. Non fa l’errore di cadere nell’anacronismo di CasaPound, ma porta avanti le loro stesse battaglie.