La vergogna è Salvini che omaggia Borsellino lavorando con chi è indagato per fatti di mafia - THE VISION

Nelle ultime settimane Matteo Salvini si è presentato diverse volte in pubblico e sui social con una mascherina con il volto di Paolo Borsellino, giudice ucciso da Cosa nostra nel 1992. Sui media si è parlato di sciacallaggio, dell’ennesima strumentalizzazione di un leader capace di usare tragedie e beneficenza nel nome della propaganda. Quello che però non si è sottolineato a sufficienza è l’ipocrisia di un uomo che, negli stessi giorni, ha postato su Facebook diversi comunicati congiunti del centrodestra nei quali Salvini e Meloni sono immortalati in foto insieme a Silvio Berlusconi. È questo il vero oltraggio alla memoria di Borsellino.

Il tentativo di Matteo Salvini di appropriarsi di un pensiero che non gli appartiene, in conflitto con il tenore delle sue dichiarazioni e il corso della sua azione politica, va oltre la perdita del senso del pudore. Si può ancora cercare di sorvolare sui suoi omaggi social a Fabrizio De André, persona che in tutta la sua vita ha portato avanti messaggi opposti a quelli della Lega, ma diventa difficile farlo quando in pochi giorni il volto dell’ex presidente Trump sulla mascherina di Salvini viene sostituito con quella di Paolo Borsellino. 

Questo succede nello stesso mese in cui Report ha mandato in onda un servizio molto dettagliato sulla trattativa Stato-mafia. Guardandolo, e approfondendo la storia italiana degli ultimi quarant’anni, è lampante perché non si possa “omaggiare” Paolo Borsellino e allo stesso tempo fare parte di una coalizione a cui partecipa anche Silvio Berlusconi. Un uomo che per anni ha avuto come braccio destro Marcello Dell’Utri, con cui ha creato l’impero Fininvest e, successivamente, ha messo le basi per la sua discesa in campo con Forza Italia. Dell’Utri, arrestato a Beirut nel 2014 dopo un periodo di latitanza, ha finito di scontare nel 2019 una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa ed è tutt’ora sotto processo per la stagione delle stragi e la trattativa Stato-mafia, in cui ha ricevuto in primo grado una condanna a dodici anni. Negli atti del processo che l’ha portato in carcere, Dell’Utri viene definito il mediatore tra Cosa nostra e Berlusconi.

Marcello Dell’Utri

Nel 1973 Dell’Utri portò nella villa di Berlusconi ad Arcore Vittorio Mangano, mafioso pluriomicida che venne assunto come “stalliere”. In realtà si trattava di un uomo di Cosa Nostra che garantiva protezione a Berlusconi, alla sua famiglia e alle sue aziende in cambio di favori e pagamenti, attraverso un patto siglato durante un incontro con il boss Stefano Bontate. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, i pagamenti di Berlusconi sono stati inviati a Palermo dal 1974 fino ad almeno il 1992. Soldi in nero dati a Cosa Nostra, con i quali Mangano ha rafforzato il suo ruolo di “testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia”, come sostenuto dallo stesso Paolo Borsellino in un’intervista del 1992.

Negli anni la posizione di Berlusconi si è aggravata in seguito a dichiarazioni di pentiti di Cosa Nostra come Giuseppe Graviano e Gaspare Spatuzza, che hanno confermato i rapporti del Cavaliere e di Dell’Utri con diverse personalità dell’universo mafioso. Berlusconi è stato più volte sotto processo per la sua vicinanza a Cosa Nostra, arrivando ad archiviazioni per mancanza di prove ma mai ad assoluzioni, ed è tuttora indagato in procedimento per le stragi mafiose dei primi anni Novanta. Non a caso Borsellino e Falcone l’avevano già individuato come soggetto su cui indagare già prima della sua discesa in campo nel 1994. 

Silvio Berlusconi e MarceIlo Dell’Utri

In alcuni appunti di Giovanni Falcone relativi all’interrogatorio al pentito Francesco Marino Mannoia nel 1989 il magistrato ha segnato “Cinà in buoni rapporti con Berlusconi. Berlusconi dà 20 milioni ai Grado e anche a Vittorio Mangano”.  Gaetano Cinà è un mafioso in stretto contatto con Dell’Utri, mentre Gaetano Grado è un boss palermitano che negli anni Settanta ha fatto da tramite tra la Sicilia e Milano.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Un’altra testimonianza di rilievo è stata fornita da Giovanni Paparcuri, esperto informatico del pool Antimafia al tempo di Falcone e Borsellino, nonché unico superstite dell’attentato contro il magistrato Rocco Chinnici nel 1983. Paparcuri ha dichiarato: “Mi ricordo che un giorno, circa una settimana prima della strage di Capaci, mi viene a trovare Borsellino e mi dice testualmente: Giovanni, hai niente su Berlusconi?”. Secondo Paparcuri, Borsellino ne aveva parlato con Falcone, interrogandosi sul ruolo di Berlusconi nei rapporti con Cosa Nostra. Qualche giorno dopo, il 23 maggio 1992, Falcone saltò in aria insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della scorta sul tratto autostradale vicino a Capaci. Meno di due mesi dopo, il 19 luglio 1992, fu il turno di Borsellino e cinque uomini agenti di polizia in via D’Amelio.

Strage di Capaci, 23 maggio 1992

Strage di via d’Amelio, 19 Luglio 1992

Non deve quindi stupire che Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, abbia commentato l’ultima trovata propagandistica di Salvini – principale alleato di Berlusconi nella coalizione di centrodestra – con rabbia: “Vedendo quelle immagini”, ha dichiarato riferendosi all’uso della mascherina che omaggia il magistrato ucciso da Cosa Nostra, “mi viene da vomitare, ma uno sciacallo come lui non può fare altro che sciacallaggio”. Il fratello del giudice ha anche ricordato l’ipocrisia di un leader che fino a qualche anno fa denigrava il Sud e i suoi abitanti, e che ora si è ricordato che anche loro possono votare. Un caso di amnesia che forse spiega anche perché Rita Borsellino, sorella di Paolo, abbia perso alle regionali in Sicilia del 2006 contro Totò Cuffaro, in seguito condannato a sette anni per favoreggiamento a Cosa Nostra.

Salvini, oltre alle alleanze pericolose, dovrebbe guardare anche nel suo stesso partito. Il consulente per l’Energia della Lega, Francesco Paolo Arata, è stato arrestato nel luglio 2019 per traffici illeciti in combutta con Vito Nicastri, re dell’eolico condannato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa e probabile finanziatore della latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Dovrebbe anche ricordarsi dei numerosi rapporti tra politici leghisti in Calabria e membri di diverse cosche della ‘Ndrangheta, sempre più spesso chiariti nelle aule dei tribunali di tutto il Paese. 

Per tutto questo, vedere Borsellino e Berlusconi sulla stessa bacheca di Facebook non è soltanto vergognoso, ma l’ostentazione della strafottenza di chi vuole riscrivere la storia a modo suo, educando i seguaci ad accettare un paradosso che non può essere tollerato da chiunque abbia a cuore la democrazia e il rispetto della legalità. 

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